Ancora una volta, all’indomani del voto, i giornali italiani esultano per il ritorno del bipolarismo. Che lo facciano Giorgia Meloni e la destra è comprensibile: dal 1993 in poi questo sistema ha proiettato a Palazzo Chigi estremisti e populisti sempre più impresentabili, che ai tempi del proporzionale non avrebbero potuto ambire nemmeno alla guida di un consiglio comunale. È invece patologico che a farlo, nelle loro interviste e nei loro editoriali, siano quegli stessi leader e commentatori di sinistra i quali, nelle pagine accanto, lanciano preoccupati allarmi per le sorti della democrazia e l’incombente deriva autoritaria. Senza mai lasciarsi nemmeno sfiorare dal sospetto che la favola parli proprio di loro.
Non infliggerò dunque al lettore di questa newsletter il riassunto dell’immancabile intervista a Romano Prodi all’indomani della vittoria, genere letterario-giornalistico ormai consolidato che i cultori possono trovare oggi sulla Stampa, e nemmeno un commento sull’esultante intervista di Elly Schlein a Repubblica, in cui la leader del Pd torna al vecchio gioco di utilizzare come punto di riferimento il peggiore sondaggio della fase precedente (14 per cento), anziché il precedente risultato elettorale (19), così da poter sostenere di avere guadagnato dieci punti in un anno, anziché cinque (che è già moltissimo, e rende quindi ancora più insensato il trucco). Suggerirei di leggere bene, invece, l’angosciante intervista a Charles Kupchan pubblicata proprio su Repubblica diverse pagine più in là.
«Per la prima volta nella vita avverto una paura esistenziale», dice l’esperto di relazioni internazionali, già consigliere della Casa Bianca con Clinton e Obama (e autore nel 2013 di un saggio, «Nessuno controlla il mondo», pubblicato in Italia dal Saggiatore, ancora utilissimo per capire il mondo di oggi). «Il voto europeo anticipa Trump, ma per ora il centro tiene. Il risultato diventerà molto più buio se lui vincerà le presidenziali a novembre. Allora la deriva verso lo smantellamento della democrazia liberale sarà inarrestabile e Giorgia Meloni cambierà posizione in pochi minuti per allinearsi».
Bastano queste quattro righe per capire che Kupchan non appartiene alla folta schiera di esperti internazionali chiamati regolarmente a commentare le faccende di casa nostra ripetendo stancamente ai giornali italiani le stesse fregnacce che hanno letto sulle loro pagine (come il mito dell’evoluzione europeista e modernizzatrice, addirittura draghiana, della destra meloniana). Al contrario, sono i giornalisti italiani che farebbero bene a leggere lui: «C’è una pericolosa somiglianza tra la demografia che negli anni Venti e Trenta sospinse fascismo e nazismo, soprattutto classe media e lavoratrice, e quella che oggi vota la destra. Ciò rende questo momento spaventoso. Hitler andò al potere legalmente e poi cambiò il sistema dall’interno. Oggi non stiamo vivendo colpi di stato militari, ma la volontà popolare porta al potere persone che poi ne abusano. Se hanno super maggioranze, controllano media e sistemi giudiziari, mettono in prigione i dissidenti, batterli alle urne diventa impossibile».
E adesso tornate pure a leggere le pensose interviste e i numerosi editoriali di padri, cugini e zii nobili del centrosinistra che da trent’anni inneggiano al bipolarismo e al maggioritario, scommettendo sulla «polarizzazione», proprio come fece Enrico Letta, affettuosamente consigliato da Prodi in tal senso, alle elezioni del 2022.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.