La somma vettoriale del vento prodotto dalla velocità della barca e del vento reale non è solo la formula del vento apparente, ma è anche la ricetta segreta per provare una sensazione di pura adrenalina. È ciò che accade a bordo degli AC75 che partecipano alla competizione sportiva internazionale più antica del mondo, l’America’s Cup, le cui regate del 2024 si terranno a Barcellona dal 22 agosto al 27 ottobre. Le protagoniste dei match race possono toccare velocità quattro volte superiori a quella del vento. E, grazie ai foil (le “ali” o “braccia” laterali) che sfruttano la forza perpendicolare alla direzione di moto per spingere verso l’alto lo scafo, è come se volassero dolcemente sull’acqua. Uno spettacolo ipnotizzante.
La danza delle imbarcazioni monoscafo è però la punta dell’iceberg di un lavoro lungo e sfibrante, che vede impegnate figure professionali eterogenee. Ingegneri, fisici, meteorologi, addetti alla comunicazione, dirigenti, operai, designer e membri dell’equipaggio che per mesi lasciano la propria città e il proprio Paese per dedicare anima e corpo a una competizione lunga, esclusiva, seducente e ricca di novità intriganti, spesso decise, come da tradizione, dai vincitori dell’edizione precedente (la Nuova Zelanda nel 2021). Tra gli elementi di rottura rispetto al passato spiccano i cyclor, membri dell’equipaggio (composto non più da undici ma da otto persone) che pedalano sull’imbarcazione per alimentare i sistemi idraulici e permettere ai trimmer di regolare albero e vele. Addio, quindi, ai ben più noti grinder, che contavano sulla forza delle braccia.
I “campi base” delle sei squadre dell’America’s Cup sono sparsi per il porto di Barcellona e ricordano un po’ i paddock della MotoGP, ma in versione allargata e con una vista decisamente migliore (il mare!). Una sensazione confermata non appena abbiamo messo piede nel quartier generale della squadra statunitense, rappresentata dall’American Magic (imbarcazione del New York Yacht Club), che ha come sponsor tecnico il brand di outdoor Helly Hansen. È qui che i membri del team lavorano, si allenano e vivono nei mesi precedenti alle regate.
Fare foto è severamente vietato, perché il quartier generale è anche il polo produttivo dove si mette a punto l’imbarcazione ufficiale – un’AC75 lunga 20,7 metri e alta 26,5 metri, per un peso di 6,5 tonnellate. Entrare nella base dell’American Magic significa essere catapultati in un’altra dimensione, totalmente slegata dal clima festoso della città. Tra i container bianchi di quel piccolo “quartiere mobile” a Port Vell, infatti, si decidono le sorti dell’America’s Cup: c’è poco da scherzare. Il box della barca ufficiale e della barca da allenamento rappresenta solo una piccola percentuale dell’universo in cui vivono i membri dei team: ci sono simulatori di guida, palestre, area lounge, falegnameria. Un ecosistema indipendente dove tecnici e membri dell’equipaggio si confrontano quotidianamente.
«L’elettronica è fondamentale e le tecnologie sono in costante espansione, ma l’elemento essenziale è ancora l’essere umano. Tutti noi, per arrivare a questo livello, facciamo dei sacrifici. Il nostro team è composto da centosettantacinque persone, di cui centotrenta sono qui a Barcellona. Molti portano con sé le famiglie, ma non è facile lasciare tutto per qualche mese ed essere catapultati qui. C’è da dire, però, che in questo spazio si sviluppa un clima familiare e piacevole», confessa Terry Hutchinson, cinquantasei anni, leggenda della vela e attuale President of Sailing Operations del team American Magic. Nell’ultima edizione dell’America’s Cup, nel 2021, l’imbarcazione del New York Yacht Club si è letteralmente ribaltata in acqua mentre era in vantaggio sugli italiani di Luna Rossa: un incidente drammatico (ma tutti sono rimasti illesi) che gli americani vogliono usare come stimolo per cambiare marcia. E i presagi sono buoni.
«La gara più stimolante è sempre la prossima. Certo, mi manca essere sulla barca e gareggiare, ma questa transizione nel ruolo di President of Sailing Operations fa comunque parte del lavoro di navigazione. Spesso sono sulla barca durante gli allenamenti per capire se va tutto bene. Ho tante occasioni per lavorare con la squadra, anche se a volte è dura non sentire il vento tra i capelli e l’acqua salata in faccia. Quando, nel settembre 2023, abbiamo vinto la regata preliminare a Vilanova i la Geltrú, ho provato delle emozioni che mi hanno sorpreso: mi sentivo davvero sollevato, quasi come quando gareggiavo sulla barca. Non me l’aspettavo», aggiunge Terry Hutchinson, nominato Rolex yachtsman of the year nel 2008 e nel 2014.
Quest’anno, come anticipato, gli occhi sono tutti puntati sui cyclor, i ciclisti che pedalano senza mai fermarsi a bordo dell’imbarcazione. Grazie alla forza delle proprie gambe, i quattro cyclor producono i watt necessari per alimentare i sistemi idraulici di un mezzo che supera le sei tonnellate di peso. Capita, quindi, che ciclisti privi di esperienze in mare si trovino immersi in un mondo tutto nuovo. Qualche mese fa, per dire, si vociferava una clamorosa partecipazione di Pippo Ganna, oro olimpico a Tokyo 2020, con il team italiano di Luna Rossa. Un’ipotesi successivamente naufragata.
Uno dei ciclisti ad aver compiuto il grande passo è Ashton Lambie, pistard classe 1990 che nel 2021 – oltre a vincere l’Oro ai Campionati del mondo di Roubaix superando Pippo Ganna in semifinale e Jonathan Milan in finale – è diventato il primo nella storia a scendere sotto il muro dei quattro minuti nei quattromila metri. Ora è un membro dell’equipaggio del team American Magic, e la sua vita è totalmente cambiata nel giro di pochi mesi: «È tutto nuovo per me. Prima di American Magic, la mia unica esperienza di navigazione è stata uscire con un catamarano nella baia di Galveston (in Texas, ndr) con mia moglie e alcuni suoi colleghi per chiacchierare e cenare al tramonto», racconta il cyclor statunitense.
Ashton Lambie ha dovuto stravolgere i suoi allenamenti e la sua alimentazione: «Per questa nuova sfida ho preso quindici chilogrammi di massa muscolare, perché serve una potenza maggiore. Non ci sono tanti esempi simili in giro, è una transizione che stiamo sperimentando man mano. Ho applicato i test e i protocolli tipici del ciclismo su pista a questa nuova avventura. Il mio corpo è cambiato, sono più grosso e la mia potenza muscolare è cresciuta: era questo l’obiettivo», dice sorridendo sotto i suoi baffi rossi.
«There is no second» è il motto più celebre dell’America’s Cup, ma per Lambie non è solo una questione di performance: «Certo, l’obiettivo di tutti è vincere. E abbiamo ottime possibilità di farcela. I risultati sono importanti, ma penso che godersi il lavoro quotidiano sia ancora più essenziale, perché è un processo in cui si cresce tutti insieme, giorno dopo giorno. Penso che il vento del successo venga proprio da qui, dalla capacità di imparare l’uno dall’altro», conclude.