Che la destra non ami Sergio Mattarella è cosa risaputissima da anni. Che però lo squaderni a sei giorni dal voto è un autogol clamoroso. Follia pura. Chiedere, anche se retoricamente, le dimissioni del presidente della Repubblica come ha fatto il personaggio forse meno equilibrato dei leghisti, Claudio Borghi, è darsi una martellata in stile Tafazzi: «Se il presidente pensa davvero che la sovranità sia dell’Unione europea invece che dell’Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi, perché la sua funzione non avrebbe più senso». Una grossolana chiosa al discorso di Mattarella che nel giorno della Repubblica aveva esaltato il ruolo dell’Europa.
Borghi, si dirà, è un mattocchio. Rincarare poi la dose da parte del capo della Lega nonché vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini non è meno demenziale, ma più grave. Un attacco a freddo alla figura più apprezzata e rispettata dai cittadini si spiega solo con questa specie di delirio di onnipotenza che nel tratto finale della campagna elettorale sta gonfiando le vene degli esponenti della destra. A partire da Giorgia Meloni, che nella sua furia autoreferenziale attacca tutti, anche chi non c’entra niente, come è capitato al cardinale Matteo Zuppi.
Salvini, ricalcando la “teoria” di Borghi, ha stiracchiato un discorso privo di senso: «Abbiamo un presidente della Repubblica perché c’è la Repubblica, io penso all’Europa come Stati sovrani che si mettono insieme, ma la sovranità nazionale è fondamentale. Non mi arrenderò mai a un super Stato europeo dove comandano quelli che hanno i soldi». Parole da bar. Che rivelano una totale ignoranza dei trattati e per l’ennesima volta il fastidio – eufemismo – per la persona di Sergio Mattarella e per la sua funzione di presidente della Repubblica: è cominciata la campagna elettorale per il premierato? Assisteremo nel prossimo futuro a un crescendo di attacchi al Quirinale?
Figurarsi se Mattarella può darsi pensiero per le boutade leghiste. E però non c’è dubbio che tra la destra (di cui la Lega rappresenta la faccia più feroce ma in un certo senso più sincera) e il Colle la tensione sta venendo allo scoperto, complici anche le differenze sulla politica estera.
Sull’Europa, ma anche sulla guerra scatenata dalla Russia, sulla quale Mattarella aveva detto che bisogna rifiutare «baratti insidiosi: sicurezza a detrimento dei diritti, assenza di conflitti aggressivi in cambio di sottomissione». Cioè parole molto diverse da quelle del governo sulle recenti scelte sulla difesa dell’Ucraina con cui l’Italia ha detto no all’uso delle armi per colpire i siti russi da cui partono gli attacchi di Mosca.
Nel solito pavido silenzio di Meloni, per non parlare di quello della solitamente rumorosa seconda carica dello Stato, il compito di attaccare i leghisti è spettato naturalmente alle opposizioni, dal Partito democratico a Carlo Calenda e Matteo Renzi, da Giuseppe Conte a Riccardo Magi che ha bollato come «eversiva» l’uscita di Borghi.
Diciamo la verità, attaccando il Capo dello Stato, i leghisti (e Meloni che li copre) hanno fatto un bel regalo a Elly Schlein, nella parte della grande sostenitrice di Sergio Mattarella e delle sue prerogative. Quando ieri sera in una piazza nel cuore di Roma più piena del solito ha citato il presidente della Repubblica è partito l’applauso più lungo. Una carta buona, a sei giorni dal voto.