Ayatollah e pasdaranLa morte di Raisi non cambia l’Iran, ma apre la corsa per il posto di Guida suprema

Il presidente ha solo un ruolo amministrativo, quello che conta è il leader del clero. Khamenei è malato, e il principale candidato ora non c’è più. C’è una sola certezza: il successore sarà più oltranzista e reazionario

AP/Lapresse

Non si saprà mai perché è caduto l’elicottero su cui è morto il presidente iraniano Ebrahim Raisi, perché l’opacità del regime è tale da impedire qualsiasi trasparenza. In mancanza di indizi o prove concrete, si può solo dire che l’ipotesi dell’incidente è tra le più accreditate: l’elicottero era vecchissimo e, come tutti i mezzi aerei iraniani, a causa delle sanzioni era rattoppato con pezzi di ricambio costruiti alla bell’e meglio in Iran. Dunque, inaffidabile.

L’ipotesi dell’attentato ovviamente non si può escludere, ma nulla porta a convalidarla. L’unica, assoluta certezza è che se di attentato si trattasse, difficilmente sarebbe riconducibile a Israele. Questo, per varie ragioni, innanzitutto di opportunità politica (Israele non ha nessun interesse a una mossa così provocatoria), ma anche di serie storica e di precedenti: tutti gli attentati riconducibili a Israele, non uno escluso, hanno colpito sinora alti esponenti della catena militare, o nucleare o missilistica iraniana, mai dirigenti puramente politici.

Detto questo, è facile prevedere che la morte prematura del “macellaio di Teheran” non avrà riflessi sulle future strategie del regime, né internazionali, né interne. Ma al contrario terremoterà le dinamiche delicatissime della successione nel ruolo di “Guida della Rivoluzione” ricoperto, dalla morte di Khomeini, da Ali Khamenei.

La continuità nelle politiche interne ed estere iraniane dopo la morte di Ebrahim Raisi è assicurata dal fatto che in realtà, nei fatti, queste non concernono assolutamente la figura, i poteri e il ruolo del presidente della Repubblica. Ruolo essenzialmente amministrativo, di governo della macchina dello Stato, che vede tutte le strategie e le scelte di fondo, e anche il controllo dell’apparato giudiziario, il comando delle forze armate e dei pasdaran e la politica di sicurezza in senso lato, appannaggio pieno ed esclusivo della “Guida della Rivoluzione” e del suo entourage, in cui oggi fortissimo è il ruolo dei Pasdaran.

Dunque, la scomparsa di Ebrahim Raisi non provocherà con tutta probabilità nessuna scossa, nessun cambiamento, nessun sussulto nelle politiche del regime. Dopo l’interim del vice presidente Mohammad Dezfuli, si terranno nuove elezioni presidenziali che avranno una bassissima partecipazione popolare, e il suo successore, certamente un ultra conservatore, governerà la macchina amministrativa dello Stato in sostanziale continuità. La cosiddetta “ala riformista” del regime, peraltro sempre ininfluente, è scomparsa dalla scena da un ventennio.

Al contrario, però, questa morte improvvisa, come si è detto, aprirà una intensa lotta politica dietro le quinte per la successione ad Ali Khamenei che ha ottantacinque anni ed è molto malato. Questo perché sino a oggi Ebrahim Raisi era tra i candidati più quotati a succedergli. Feroce oppositore dei movimenti di protesta della piazza iraniana, nel 1999 fu scatenato nel ruolo di Procuratore generale nel reprimere nel sangue il movimento di protesta – da qui il suo appellativo – come presidente della Repubblica è stato inflessibile nel reprimere il movimento “Donna, vita, libertà!”, ma anche in piena sintonia con il gruppo di potere dei Pasdaran che hanno conquistato ormai un ruolo predominante nelle scelte del regime.

Scomparso lui, si apre il problema di candidati possibili di minore caratura che devono essere scelti non dal Parlamento, ma dall’Assemblea degli Esperti. Ovviamente il successore di Ali Khamenei deve essere un ayatollah e non può essere altrimenti. Altrettanto ovviamente, lo stesso Khamenei briga da tempo per garantire la successione ereditaria al suo secondogenito Mojtaba, un ayatollah che negli ultimi anni ha avuto un ruolo crescente nella gestione del regime. Sarebbe questa una successione “monarchica”, resa possibile, forse, dal fatto che morto Raisi non vi sono in lizza altri ayatollah di altrettanto grande prestigio e forza.

Un candidato certo è l’ayatollah Mahamud Hashemi Shahroudi, membro del Consiglio degli esperti, così come è certa la candidatura dell’anziano ayatollah Mezba Yazdi, ultrareazionario, già sponsor dell’ex presidente Mahamud Ahmadinejad.

Dunque, partita tesa ed aperta, con una sola certezza: il blocco di potere dei Pasdaran avrà un ruolo decisivo. Infatti, mentre nel 1989 la successione a Khomeini fu rapidamente risolta tutta all’interno del gruppo ristretto di ayatollah che lo avevano affiancato durante la rivoluzione del 1978-79, con un ruolo determinante dell’ayatollah Ali Rafsanjani, oggi l’influenza del “clero combattente”, degli ayatollah, è grandemente scemata.

Tutti i gangli di potere della società iraniana, incluse l’economia, le infrastrutture, il programma nucleare e missilistico, le telecomunicazioni e naturalmente tutta la grande forza militare sono controllati egemonicamente dai Pasdaran. E questi sono sotto il pieno potere di una nuova generazione di militanti rivoluzionari, più giovane, ma di poco, di quella dei grandi ayatollah formatasi ventenne nella rivoluzione del 1978-79 e poi soprattutto negli otto feroci anni della guerra con l’Iraq. Inoltre, sono proprio questi generali dei Pasdaran, con la “Forza al Quds”, a gestire in prima persona i rapporti con Hezbollah, Hamas, gli Houti e le varie brigate sciite irachene, ovvero, di fatto, la politica mediorientale iraniana.

Saranno quindi loro ad avere un peso determinante nella nomina della futura “Guida della Rivoluzione” sulla quale c’è una sola certezza: sarà un ayatollah più oltranzista, reazionario.

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