Quanto costa fare un vino? Dal terreno alla bottiglia, per non parlare di tutto ciò che ci sta intorno, il vino ha un costo non necessariamente evidente, a cui contribuiscono (direttamente o indirettamente) moltissime voci di spesa, che non potremmo mai intuire soltanto leggendo un’etichetta. A fare i conti in tasca ai produttori, durante l’ultima edizione del Festival di Gastronomika, ci hanno pensato il sommelier e financial advisor Marcello Brunetti assieme a Gianluca Ladu, enotecario di Vinoir, in dialogo con l’enologo Andrea Moser, responsabile per Linkiesta delle pagine di Enologika.
Lavagna bianca e pennarello alla mano, ecco una serie di spese di cui ogni consumatore dovrebbe essere consapevole nel momento in cui si trova a commentare il prezzo di una bottiglia. Dal terreno al vigneto, dalla pigiatura dell’uva all’imbottigliamento, fino a manodopera, macchinari, costi di commercializzazione e burocrazia, ma anche passaggi di filiera, marketing e molto altro, sono tanti i fattori che contribuiscono a determinare il prezzo di un vino e forse, a considerarli tutti, nessun prezzo potrebbe sembrare abbastanza.
Le spese partono prima che esista un vigneto
Per capire quanto realmente costi un vino, occorre partire dalle basi, «si inizia definendo delle unità di misura – dice Andrea Moser – ma in questo caso non partiamo da delle unità di misura legate al mercato, bensì da quei fattori che portano al costo reale di una bottiglia di vino».
Si parte dunque dal campo, prendendo in considerazione il costo dei terreni. Marcello Brunetti disegna un quadrato sulla lavagna e accanto scrive “100x100m”. L’ettaro è l’unità di misura comunemente utilizzata per le superfici agrarie, pari a diecimila metri quadrati. «Il terreno è il primo costo da affrontare quando si vuole impiantare un nuovo vigneto e il costo di un terreno può essere molto variabile a seconda delle zone, si può andare dai trentamila ai trenta milioni di euro», spiega Brunetti.
La forbice è ampia e può dipendere da diversi fattori che con il mercato hanno a che fare, eccome. Tra questi c’è la scarsità. «In Alto Adige ad esempio la terra costa molto – sottolinea Moser – ce n’è poca ed è tendenzialmente molto ambita, nonostante i vini siano considerati di prezzo medio-alto, ma comunque non quanto Barolo o Brunello di Montalcino». Sì, perché il posizionamento e la domanda di un determinato vino contribuiscono anche a influenzare il costo dei terreni nella zona vitivinicola in cui viene prodotto, ma anche quello delle uve (altra variabile fondamentale).
Poi tocca all’impianto. «Prima del Covid ci volevano circa trentamila euro – dice Moser – ma adesso che tutte le materia prime sono aumentate ce ne vogliono tra i quaranta e i quarantacinquemila, sperando di non dover andare a manipolare il nostro ettaro (altri costi, ndr)». E bisogna ovviamente tener conto dell’acquisto delle barbatelle e della manodopera necessaria.
Quanto mi costano vigneto e cantina
Si inizia a coltivare e per far crescere le piantine ci vogliono gambe, braccia e mani pronte ad attraversare ripetutamente il vigneto. A seconda del regime che si vuole seguire serviranno anche prodotti per la difesa dai patogeni, oltre ai mezzi necessari per la diffusione che, oltre al costo di acquisto che poi sarà ammortizzato, andranno sostenuti con spese in carburante e manutenzione.
Tra vigneto e cantina entra poi in gioco l’acqua. «Si usa molta acqua per fare il vino – spiega Moser – senza calcolare l’acqua per la vigna, ci vogliono dagli otto ai dodici litri di acqua per ogni litro di vino. Ci sono costi molto alti anche su questo fronte».
Si entra dunque in cantina, dove si aggiungono altre voci di spesa, come ad esempio l’elettricità. Sono diversi i macchinari che ne hanno bisogno in una cantina mediamente dotata di tecnologia, dall’azionamento di presse e pompe fino al controllo delle temperature all’interno dei vasi vinari impiegati per macerazioni e fermentazioni, per non parlare delle celle frigorifere, importanti in alcuni casi per raffreddare le uve appena vendemmiate. Le stesse cisterne in cemento, acciaio, ceramica, terracotta, legno (e chi più ne ha più ne metta) hanno un costo da ammortizzare e necessitano di pulizia e manutenzione.
A tutto questo si aggiungono i mezzi per le movimentazioni e l’immancabile manodopera, indispensabile lungo tutto il processo, consideriamo ad esempio enologi e cantinieri.
Il valore del tempo e l’immobilizzo di capitali
«Uno dei problemi più grossi del mondo viticolo è che facciamo i conti con dei tempi lunghi» dice Moser. «Chi è viticoltore sa che dal momento in cui si ha l’idea di produrre bisogna prima di tutto acquistare il terreno e sono soldi che restano immobilizzati. Poi si piantano le viti, ma perché vadano in produzione con una quantità stabile di uva ci vogliono almeno tre anni».
