Personalmente provo un certo disagio nel leggere sui giornali che Giovanni Toti, secondo il tribunale del Riesame, deve restare agli arresti domiciliari «in quanto ha dimostrato di non aver compreso appieno la natura delle accuse» e dunque potrebbe reiterare il reato. In un’intervista al Corriere della sera, il leader del suo partito, Maurizio Lupi, la definisce una sentenza da Tribunale dell’Inquisizione, in cui si usa l’arresto come strumento di pressione per estorcere una confessione, o quanto meno per costringere l’indagato alle dimissioni.
Giuliano Ferrara sul Foglio riassume la questione così: «Da due mesi il presidente della giunta ligure, Giovanni Toti, è detenuto in casa sua. Sequestrato ad Ameglia. Un’indagine durata quattro anni, con largo uso di intercettazioni dirette e ambientali, non ha trovato per adesso prove decisive di corruzione, solo pettegolezzi di incontri su una barca, insinuazioni sui finanziamenti ai comitati elettorali e sul famoso voto di scambio, illazioni su amicizie e frequentazioni di imprenditori privati, generici sospetti su licenze a uso commerciale». Ma non c’è bisogno di essere sodali o sostenitori di Toti per restare stupiti dall’arresto di un presidente di Regione, dopo ben quattro anni di indagini, in nome di esigenze cautelari divenute improvvisamente indifferibili prima del voto e che tuttavia si prolungano indefinitamente anche dopo.
E se domani Toti si dimostrasse innocente e fosse scagionato da tutte le accuse? Come giudicheremmo quanto accaduto nel frattempo, comprese, magari, le dimissioni che alla lunga sarà verosimilmente costretto a dare, come gli chiedono le opposizioni in piazza? Questa sinceramente è la domanda che mi angoscia di più, e non perché non sappia la risposta. La so benissimo, invece: nei giudizi, nelle analisi e nei comportamenti di tutti i principali protagonisti sulla scena non cambierebbe assolutamente nulla.
Non cambierebbe nulla nel modo in cui questi casi vengono trattati sui giornali e nella lotta politica, e tanto meno nell’eterno dibattito sulle riforme della giustizia, uno dei tanti terreni su cui la regressione populista del Pd e del centrosinistra nel suo insieme sembra condannarci a un eterno ritorno dell’uguale. Tra abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e introduzione del reato di traffico di influenze illecite (per di più in assenza di una disciplina delle attività di influenza lecite), abbiamo di fatto messo fuori legge la politica. Ma a chi volete che importi. Tanto, chi se ne occupa più, di politica?
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