Die Zeit, sotto il cavalleresco titolo “Die charmante Postfaschistin”, si domanda se Giorgia Meloni abbia mostrato finora «il suo vero volto». L’Economist le dedica un articolo dal titolo “Pragmatist or pasionaria?”. I residui punti interrogativi non cambiano però la sostanza: con il suo recente intervento all’iniziativa di Vox, dove ha rispolverato il meglio del repertorio populista e antieuropeista che l’ha portata al successo, Meloni ha messo seriamente in crisi la narrazione sulla leader pragmatica e modernizzatrice (addirittura «draghiana», secondo i più audaci). Versione sempre meno condivisa dalla stampa internazionale e ultimamente persino dalla stampa nazionale.
Al riguardo, un merito indiscutibile va dato a Francesco Lollobrigida, il celebre ministro-cognato, di cui Salvatore Merlo celebra oggi così, sul Foglio, i recenti trionfi comunicativi: «L’abbiamo osservato parlare con le mucche, gli abbiamo sentito dire “quante guerre si sarebbero evitate con delle cene ben organizzate”, poi in Parlamento l’abbiamo visto mentre spiegava che “per fortuna quest’anno la siccità ha colpito il sud e la Sicilia”, e infine ieri lo abbiamo ascoltato in un video vecchio e inedito ritornato virale che circola su internet e nel quale egli si spinge a un’analisi degli anni di piombo. Una disamina diacronica. Accurata. E che si conclude con questa esatta frase: “…fino all’episodio di Aldo Moro che fortunatamente grazie al suo sacrificio creò un allarme democratico che consentì di sconfiggere il terrorismo”». Qui però devo correggere Merlo, perché la frase esatta è: «…fortunatamente, tra virgolette, con il suo sacrificio…». Lo riporto per dovere di cronaca, lasciando decidere al lettore se la scrupolosa precisazione del ministro costituisca un’attenuante o un’aggravante (personalmente, propenderei per la seconda ipotesi).
Se avessi un po’ più di tempo, e molta più pazienza, aggiungerei all’ormai ricchissima rassegna stampa degli infortuni di Lollobrigida, chiamiamoli così, la non meno nutrita, ma ormai decisamente più datata, rassegna stampa degli articoli che ne celebravano le fortune e ne spiegavano la crescente influenza, descrivendolo come l’uomo forte del governo, titolare occulto di almeno tre ministeri (oltre a quello da lui gestito in chiaro, per dir così) in forza del rapporto e soprattutto della stima di cui lo onorava la cognata-presidente del Consiglio.
Tutti quei retroscena in cui, a ogni passo falso dei suoi parlamentari, come nel caso Donzelli-Delmastro, si riportavano le lamentele di una sconsolata Meloni sul fatto che, quando «Lollo» era capogruppo, certe cose non succedevano. Insomma, almeno a giudizio del capo, lui era quello bravo. Il che dà certamente la misura della qualità della nuova classe dirigente, ma anche delle capacità di giudizio di Meloni, che quel partito ha fondato e guidato sin dalla nascita. E fa giustizia anche della seconda indulgente narrazione sulla leader pragmatica e modernizzatrice, ostacolata solo dall’inadeguatezza di un gruppo dirigente che invece, a mio parere, si è sempre dimostrato alla sua altezza.
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