A quest’attesa si aggiungono i tempi per la vinificazione e ovviamente per l’invecchiamento del vino, più breve o più lungo, sia prima dell’imbottigliamento che della messa in commercio. Il tempo significa immobilizzo di capitali, dilata le spese e le rende ulteriormente difficili da inserire nella somma che poi va a determinare il prezzo della bottiglia.
Certe volte inoltre, il tempo si lega anche a un altro fattore che non viene mai nominato ma che è un po’ un elefante nella stanza della produzione di vino (e non solo di quella), ovvero la burocrazia. Permessi, certificazioni, analisi (che necessitano di prelievi e campioni), carte e scartoffie di ogni tipo, in tanti casi utili, in altri forse discutibili, contribuiscono anche ad aumentare i costi, il tempo del lavoro e le attese.
Vino pronto, si imbottiglia
Una volta completato il procedimento in vigna e in cantina, il vino è pronto per essere imbottigliato e quindi, verrebbe da dire, pronto per affrontare nuove spese, come ad esempio le bottiglie. «Durante il Covid – premette Moser – c’è stata una speculazione incredibile e solo adesso stiamo tornando ai livelli pre-pandemia. Una bottiglia di vino leggera, per impattare meno sull’ambiente, potrebbe costarci sui trentatré centesimi. Se aggiungiamo una bella etichetta, facendo tutto un conto, potrebbero essere altri trenta-quaranta centesimi l’una».
Poi ci sono i tappi. «Per un tappo di sughero monopezzo naturale ci vogliono dagli ottanta centesimi a un euro, che con la capsula salgono a due euro circa». Sono conti a spanne e possono appena valere per un vino fermo, ma moltiplicati per ciascuna bottiglia aiutano a dare un’idea di costo.
Inutile dirlo, per imbottigliare ci vuole un impianto di imbottigliamento. Acquistarne uno è piuttosto oneroso, quindi non tutte le cantine ce l’hanno e preferiscono rivolgersi ad altri produttori o imbottigliatori, ovviamente a pagamento.
I costi che non si vedono
«Dobbiamo pensare ad altre spese fondamentali ma che in pochi considerano, vale a dire le spese di commercializzazione, comunicazione e marketing», sottolinea Moser. Certo, perché per far arrivare una bottiglia su uno scaffale, dalla cantina deve partire uno sforzo in termini di investimento per portarlo in giro e farlo conoscere, tra fiere, viaggi, pubblicità e bottiglie aperte per le degustazioni. Basti pensare alle spese sostenute per andare a cercare nuovi importatori in un mercato straniero. È insomma molto raro che un buyer capiti per caso in azienda per venirti a cercare, anzi può succedere soltanto se il tuo vino diventa un fine wine di successo.
Non è solo il vino a fare il prezzo però, è anche il prezzo a fare il vino. Il prezzo può infatti essere, esso stesso, uno strumento di marketing. Nel momento in cui si decide (al netto dei costi effettivi) quale sarà il costo della nostra bottiglia, si sceglie anche il tipo di posizionamento che il nostro vino deve avere e quindi chi potrà essere interessato ad acquistarlo. Non dovrebbe mai trattarsi di una scelta arbitraria, bensì derivare da attente considerazioni di mercato, che chiamano in causa anche la reputazione della cantina stessa e della zona di produzione. «La bottiglia di base acquista un sovrapprezzo dovuto al brand della cantina o della denominazione. In ogni denominazione – aggiunge Brunetti – c’è un diverso prezzo di riferimento per il vino sfuso. Il Brunello di Montalcino o il Barolo ad esempio hanno un costo molto diverso da un generico vino rosso italiano».
Passaggi di filiera
In alcuni casi la vendita del vino è diretta, ma in altri la commercializzazione passa attraverso un’intermediazione. «Negli ultimi anni la filiera si è molto articolata» dice Gianluca Ladu, proprietario di Vinoir, Milano. «L’intermediazione del vino è un fattore che determina in buona parte il prezzo finale della bottiglia, che aumenta in considerazione dei passaggi da un interlocutore all’altro». Distributori e rivenditori (enoteche e aziende del settore horeca) applicano ciascuna il ricarico necessario a remunerare il proprio lavoro, tra percentuali di vendita, costi di trasporto, conservazione e servizio.
Ecco dunque che il vino sullo scaffale acquista le proprie cifre dopo una vera e propria catena di spese, a volte anche difficili da quantificare e da inserire razionalmente nel computo che porta al prezzo finale.
Inoltre, chiunque abbia a che fare con il cliente finale ha il compito (o dovrebbe averlo) di informarsi, comunicare e presentare il prodotto. È un po’ come se il gioco delle spese a ogni passaggio ricominciasse da capo, ma sarebbe sbagliato pensare che ogni scalino della filiera sia separato dagli altri. Il lavoro fatto a valle pesa sulla reputazione di chi produce a monte esattamente allo stesso modo, per questo tra i compiti di un produttore c’è anche quello di costruire collaborazioni affidabili e durature. Questo, come tutto ciò che chiama in causa i rapporti umani, un prezzo non ce l’ha.