Le promesse nei verbaliIl caso ligure dimostra che la pubblicazione delle chiacchiere è sempre distorsiva

Le frammentarie dichiarazioni dell’imprenditore Aldo Spinelli non sono sufficienti a decretare l’innocenza di nessuno, ma il punto è che non dovrebbero bastare neanche a decretarne la colpevolezza, e soprattutto dovrebbero indurre a considerare diversamente il problema della pubblicazione delle intercettazioni, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Massimo Paolone/LaPresse

Come da tradizione, tutti i giornali riportano oggi con grande evidenza le parole pronunciate dall’imprenditore Aldo Spinelli davanti al gip nel cosiddetto «interrogatorio di garanzia» (di garanzia per chi, verrebbe da domandarsi leggendo la formula su quegli stessi quotidiani che ne trascrivono puntualmente il contenuto, ma tralasciamo i dettagli).

Il titolo più illuminante mi pare comunque quello di Repubblica: «Genova, la verità di Spinelli: “Toti mi ha preso in giro, promette e non mantiene”». Illuminante perché, indipendentemente da quello che emergerà o non emergerà sulle eventuali responsabilità di Giovanni Toti, segnala un punto troppo spesso dimenticato, in tanti dibattiti su giustizia e politica, libertà di stampa e diritti dell’indagato, intercettazioni e sputtanamenti. Il punto è semplicissimo: e se fosse andata proprio così? Se il politico sotto accusa – chiunque sia, in questo o in uno qualsiasi dei mille casi analoghi passati, presenti e futuri – non avesse fatto altro che questo, cioè promettere e non mantenere? Non sarebbe poi così strano, da parte di un politico, in fondo.

Ma allora, se l’ipotesi è perlomeno plausibile, questo dovrebbe sollecitare qualche riflessione sulla pubblicazione delle intercettazioni, sulla sua reale utilità e sul suo effetto inevitabilmente distorsivo e manipolatorio (intendo: anche quando le trascrizioni non siano state concretamente manipolate a monte, come pure è accaduto).

Se il politico si limita a promettere, o magari semplicemente a lasciar credere, alludere e illudere, ma poi concretamente non fa nulla, qual è non dico nemmeno il reato, ma ancor prima il danno alla collettività, il tradimento dell’interesse pubblico? Se alla fine di tutte le chiacchiere la concessione, l’appalto, la variante urbanistica o l’assunzione non si concretizza, se insomma nulla accade, e dunque nessuno viene danneggiato, è alto il rischio che l’intero castello accusatorio crolli miseramente (non sarebbe la prima volta).

Naturalmente, ripetiamolo un’altra volta, le frammentarie dichiarazioni di un imprenditore non sono sufficienti a decretare l’innocenza di nessuno, ma il punto è che non dovrebbero bastare neanche a decretarne la colpevolezza, e soprattutto dovrebbero indurre a considerare diversamente il problema della pubblicazione delle intercettazioni, prima di bollare come «bavaglio» qualunque tentativo di porvi un freno. Come direbbe Catullo, le promesse dette da un politico a un imprenditore pazzo di lui devi scriverle nel vento, sull’acqua che scorre.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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