La forza della destra estrema in Francia e, nella versione melonian-salviniana anche in Italia, ha determinato una radicalizzazione uguale e contraria a sinistra tagliando fuori il centrismo liberale. Le elezioni europee hanno certificato che questa non è la stagione e del riformismo libdem: tre nomi, Emmanuel Macron, Matteo Renzi e di rimbalzo Mario Draghi sono i simboli di questa improvvisa inattualità del terzismo. È la tendenza di questo tempo, un tempo cattivo di guerre e crisi che lascia poco spazio a razionalità, pragmatismo, moderazione, mediazione.
Al di là dei limiti soggettivi dei leader terzisti, il macronismo muore per questo. A questo punto lo scontro è tra reazione e democrazia. In Francia assume la forma classica e antica del contrasto tra destra e sinistra. I riformisti francesi (Raphäel Glucksmann, per capirci) hanno scelto di allearsi con il nuovo Fronte popolare, la grande alleanza di sinistra dominata da idee piuttosto estremistiche, demagogiche sul piano economico e molto discutibili sulla politica estera: com’è possibile che un grande sostenitore della causa ucraina come Glucksmann stia con i filorussi di Mélenchon? La risposta che lui dà potremmo tradurla in parole semplici: vale tutto. O come dicevano i latini: primum vivere, deinde philosophari.
Prima di tutto bisogna impedire a Marine Le Pen di ottenere la maggioranza assoluta del Parlamento contrastandola collegio per collegio, dove Macron arriverà spessissimo terzo. Tutto il resto si vedrà dopo. Questo significa che ci sono momenti in cui i riformisti sanno accantonare le loro idee per accettare un compromesso con i massimalisti in nome di una battaglia di principio preliminare a tutto il resto.
Qui sta la superiorità politica dei riformisti: nella loro duttilità. I massimalisti no, loro tirano dritto fino a sbattere il muso contro la realtà. Perciò vanno aiutati. Anche in Italia vediamo una destra arrembante, forte, disposta a qualunque cosa pur di restare al potere. Si è ormai capito che Giorgia Meloni non è la Democrazia cristiana del ventunesimo secolo ma una lepenista più scaltra e atlantista (almeno finché le conviene), mentre Roberto Vannacci scimmiotta proprio il fascismo tradizionale.
Alle europee l’elettorato non di destra si è indirizzato soprattutto verso il Partito democratico e non ha creduto a chi non sta né di qua né di là. Però non è che siccome Renzi e Carlo Calenda non hanno superato lo sbarramento i riformisti non ci siano più. Intanto nel Pd ci sono eccome, e paradossalmente, proprio mentre Elly Schlein non ha avversari, questo è il loro momento: sta ai riformisti scrivere quel programma di governo vagheggiato da Romano Prodi.
Nel giro riformista interno e contiguo al Pd esistono competenze di valore, ed esiste comunque un’area democratica importante, a cominciare dagli elettori dell’ex Terzo polo, ci sono poi socialisti, liberali, cattolici democratici, radicali. È una massa critica che deve condizionare la sinistra italiana che peraltro è molto meglio di quella francese. In quale forma si vedrà. Ma si può fare. In Francia, in Italia.