Esercito comuneServe un nuovo Next Generation Eu per finanziare la difesa europea

L'eurodeputato Sandro Gozi, candidato di punta di Renew Europe alle elezioni europee, spiega a Linkiesta il piano per la costruzione di un’industria bellica comunitaria e chiarisce che nella prossima legislatura i liberaldemocratici non faranno accordi coi conservatori di Meloni: «Escludiamo qualsiasi alleanza politica con l’estrema destra»

LaPresse

Manca meno di una settimana alle elezioni che decideranno la composizione del nuovo Parlamento europeo per i prossimi cinque anni. Dopo il 9 giugno si aprirà una lunga fase di negoziazioni tra i capi di Stato e di Governo e i leader dei vari gruppi politici, che porterà all’elezione dei nuovi vertici delle istituzioni europee. Sandro Gozi è uno dei tre spitzenkadidaten di Renew Europe (l’alleanza che riunisce Renaissance, Partito democratico europeo e Alde), candidato in Francia nella lista Ensemble del presidente francese Emmanuel Macron. «La difesa sarà la grande priorità della nuova legislatura europea. A nostro avviso è urgente costruire un’Europa della difesa e questo passa innanzitutto dalla costruzione di un’industria bellica comune».

Cosa dovrebbe fare l’Unione europea per raggiungere questo obiettivo?
Proponiamo un piano da cento miliardi di euro che vorremmo finanziare con lo stesso sistema del Next Generation Eu quindi con gli eurobond e con la creazione di risorse proprie dell’Ue. Questo percorso passa dagli investimenti ma anche da standard comuni nella produzione di armamenti che garantiscano l’interoperabilità tra gli eserciti europei. Bisogna lavorare anche per uno stato maggiore europeo, un centro di coordinamento politico che assicuri l’efficacia delle azioni di difesa dei ventisette. È necessario introdurre rapidamente quella forza di intervento rapido di cinquemila uomini che abbiamo già deciso con la bussola strategica ma che va resa operativa in tempi molto rapidi.

A proposito di tempi rapidi: la risposta europea alle richieste ucraine è sembrata spesso lenta e macchinosa.
Dobbiamo semplificare i processi decisionali, anche mettendo mano ai trattati. I Paesi devono poter agire e integrarsi più rapidamente, senza essere bloccati dai veti che spesso sono figli di interessi nazionali. Nel caso delle sanzioni alla Russia e degli aiuti all’Ucraina abbiamo subìto il veto di Viktor Orbán e questo non dev’essere più reso possibile.

Kyjiv chiede di poter utilizzare le armi Nato per attaccare gli obiettivi in territorio russo per limitare i danni soprattutto in città come Kharkiv. Lei cosa ne pensa?
Il tema è delicato ma non posso che condividere le posizioni di Stati Uniti, Francia, Svezia, Polonia e Paesi baltici. È strategico permettere agli ucraini di colpire i siti da cui partono i bombardamenti contro varie città, tra cui Kharkiv, che sono diventate dei poligoni di tiro per i russi. Come hanno detto Biden e Macron, non si tratta di utilizzare le armi contro i russi ma contro i siti militari da cui partono i bombardamenti. In questo senso mi auguro che presto anche Meloni possa sposare questa linea. Certo, è la prima decisione difficile per la premier che ora dovrà dimostrare di essere un partner del tutto affidabile per la Nato. Vediamo se è l’atlantista che dice di essere o se per tenersi buoni i filorussi della sua coalizione e del suo partito continuerà con il solito atteggiamento ambiguo.

Meloni punta su von der Leyen per spostare a destra l’asse politico della nuova Commissione europea. Ci riuscirà?
Ursula von der Leyen sta commettendo un grosso errore aprendo all’estrema destra. Vuole convincerci che ci sia una differenza tra i Conservatori (Ecr) di Meloni e Identità e Democrazia (Id) di Marine Le Pen e Matteo Salvini. La presidente della Commissione dice che è pronta a cooperare con tutti, anche con gli estremisti di destra a patto che siano dalla parte dell’Europa, dell’Ucraina e dello stato di diritto. Peccato che due di questi criteri non si possano applicare a Meloni: la presidente del Consiglio vuole ampliare il diritto di veto e mettere in discussione la supremazia del diritto europeo su quello nazionale. A mio avviso non ci si può definire europeisti tenendo queste posizioni. Sullo stato di diritto poi, il suo partito ha sempre votato contro gli interventi dell’Ue volti a tutelare i diritti dei cittadini polacchi e ungheresi, difendendo le violazioni dei Governi suoi alleati. Per il momento sostiene l’Ucraina perché le conviene, ma mi chiedo: se negli Stati Uniti dovesse vincere Donald Trump la posizione rimarrebbe la stessa?

