Lo scambio dei professionisti della cucina è uno dei modi possibili di costruire l’Europa, partendo dall’enogastronomia, dal cibo e dal vino. Per rafforzare il sentimento europeo, che passa necessariamente anche dalla cucina e dalle tradizioni culinarie locali, Gastronomika racconta come gli scambi tra cuochi siano un veicolo di arricchimento delle culture nazionali e di integrazione. Facendo conoscere tradizioni e ingredienti diversi si può creare un’Europa unita, partendo dalla tavola.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere su alcune prospettive future dell’agrifood europeo con Carlo Corazza, direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia nonché membro del gabinetto della presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola.
Ad esempio, di cosa stiamo parlando quando sentiamo nominare i cosiddetti “nuovi ogm”? E quali frontiere si aprono ora? Abbiamo ripercorso con il nostro ospite l’introduzione delle nuove regole europee sulle nuove tecniche genomiche (New Genomic Techniques, Ngt nell’acronimo inglese), approvate in maniera definitiva dall’Eurocamera di Strasburgo lo scorso febbraio. Come si legge in questa nota dell’istituzione, l’obiettivo è quello di sviluppare «varietà vegetali migliorate, che siano resistenti al cambiamento climatico e ai parassiti e che diano rese più elevate o che richiedano meno fertilizzanti e pesticidi».
In sostanza, ci spiega Corazza, si tratta di ricalcare dei processi che la natura svolge da sempre, migliorando anzi gli impatti del settore su salute e sostenibilità. E in ogni caso, non dovremo preoccuparci per la sicurezza di quello che finisce sulle nostre tavole, come certa retorica politicamente interessata vuol lasciare a credere, perché il sistema di controllo del blocco è rigoroso e ogni cibo deve superare l’esame dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) di Parma per essere commercializzato nel mercato unico.
Piuttosto, quello per cui si è battuta Strasburgo è una maggiore flessibilità sugli iter autorizzativi, in modo da avere procedure più snelle per quegli Ogm che emulano i processi naturali. E ci sono stati anche dei passi in avanti sul capitolo della brevettazione: se non vengono rilevati rischi per la salute, i nuovi Ogm non dovrebbero essere brevettati, così da non far dipendere i piccoli agricoltori dalle multinazionali che, proprio coi brevetti, monopolizzano di fatto l’intera industria delle sementi. In questo modo, continua il nostro ospite, l’innovazione è a disposizione di tutti gli agricoltori e al servizio di tutti i consumatori. Le prospettive, ci dice, si annunciano positive e anche con la prossima legislatura europea dovremmo aspettarci un quadro normativo equilibrato, cioè meno “ideologico” e più “pragmatico”.
E qual è invece la prospettiva del rapporto tra produzione agricola e approvvigionamento energetico? L’agrivoltaico è il futuro del settore in Europa? La questione qui è un pelo più spinosa, almeno a sentire Corazza. A partire dal 2022, cioè da quando l’Unione europea ha deciso di ridurre la dipendenza dal gas di Mosca in risposta all’aggressione russa all’Ucraina, Bruxelles ha un enorme problema di sicurezza energetica, che è ingigantito dalla necessità di portare avanti la transizione ecologica per centrare la neutralità carbonica entro la metà del secolo. Il piano RepowerEU ha aperto la porta a una grande semplificazione delle procedure di autorizzazione per la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici, il che ha prodotto una forte pressione, ad esempio, sulle aree dell’Italia meridionale inondate dal sole e sferzate dal vento.
Ma qui ci sono anche colture importanti per l’economia italiana (e di conseguenza per quella europea, stante il nesso indissolubile tra le due, che questa stessa rubrica cerca di sottolineare). Il che significa che, oltre ai rischi per il paesaggio, esistono anche delle problematiche che investono la produzione agricola. Per dirla in altri termini, osserva il nostro ospite, non si possono estirpare migliaia di ettari di viti o di alberi secolari per mettere a terra dei pannelli solari. Piuttosto, andrebbero usati i tetti e, magari, i terreni incolti; ma se proprio dovesse rendersi necessario usare le superfici di suolo agricolo per produrre energia rinnovabile, allora la soluzione dev’essere l’agrivoltaico. Quest’ultima soluzione, spiega Corazza a Gastronomika, permette infatti di coniugare i benefici della produzione di energia dalla luce del sole mantenendo intatte le coltivazioni.
E il governo italiano ha appena pubblicato le nuove norme in materia, che interesseranno oltre un miliardo di fondi europei del Pnrr: tra le altre indicazioni, anche quelle che riguardano l’installazione di impianti “compatibili con l’agricoltura” e quelle che limitano gli impianti a terra in area agricola. Una mossa pragmatica dell’esecutivo, ci dice il nostro ospite, per coniugare la produzione sostenibile di energia da un lato e il rispetto dei vincoli paesaggistici e delle tradizioni dell’agricoltura di qualità dall’altro.