Ammettiamolo: l’avantindrè di Forza Italia sul decreto carceri e sulla proposta di legge Giachetti non è stato uno spettacolo di miserabilità politica, ma una collettiva prova d’artista e un tributo mimetico al genio del fondatore. Ministri, sottosegretari e parlamentari hanno prima detto che bisognava fare qualcosa contro il sovraffollamento e che il provvedimento del Governo era insufficiente e hanno pure presentato o sostenuto proposte di modifica ragguardevoli e coraggiose.
Chiamati poi a rapporto e redarguiti dal sottosegretario alla galera Andrea Delmastro Delle Vedove e convocati dalla responsabile giustizia del Capitano, Giulia Bongiorno (presente-assente, come suo solito, il ministro Carlo Nordio), hanno fatto una rapida marcia indietro, ritirato tutti gli emendamenti significativi al Senato e rimandato in commissione la proposta Giachetti alla Camera, dichiarandosi soddisfatti di un compromesso concentrato su due scartine ridicole, in materia di detenzione domiciliare degli ultra settantenni e di coinvolgimento dei servizi di volontariato nell’affidamento in prova dei detenuti per i reati meno gravi. Immagino però si ritengano soddisfatti soprattutto del risultato: quello di avere consolidato l’immagine dei (con rispetto parlando) garantisti della compagnia della forca.
Sarà che Berlusconi, da consumato mestierante del teatrino del potere, ha insegnato loro che il vero prodotto, della politica come della tv, è la pubblicità. Sarà pure che il Cavaliere buonanima davvero credeva che la rappresentazione della realtà e la realtà della rappresentazione coincidano e che la politica sia un luogo, come diceva Gigi Proietti del teatro, in cui tutto è finto, ma niente è falso e che nel prendere per il culo elettori e consumatori ci sia una specie di verità più preziosa – e più a misura del sentimento umano – di quella tristemente somministrata dalla grigia contabilità dei fatti e malamente digerita dall’io razionale e dal super-io morale.
Sarà infine che la difesa e la dilatazione delle nicchie del mercato politico di Forza Italia si sta oggettivamente giovando di retoriche double face e di recitazioni targettizzate e che quindi sulla giustizia si possono combinare, come già faceva il Cavaliere, garantismi neomelodici e cattivismi tonitruanti, senza timore del principio di non contraddizione, perché in ogni elettore c’è il cuore di una potenziale vittima della giustizia, ma pure quello di una potenziale vittima della criminalità, e quindi in ogni bravo italiano convive potenzialmente lo spirito di chi soffre fino alle lacrime a vedere l’indagato Giovanni Toti ai domiciliari e di chi gode fino all’orgasmo nel vedere clandestini e zingaracce marcire nelle celle piene di topi.
Fatto sta che gli epigoni di Berlusconi hanno imparato perfettamente questa lezione e hanno ragione a farsene vanto e a rimandare all’esempio del Cavaliere la responsabilità di questa doppiezza. Ma scemo chi crede che il loro garantismo sia di altro conio.