Mercoledì scorso, Olaf Scholz si è recato a Parigi con la moglie: apparentemente un normale weekend di ferie, ma i due sono andati a cena con Emmanuel Macron e sua moglie Brigitte. Difficile che le conversazioni a tavola non abbiano riguardato almeno in parte l’attuale situazione europea e i punti di attrito che si registrano nelle ultime settimane tra Francia e Germania. All’inizio del conflitto russo-ucraino, Macron ha provare a interpretare il ruolo del polo dialogante, tenendo aperto un canale di comunicazione con Mosca. Con il protrarsi della guerra, l’evolversi della situazione sul campo e la mancanza di segnali distensivi da parte di Mosca, il presidente francese ha preso atto della necessità di intensificare il supporto a Kyijv, arrivando a non escludere scenari in cui ai paesi europei sarà richiesto un impegno sul campo.
Diametralmente opposto l’atteggiamento di Scholz. Subito dopo l’invasione il cancelliere tedesco si è presentato al Bundestag annunciando una «svolta epocale», la Zeitenwende che avrebbe dovuto vedere una Germania più attiva sul piano internazionale e sulla difesa. A oltre due anni da quelle parole, è ormai consolidato il ruolo di Berlino come attore titubante su ogni nuova ipotesi di aiuto all’Ucraina, tra ritardi e compromessi. Ormai slegata da Mosca sul gas, su tutto il resto la Germania di Scholz è determinata a continuare il business as usual, fin quando possibile.
E proprio sul business, infatti, si registra un altro livello di attrito tra Berlino e Parigi. Nelle scorse settimane, Macron ha affermato ripetutamente la necessità di un coordinamento europeo sulle auto elettriche cinesi, un settore fortemente sovvenzionato dal governo di Xi Jinping che rischia di mettere fuori gioco l’indotto europeo. Echeggiando i toni di Ursula von der Leyen, ha sottolineato la necessità di un «aggiornamento» delle politiche commerciali europee verso la Cina.
Più cauto Scholz: Pechino è il primo partner commerciale per la Germania, che necessita quindi un equilibrio tra il de-risking, che mira a diminuire la dipendenza dal mercato cinese, e la necessità di ricavare spazi di autonomia. Una strategia cauta, con molti elementi razionali a suo supporto, e che non è troppo distante dalla definizione che la stessa UE da della Cina: «partner per cooperazione, competitor per l’economa e rivale sistemico». Contraddittoria quanto si vuole, ma vivida nel mostrare tutte le difficoltà del caso nella questione cinese”.
Negli scorsi giorni, Xi ha incontrato Macron a Parigi, per stemperare tensioni e discutere sul tema auto. Come riportava l’edizione europea di Politico, si era ventilato anche un passaggio del presidente cinese a Berlino, ma Scholz ha strategicamente piazzato una visita istituzionale nei paesi baltici nei giorni ipotizzati. Un atteggiamento eloquente, che cristallizza i ruoli: Macron che chiama all’azione l’UE, Scholz che tenta di rimandare tutto finché non è più possibile ignorarlo.
Il siparietto mostrato dai due leader, però, rivela qualcosa di più profondo, divenendo indicativo di due modi diversi di intendere il mondo nato dall’invasione dell’Ucraina. Da una parte, la presa d’atto che qualcosa è cambiato, e che si può (e si deve) dialogare con Pechino con la consapevolezza che serve una linea comune, una politica coordinata e una visione strategica condivisa a livello europeo. Dall’altra, la tendenza a sottovalutare i nodi aperti e a ritardare l’elaborazione di posizioni, siano esse comuni o anche solo unilaterali. Una pesante eredità della mentalità merkeliana, che ha informato la politica estera tedesca e che oggi, non a caso, trova un nuovo interprete in Scholz.
La domanda, quindi, è quale delle due attitudini consente all’Unione europea di agire da protagonista a livello globale, portando avanti la transizione mentre al tempo stesso rafforza la sua autonomia e il suo ruolo a livello geopolitico. L’impressione è che, per attuare davvero la Zeitenwende, Scholz dovrà smetterla di raccontarsi che economia e politica internazionale sono due ambiti totalmente separati.