Per uno la presidenza della Commissione o del Consiglio europeo si è fatto anche il nome di Mario Draghi.
Se ci fossero le condizioni, io sarei molto contento se Draghi fosse chiamato a svolgere un ruolo apicale in Europa. Certamente è una figura che può ricoprire qualsiasi carica. Vediamo dopo il 9 giugno quali saranno le posizioni di forza dei vari gruppi politici. Si aprirà un negoziato molto ampio. Se ci fosse una possibilità, ovviamente, io sarei il primo sostenitore di Draghi.

In un’alleanza larga con i conservatori di Ecr voi ci stareste?
Più von der Leyen si avvicina a Ecr più si allontana da noi. Escludiamo qualsiasi alleanza politica con l’estrema destra. Vogliamo costruire una nuova maggioranza guardando ai popolari e ai socialdemocratici ma è evidente che prima il Partito popolare europea debba uscire dalla sua ambiguità.

Stando ai sondaggi sembra allargarsi la forbice tra Rassemblement National di Le Pen ed Ensemble di Macron. Pensa che le europee possano rischiare di cambiare gli equilibri anche a Parigi?
In Francia, nei sondaggi, l’estrema destra è sempre sopravvalutata e noi sottostimati. Le conclusioni si tireranno il 10 giugno. Consideri che il quarantasei percento dei francesi che dice che sicuramente andrà a votare sostiene di non aver ancora deciso in maniera definitiva chi scegliere. La partita è molto più aperta di quanto dicono i sondaggi. Anche alle presidenziali e alle regionali il Rassemblement National era sovrastimato.

Come mai secondo lei in Italia non si è riusciti a costruire un’alleanza tra partiti di centro liberali ed europeisti?
Noi come Renew speriamo che dall’Italia arrivi un buon numero di deputati nel nostro gruppo ma Carlo Calenda ha commesso un errore. Sono sicuro che la lista Stati Uniti d’Europa farà bene e siamo molto contenti che Matteo Renzi ed Emma Bonino siano riusciti a mettere da parte le differenze personali o politiche a vantaggio delle grandi questioni europee. È stato un atto di grande responsabilità.

I vari partiti che si presentano alle elezioni hanno posizioni differenti sul patto verde europeo. Voi che giudizio date al piano di Timmermans?
Sul green deal si è fatta molta confusione e c’è stato molto populismo. Renew Europe ha detto chiaramente che l’obiettivo dev’essere la neutralità carbonica in Europa entro il 2050. L’idea di fondo quindi va bene, quello che va cambiato è il dialogo e la concertazione con il mondo dell’economia, con le imprese e con gli agricoltori, che in questi anni si è rivelato insufficiente. Stiamo pagando l’arroganza di Timmermans e l’ambiguità di von der Leyen che prima ha sostenuto con forza il green deal e ora, nella sua rincorsa verso l’estrema destra, sembra volersi smarcare da tutto quello che ha portato avanti. L’altra criticità è la scarsità di risorse per finanziare la transizione ecologica. Alcune buone pratiche come la carbon tax alle frontiere esterne dell’Unione europea —che fa pagare alle imprese non europee le violazioni delle norme ecologiche— o il fondo per la transizione giusta —che aiuta a finanziare l’adattamento alla transizione ecologica per i territori più in difficoltà— vanno nella giusta direzione. Un terzo del recovery plan è dedicato alla transizione ecologica ma dobbiamo fare di più con nuovi interventi sul modello della carbon tax. Penso a una forma di tassazione sul food waste, sulle criptovalute o sulle multinazionali digitali.

Quindi avanti col green deal?
Guardi, la priorità per i prossimi cinque anni non dovrà essere mettere nuove regole ma attuare le regole già adottate. Anche in questa legislatura ci sono stati dei passaggi e delle correzioni: pensi agli imballaggi, tanto per citare un caso in cui, secondo me, è stato giusto contrastare l’impostazione della Commissione. Dobbiamo evitare un approccio ideologico. Quindi sì, avanti con il green deal ma con un dialogo molto più forte con i portatori d’interesse e lavorando meglio sugli investimenti pubblici e privati.

L’Ue rischia di subire la concorrenza commerciale di Cina e Stati Uniti perdendosi in regole che le altre potenze rispettano in maniera minore?
L’Unione europea ha cominciato a uscire dalla fase dell’ingenuità in cui si trovava da troppo tempo. Abbiamo iniziato innanzitutto a proteggerci meglio, lavorando su un’idea di reciprocità e adottando dei regolamenti che ci permettessero di fare lo screening sugli investimenti esteri, così da poter distinguere tra le operazioni per noi strategiche e le azioni predatorie finalizzate a sottrarci imprese e know how. Sono state prese delle contromisure nei confronti delle aziende che entrano nel nostro mercato e sono sussidiate dagli aiuti di stato. Abbiamo spinto perché l’Ue applicasse le regole della concorrenza pensando a un mercato globale. Direi che le cose stanno avanzando ma per essere competitivi con le altre grandi potenze sarà necessario dotarsi di un grande piano industriale europeo che dovrà comprendere anche il settore della difesa.

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