Esiste un filo rosso che lega gli swing state americani, gli Stati sempre in bilico dove di solito si decidono le presidenziali, e le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza. Un filo lungo diecimila chilometri che preoccupa il Partito Democratico in vista del voto del prossimo 5 novembre.
#abandonBiden e Listen to Michigan sono due gruppi che chiedono il cessate il fuoco in Palestina e guidano la protesta contro l’amministrazione Biden: alle primarie di febbraio in Michigan circa centomila elettori democratici, oltre uno su dieci, hanno sbarrato la casella “Uncommitted”, ovvero “non schierato”. «Un voto uncommited è il nostro strumento più forte in questo momento per raggiungere un cessate il fuoco permanente – ha detto Mona Mawari, farmacista e attivista, ad Al Jazeera –. È una dichiarazione per Biden per dirgli che non prenderemo in considerazione la possibilità di votare per lui finché non chiederà un cessate il fuoco immediato e permanente».
Biden ha passato comunque il test elettorale con seicentoventicinquemila voti, ma questa protesta potrebbe causare dei problemi alle presidenziali. In Michigan, gli elettori musulmani sono circa duecentomila e al momento il candidato democratico è dietro a Donald Trump di circa tre punti nei sondaggi.
I musulmani e gli arabi-statunitensi negli Stati Uniti sono circa tre milioni e mezzo. Un numero basso rispetto ai trecentotrentacinque milioni di cittadini americani. Il problema per la presidenza Biden è che la maggior parte di questi elettori si trova negli swing state come Michigan, Virginia, Georgia, Pennsylvania e Arizona.
Seppur esigua, la percentuale di votanti musulmani può essere decisiva per assegnare i grandi elettori degli Stati decisivi. Oltre al Michigan, nel 2020 Biden vinse in Arizona di 10,457 voti e in Georgia di 12,670. Poche migliaia di voti che possono passare da un lato all’altro della scheda elettorale a seguito della politica estera del presidente in carica. «Gli arabi americani potrebbero non essere così numerosi come alcuni altri collegi elettorali, ma le loro centinaia di migliaia di elettori in Michigan, Ohio e Pennsylvania sono stati attivamente corteggiati dalla campagna Biden del 2020. Per lui riconquistarli nel 2024 sarà una strada in salita», ha detto James J. Zogby, presidente dell’istituto arabo-americano.
Nelle città del Midwest, come racconta un reportage dell’Economist, molti cittadini che si considerano arabi-musulmani sono furiosi con il continuo sostegno dell’amministrazione Biden verso il governo di Israele. Il governo americano fornisce a Tel Aviv circa 3,3 miliardi di dollari l’anno in armamenti e il Congresso ha appeno approvato un pacchetto di aiuti addizionale di ventisei miliardi di dollari (di cui nove per supportare la popolazione a Gaza).
«Ciao, sono Abdualrahman della campagna uncommited del Michigan. Chiediamo un cessate il fuoco a Gaza. Sei un elettore del Michigan?». Questo è il modo in cui Hamad Abdualrahman, oftalmologo palestinese americano di trentotto anni, inizia le chiamate per convincere la gente a non votare Biden. Come spiega Al Jazeera, le organizzazioni locali di solito si mobilitano per aumentare l’affluenza alle urne degli arabi e dei musulmani, ma oggi è tutto diverso.
«Senti, odio Trump – ha spiegato Hamad all’Economist – con ogni fibra del mio essere. So cosa è, ma ho parlato con così tante persone che hanno votato per Biden il cui atteggiamento ora è: “Dobbiamo farlo perdere, a ogni costo. Invece di votare per un terzo partito, voterò per Trump”. All’inizio mi ha scioccato. Ma vuoi fare tutto il possibile per fargliela pagare».
Alcuni elettori musulmani, pur lodando l’operato del presidente in carica sua giustizia sociale, sanità e tasse, pensano che non ci possa essere un equilibrio tra il bene fatto in politica interna e il via libera al massacro in Palestina. Hamad ha ormai perso fiducia in Biden: «Come potrei fidarmi di lui per prendersi cura dei miei figli? Agire sul cambiamento climatico? Per perseguire la giustizia sociale?».
L’intento di associazioni come Listen to Michigan è di far vedere ai democratici che il voto arabo-musulmano esiste e che non approva l’operato di Washington. L’istituto arabo-americano ha registrato che il supporto per Biden è calato dal cinquantanove per cento al diciassette per cento rispetto al 2020. Secondo questo sondaggio, per la prima volta da quando si fanno queste rilevazioni (1996), il voto arabo non sarà a maggioranza democratica: nel 2008 e nel 2016, i democratici superavano di due a uno i repubblicani. Adesso, il trentadue per cento degli arabi americani si è identificato come repubblicano rispetto a solo il ventitré per cento che si è identificato come democratico. Gli indipendenti hanno continuato a crescere e hanno superato i democratici per la prima volta nell’ottobre 2023.
«È significativo notare che sia gli alti livelli di sostegno ai diritti dei palestinesi sia gli alti livelli negativi per le politiche del presidente sono opinioni condivise da quasi tutti i gruppi demografici presi in considerazione – ha spiegato Zogby – Ciò è significativo perché nei nostri quasi tre decenni di sondaggi, ci sono stati solo altri due momenti in cui le questioni politiche hanno portato a un cambiamento così drammatico nelle opinioni degli arabo-americani e nessuno dei due ha prodotto un simile cambiamento in un periodo di tempo così breve: il primo è avvenuto durante gli anni di George W. Bush, quando si mossero decisamente contro le politiche del presidente in Iraq e il suo programma repressivo volto a violare le libertà civili. Il secondo è avvenuto nel 2016, quando si sono tirati indietro di fronte alla retorica elettorale di Trump contro i musulmani».
Ma non è troppo tardi per i democratici. Come ha detto all’Economist una delle fondatrici di Listen To Michigan Layla Elabed: «Ho ancora speranza per Biden, ma il punto cruciale è che solo uno dei due candidati è complice attivo nell’assassino di trentamila persone innocenti». Ha poi voluto mandare un messaggio al presidente democratico: «Non rischi la sua presidenza, non rischi la nostra democrazia continuando ad allinearsi a Benjamin Netanyahu e al suo genocidio. Per favore non lo faccia».
La campagna elettorale per la prossima presidenza è incerta. La mobilitazione araba negli Stati chiave e la continuazione delle operazioni militari dentro la Striscia di Gaza potrebbero essere la miccia che farà saltare in aria il sogno di secondo mandato del presidente in carica. «Tre o quattro mesi fa, dicevamo tutti, sotto Trump poteva andare peggio – ha detto Elabed –. Ora siamo al punto in cui davvero non potrebbe andare peggio». Illusi.