Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – «Due paper scientifici in meno e quattro articoli sui giornali in più». Enrico Giovannini – ex ministro (Lavoro, Infrastrutture), ex presidente dell’Istat e attuale direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) – si è rivolto con questo consiglio agli scienziati presenti al primo Forum Nazionale della Biodiversità, la tre giorni palermitana in cui la difficile ma cruciale collaborazione tra ricerca e informazione è stata spesso al centro delle discussioni. L’evento, terminato non a caso durante l’odierna Giornata Mondiale della Biodiversità, è stato organizzato dal National Biodiversity Future Center (Nbfc), che ha tra i suoi obiettivi proprio quello di portare il tema fuori dalla nicchia delle università e dei laboratori.
Come giornalista mi sentivo un po’ “biodiverso”, una sorta di specie aliena (non invasiva, spero) all’interno di un appuntamento che ha visto la partecipazione di centinaia di scienziate e scienziati provenienti da ogni zona del Paese. Occasioni come queste sono essenziali per connettere mondi che devono necessariamente parlarsi, trovare linguaggi comuni e formule efficaci per ottenere il giusto mix tra nozione e divulgazione: è l’unica via per presentare i temi ambientali nel modo più concreto possibile. «Fuori da questo edificio la maggior parte delle persone non sa nemmeno cosa sia la biodiversità, e non sa che molte persone combattono non per proteggerla, ma per distruggerla», ha continuato Giovannini.
La biodiversità è l’unità di misura della ricchezza del nostro ecosistema: quante e quali specie animali e vegetali abbiamo, come stanno, come interagiscono e come sono distribuite. Ma la biodiversità è anche molto altro: «Molecole bioattive, sostituti alle microplastiche e altri materiali innovativi, microrganismi che possono migliorare l’agricoltura. La biodiversità che non si vede va analizzata e considerata», ha spiegato Massimo Labra, direttore scientifico del Nbfc.
L’Italia, da questo punto di vista, è come un miliardario che sta sprecando il suo patrimonio, ignaro della presenza di un punto di non ritorno. Biodiversità è quella parola che ha fatto litigare le lobby agricole con le istituzioni europee, che hanno depotenziato l’obbligo di non coltivare il quattro per cento dei terreni. Biodiversità è quella parola su cui si fonda la Nature restoration law, il pilastro del Green deal dell’Unione europea – tenuto in ostaggio anche dal governo italiano – che mira a ripristinare il venti per cento degli habitat Ue entro il 2030
A tal proposito, il National Biodiversity Future Center – lanciato nel maggio 2023, alimentato dal Pnrr e coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) – ha pubblicato un report con dei dati in grado di inquadrare in modo puntuale il tema celebrato oggi in tutto il mondo. Nel 2024, le attività umane di conservazione della natura hanno permesso di raggiungere l’obiettivo globale di protezione del sedici per cento della superficie terrestre e dell’8,2 per cento delle zone marine. L’obiettivo del trenta per cento, fornito dal Global Biodiversity Framework, è però lontano. Così come è lontano il nostro ingresso nel Simbiocene, una nuova era (ideale) in cui gli esseri umani sviluppano relazioni collaborative – non di sfruttamento – con l’intera biosfera.
L’Italia, dicevamo, è il paradiso decadente della biodiversità. Le aree protette coprono il diciassette per cento della nostra superficie terrestre e l’undici per cento di quella marina. Secondo il report del National Biodiversity Future Center, che ha istituito il primo Dottorato nazionale sulla Biodiversità, siamo il Paese europeo con la maggior concentrazione di specie e di habitat. Più del cinquanta per cento delle piante e il trenta per cento degli animali di “interesse conservazionistico europeo” si trovano nei nostri confini. Tuttavia, il sessantotto per cento degli ecosistemi è considerato «in pericolo» e il trenta per cento delle specie è «a rischio estinzione». Non a caso, consumiamo 2,4 metri quadrati di suolo al secondo. E negli ultimi trent’anni, sempre in Italia, è stato registrato un aumento del novantasei per cento delle specie esotiche invasive.
La perdita della biodiversità delinea una crisi ambientale strettamente connessa con la crisi climatica. Le emissioni antropiche di gas serra (provenienti dai combustibili fossili come gas, petrolio e carbone) stanno alterando il clima, e un clima in tilt porta temperature elevate ed eventi meteorologici pericolosi per l’uomo, gli animali e le piante. In questa equazione non possiamo dimenticare la cementificazione, ossia quel brutto vizio di ricoprire di asfalto e cemento ogni angolo del suolo, sempre più impermeabile e inospitale. È tutto collegato.
L’Italia è considerata un “hotspot climatico” a causa della presenza del mar Mediterraneo, dove si trova il trentadue per cento degli habitat europei soggetti a degrado (un record a livello continentale). Secondo il National Biodiversity Future Center, che in un anno ha studiato quasi mille specie di piante, alghe e organismi marini del bacino del Mediterraneo, per invertire la tendenza è necessario puntare anche sui citizen scientist, le vere sentinelle dei nostri territori.
La biodiversità deve (ri)trovare terreno fertile anche nelle città, non solo tramite i progetti di forestazione urbana (argomento ricco di falsi miti da sfatare) e di rinaturazione delle aree fluviali. Il centro nazionale della biodiversità, ad esempio, ha creato dei cataloghi digitali delle specie ideali per generare dei boschi urbani: un caso virtuoso è il database FlorTree, che comprende duecentocinquanta piante capaci di traspirare e ridurre le temperature – sempre più proibitive – all’interno delle città.
Ultimo, ma non meno importante, è il tema delle Nature based solution (Nbs), tra gli elementi cardine del forum di Palermo. A una natura sempre più impazzita dobbiamo reagire con la stessa moneta, ossia con altro verde e altro blu. Depavimentazione (rimozione dell’asfalto per lasciare spazio a terra battuta, aiuole verdi e altre superfici permeabili), sistemi di drenaggio urbano sostenibile, bacini, stagni urbani, tetti e pareti green: sono tutte soluzioni urbanistiche con un duplice beneficio, perché rendono le città in grado di adattarsi alla crisi climatica e stimolano il ripristino della biodiversità (due vantaggi interconnessi). Un argomento, quello delle Nature based solution, a cui abbiamo dedicato la cover story del nuovo numero cartaceo de Linkiesta Magazine, disponibile sul nostro store o in edicola.