A sentire il suo entusiasmo, sembra che abbia iniziato a lavorare da meno di una settimana. È con il sorriso stampato sulle labbra e una serenità contagiosa, che il maître Marco Amato, quarantasette anni di cui venti dedicati all’Imago all’Hassler di Roma, ci saluta in un pomeriggio caldo di maggio, prima dell’apertura. Entrato qui come semplice commis di sala, Amato ha costruito la sua carriera nel tempo, facendosi strada tra i colleghi e scalando progressivamente incarichi e responsabilità sino ad arrivare ad essere uno dei volti imprescindibili di Imago. «Mi piace presentarmi come cameriere, perché di fatto, questo è quello che faccio e che amo fare da sempre.
Chiaramente ci sono state delle evoluzioni nel mio ruolo e se guardiamo da vicino, nelle mie mansioni. L’entusiasmo però non è mai mancato così come la voglia di “fare bene”, di essere al lavoro e di poter godere di questa vista ogni giorno». Quando si ha la possibilità di andare a ritroso nella memoria storica dell’ospitalità di un’insegna, è interessante fotografare non solo lo stato attuale ma l’evoluzione e il percorso avuti nel corso degli anni.
Oggi che la gastronomia interessa sempre più settori e che finalmente si è riconosciuto il peso culturale della grande cucina italiana a livello internazionale, è forse il pubblico a essere cambiato in modo più consistente. «Sono diversi i nostri interlocutori, i nostri ospiti sono più preparati, arrivano con aspettative e pensieri precisi. Parlo non solo di una conoscenza in materia – che può esserci a più livelli – ma intendo anche a livello di gusto. Il palato stesso della clientela si è evoluto nel corso degli anni – soprattutto per gli stranieri – ed è migliorato, più duttile, più aperto a novità e diversità» ci racconta Amato.
La facilità di viaggi e spostamenti ha reso anche più accessibile l’esperienza di tanti ristoranti tanto che, per un fattore di comunicazione, relazioni, ricerca e rilevanza sul territorio, spesso diventano destination anche per quelli non strettamente gourmet di professione o attitudine. La serenità di Marco va di pari passo con un’integrità professionale tangibile, ferrea nonostante le battute e le chiacchiere che scorrono nella nostra conversazione. Sotto la sua responsabilità ci sono circa una ventina di ragazzi impegnati – chi da molti anni e chi invece solo da pochi mesi – a imparare un mestiere. «Se vogliamo parlare di evoluzione e di servizio, non possiamo che constatare quanto la sala viva oggi di una condizione differente.
C’è stata una selezione naturale importante e oggi o studi, sei preparato, determinato, appassionato, oppure vieni schiacciato» continua Marco. Non solo nel fine dining, ma a tutti livelli, l’impegno di chi segue il rapporto diretto con il cliente è diventato un fattore chiave, imprescindibile, un anello di trasmissione fondamentale della visione complessiva del progetto. La cucina strabiliante di uno chef non vale nulla – e anzi rischia di essere banalizzata – quando la sala corrispondente non è all’altezza. «Il segreto per andare avanti? se vuoi essere competitivo nel nostro settore devi sapere fare un po’ tutto. Devi imparare a conoscere i vini, fare cocktail, portate piatti, sistemare l’illuminazione sui tavoli e fare composizioni di fiori, anche pulire i bagni! I ragazzi più determinati li formiamo così che possano poi prendere il volo».
In un momento di contrazione ancora fortissima sul comparto assunzioni, e con un calo progressivo di interesse e fascinazione verso il settore dell’ospitalità, ascoltare testimonianze come quella di Marco Amato è formativo, stimolante oltre che uno spiraglio di ottimismo e positività per lavoratori di tutte le età e le nuove generazioni.
Courtesy immagini Imago all’Hassler