Matteo Renzi e Carlo Calenda sono divisi anche su che cosa fare dopo la batosta elettorale del 9 giugno. Entrambi pensano che l’esperimento di costruire una casa riformista (Renzi) o un partito liberal-democratico (Calenda) debba continuare. Come e con chi e se, nonostante gli elettori si siano divisi un po’ di qua e un po’ di là, anche stavolta ci saranno veti non è dato sapere, ma immaginiamo di sì.
Renzi ha detto che «non si può ripartire dai protagonisti della recente telenovelas», prefigurando un suo passo indietro in un congresso straordinario in autunno, e aggiungendo che «personalmente» crede che il percorso per la costruzione di questa casa libdem, riformista e popolare «debba essere portata avanti da persone nuove, diverse da chi ha fatto fallire il Terzo Polo».
Con Calenda è sempre più complicato. Durante la conferenza stampa post elettorale ha annunciato una fase costituente del partito liberal-democratico, e ha assicurato che dopo la caduta «ci si rialza, ed è quello che faremo», prefigurando quindi nessun cambio al vertice di Azione e la conferma della strategia politica non premiata sufficientemente dagli elettori.
Nel tardo pomeriggio, però, il Foglio ha svelato con tanto di virgolettati di Calenda che il leader di Azione avrebbe messo a disposizione il suo mandato, in quanto tra le altre cose responsabile della rottura del Terzo Polo, ma poco dopo l’ufficio stampa di Azione ha smentito categoricamente: «Leggiamo con stupore sul Foglio.it di ipotetiche dimissioni di Carlo Calenda dalla segreteria di Azione. È esattamente vero il contrario: nel corso di una Direzione politica che si è tenuta oggi pomeriggio è stato posto con forza il tema del rilancio del partito e della sua iniziativa politica. Altro che dimissioni di Calenda».