Ecoprofughi L’impatto della crisi climatica sui flussi migratori dal Bangladesh verso l’Italia

«Casa di mia nonna non c’è più. Ora c’è l’acqua», racconta Awolad Hossein, originario del distretto di Shariatpur. Il Paese asiatico è uno dei più minacciati dalle alluvioni e dall’innalzamento del livello del mare: fenomeni che potrebbero diventare cause sempre più dirette delle migrazioni verso l’Europa

Una casa nella città di Sylhet, in Bangladesh, sommersa dopo un’alluvione (AP Photo/LaPresse, ph. Mahmud Hossain Opu)

In Bangladesh alla fine del 2023 c’erano cinquantacinquemila sfollati interni a causa di disastri ambientali. Nello stesso anno, i movimenti forzati di persone all’interno dei confini del Paese per gli eventi climatici estremi sono stati circa 1,8 milioni. Il quadro disegnato dal Global report on internal displacement del 2024, realizzato dall’Internal displacement monitoring centre, è il riflesso della fragilità del territorio di fronte alla crisi ambientale e climatica: nel 2021 il Global climate risk index lo ha collocato al settimo posto tra i Paesi che hanno subito maggiormente l’impatto del riscaldamento globale. 

«Il Bangladesh è un’enorme pianura alluvionale. Ci sono oltre settecento fiumi e circa settecentodieci chilometri di costa. È completamente circondato dall’acqua e, quindi, sensibile all’innalzamento dei mari», spiega Francesco Della Puppa, sociologo all’Università Ca’ Foscari di Venezia e ricercatore nel campo delle migrazioni internazionali con un focus sulla “diaspora bengalese” verso l’Europa. L’innalzamento del livello del mare comporta da un lato che alcune aree vengano invase dall’acqua, dall’altro l’avanzamento del cuneo salino. È un fenomeno che si verifica quando l’acqua salata riesce a penetrare nel corso del fiume e che ha tra le sue conseguenze l’erosione degli argini e l’infertilità dei terreni coltivati. «I villaggi a ridosso dei fiumi rischiano di essere mangiati perché le rive vengono erose», aggiunge l’esperto. 

«Il fiume in Bangladesh è un elemento fondamentale. Ti porta qualche cosa positiva, ma anche tante negative», racconta Awolad Hossein, originario del distretto di Shariatpur. È arrivato in Italia nel 2004, all’età di sedici anni, per ricongiungimento familiare. Il padre, infatti, era migrato negli anni Novanta. Oggi Hossein vive a Mestre e lavora in un ristorante a Venezia. «Quando ero bambino, da casa di mia nonna dovevo camminare più di mezz’ora per arrivare al porto da dove una volta si prendevano le imbarcazioni che ti portavano fino a Dhaka», ricorda. «Ora, casa di mia nonna non c’è più. C’è l’acqua». Le persone che abitavano in quella zona, un tempo contadini, perdendo la terra hanno visto scomparire la loro principale fonte di guadagno. 

«In Bangladesh più di cinque milioni di persone abitano in aree vulnerabili e subiscono gli effetti del surriscaldamento globale», stima Della Puppa. Oltre all’innalzamento dei mari, le coste sono colpite dal passaggio di cicloni. Il 26 maggio l’ultimo, il ciclone Remal, ha provocato diciassette vittime. In totale ha distrutto oltre trentacinquemila case e in più ne ha danneggiate quasi centosedicimila. Inoltre, il ciclone Remal, con una durata eccezionale di trentasei ore, è stato uno dei più lunghi ad abbattersi sul Paese. La crisi climatica ha avuto un impatto su questo triste record. 

Come spiega Della Puppa, l’insieme di questi fattori genera un flusso migratorio interno verso la capitale: «Ogni giorno circa duemila persone si spostano dai villaggi rurali minacciati dagli eventi meteorologici estremi per andare a Dhaka». A causa dei continui arrivi, la città diventa sempre più popolata. Con lei crescono le sue periferie e i basti – così vengono chiamate le “baraccopoli” nel subcontinente indiano. «Questa migrazione interna influisce sulla qualità della vita di Dhaka, sempre più sovraffollata. Di conseguenza, molte persone decidono di migrare verso l’esterno», racconta il sociologo. La loro meta è l’Europa, in particolare, l’Italia. 

Secondo i dati raccolti da Istat, in Italia ci sono 174.058 persone originarie del Bangladesh. In Lazio sono circa quarantaduemila, in Lombardia ventiseimila e in Veneto quasi ventimila. La metà dei residenti in Veneto di origine bengalese abita in provincia di Venezia, dove si trova una delle comunità più ampie dopo quelle di Roma, Milano e Napoli. Come Awolad Hossein, anche Palash Rahaman vive in provincia di Venezia, precisamente a Favaro Veneto. Rahaman è originario della città di Khulna ed è arrivato in Italia nel 2001. In vent’anni ha visto la comunità bengalese crescere. Al suo arrivo a Mestre, dopo aver vissuto qualche anno a Bolzano, i negozi che vendevano cibo, giornali e videocassette bengalesi erano solo due. Così come due erano le associazioni che organizzavano le attività culturali e religiose della comunità. «Adesso quelle due organizzazioni non esistono più, ma ce ne sono almeno altre trenta più piccole», racconta. Lavorando in veste di giornalista anche Rahaman, come Hossein, ha visto gli effetti degli eventi climatici estremi. Ma nessuno dei due è partito per sfuggire alla crisi ambientale. 

Come spiega Francesco Della Puppa, infatti, è difficile che le persone colpite dai cambiamenti climatici partano per l’Italia: «Emigrare implica avere risorse economiche e chi vive nelle aree più a rischio non riesce a mettere da parte cifre simili». Il riscaldamento globale non è causa diretta dei flussi che arrivano in Europa, ma i due fenomeni sono parte dello stesso meccanismo. «La crisi ambientale in un certo senso stimola le migrazioni dal Bangladesh verso l’esterno – puntualizza Della Puppa –. Chi arriva in Italia scappa dalla bassa qualità della vita che si è creata nelle città a causa del sovraffollamento e dell’arrivo di migranti climatici». Questo meccanismo, però, è destinato a smettere di funzionare, a incepparsi. «A lungo andare questa situazione non potrà tenere e inizieranno ad arrivare ecoprofughi anche in Europa. Oppure, i flussi da questi Paesi saranno via via più massicci, perché i movimenti interni spingeranno sempre più persone ad andare all’estero», conclude. 

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