Il peggio deve ancora venireL’estate precaria del sollievo democratico

In Francia e nel Regno Unito, le sinistre hanno vinto grazie all’abilità nell'interpretare i sistemi elettorali e istituzionali più che per un ampio consenso popolare. Per mantenere il potere dovranno risolvere questioni chiave come la crescita economica, la transizione energetica, la protezione del welfare e la deindustrializzazione

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Gli eurodeputati socialisti, alla vigilia del voto per Ursula von der Leyen che li confermerà parte della maggioranza di governo delle cose europee. I molti leader e leaderini del Nuovo Fronte popolare francese, intenti a litigare e a smontare a velocità record un successo elettorale conseguito a velocità altrettanto record. E Keir Starmer, nel suo studio a Downing Street, mentre misura gli effetti del suo discorso programmatico di esordio da primo ministro britannico. Tutti loro, protagonisti felici delle ultime settimane di cronache elettorali e politiche, faranno bene a ricordarsi che là fuori, mandati temporaneamente all’opposizione, ci sono partiti di destra che sono stati sconfitti più dalle tecniche della politica che dalla volontà degli elettori.

Le sinistre europee sono tutte tornate sul ponte di comando, più o meno sorprendentemente, certo grazie alle loro qualità, ma soprattutto grazie a interpretazioni dei rispettivi sistemi elettorali e istituzionali molto più professionali ed efficaci di quelle dei loro antagonisti.

Alla schiacciante maggioranza ottenuta all’interno dei Comuni, non corrisponde per i laburisti inglesi quasi nessun recupero nel consenso popolare rispetto alle elezioni perdute nel 2019 contro Boris Johnson. Il flusso di voti dai Tories verso sinistra è stato limitato. I collegi working class del Nord e delle Midlands che una volta erano feudi laburisti non sono tornati tali: semplicemente, alla ribellione elettorale che nel 2015 e 2019 aveva cancellato quel dominio storico si è aggiunto il ripudio verso i conservatori che hanno tradito la fiducia da poco ricevuta. Il doppio rifiuto verso i due partiti principali ha trovato sbocco nel voto per la destra nazionalista di Nigel Farage. Il sistema elettorale, maggioritario secco di collegio, ha fatto il resto.

Un recentissimo sondaggio dopo-voto di YouGov segnala che ben il sessantotto per cento dei britannici non nutre particolari speranze nel governo Starmer. La metà di questi scettici gli concede comunque il beneficio del dubbio. L’altra metà, neanche questo. È  chiaro che lui ha un lavoro difficile, davanti a sé.

Dall’altra parte della Manica, i leader emergenti del centro e delle sinistre francesi hanno reagito con prontezza e professionalità alla dissoluzione anticipata dell’Assemblea nazionale: prima con l’aggregazione dei diversi nel Nuovo Fronte Popolare, poi con un’applicazione perfetta del sistema della desistenza nei collegi al turno di ballottaggio. In questi giorni stanno rovinando questo bel risultato con furibonde litigate en plen air su chi lo debba gestire guidando il nuovo governo.

Fanno molto male, perché i francesi che li osservano hanno già votato per il Front National per il trentuno per cento alle europee di inizio giugno, per il trentatré per cento al primo turno delle legislative e al trentasette per cento ai ballottaggi (ancorché persi per il mix tra la desistenza altrui e la cattiva qualità dei candidati propri). Un trend crescente che segnala che il miracolo della festa di domenica 7 luglio in Place de Stalingrad non si ripeterà facilmente.

Infine, a Strasburgo, centotrentasei eurodeputati del gruppo S&D si accingono a votare, quasi tutti, per la conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. È una scelta che conferma come le sinistre riformiste siano determinanti nel governo dell’Unione, grazie a una buona tenuta elettorale in tutti i paesi del continente ma soprattutto grazie – anche qui – a una confidenza con le istituzioni di Bruxelles che rende i socialisti incomparabilmente più forti, più abili e più affidabili rispetto alle destre che volevano travolgere la Ue con la loro ondata di voti popolari.

Tutto quello che i socialisti hanno in abbondanza – tradizione, professionalità, senso politico, propensione all’unità interna, alle alleanze e ai compromessi – manca completamente alle armate Brancaleone che avrebbero voluto disfare Berlaymont e si ritrovano frazionate in tre gruppi, emarginate, ininfluenti e rissose al proprio interno come del resto è inevitabile quando il nazionalismo è la tua identità e i confini sono il tuo totem intoccabile.

Eppure, prima o poi perfino i capi delle destre capiranno come si fa. Già oggi, sapendolo fare e mettendosi tutti insieme, sarebbero il primo gruppo del Parlamento europeo e conterebbero per un ventisei per cento, ben più dei socialdemocratici. Ora è fantapolitica, ma con la velocità della politica attuale nessuno può escludere che il magnete del potere non prevalga presto sul primitivismo populista, magari con un aiutino da Mosca. O che le manovre dei Popolari europei non riescano – forse non in questa legislatura, ma già nella prossima – a tirare fuori dal freezer una bella fetta di destra per sostituirla ai socialisti. Tutti i termometri avvertono le sinistre europee della stessa cosa: questa loro estate felice è altamente precaria.

Quello messo meglio di tutti, Keir Starmer, conferma nel discorso di insediamento letto da re Carlo III di avere una ricetta più o meno per ogni problema del Regno Unito ma anche di voler tenere il profilo basso con le promesse: sa che i laburisti sono sopravvissuti al giudizio degli elettori perché ora ritenuti più affidabili dei Tories, non perché più di sinistra o più moderati. Ha ben presente quei numeri sulla diffidenza verso di lui da parte del paese, soprattutto dagli inglesi più afflitti dalle conseguenze del declino industriale di grandi aree del Nord. Si impegna con loro sulla crescita economica, sulla protezione dalla transizione energetica (sulla quale il Regno Unito ha obiettivi altissimi), su un grande piano di edilizia popolare e sul ripristino di servizi pubblici di base decenti, sanità in primis.

È una traccia da seguire, pur nelle diverse condizioni. Con la probabile rielezione di Von der Leyen, il Parlamento europeo lancia un segnale di continuità. Che è un fatto positivo, visto il segno nero che avrebbe potuto avere la discontinuità, ma non molto entusiasmante di per sé.

Visto che dagli emicicli di Strasburgo e Bruxelles non si governa, gli eurodeputati di sinistra dovranno prima possibile lanciare messaggi di novità e di affidabilità per interloquire con la versione italiana dello scetticismo inglese, che non ha poi motivazioni tanto diverse: chiede investimenti pubblici nelle infrastrutture della sanità e del welfare, chiede una transizione energetica ed ecologica molto protetta e accompagnata, chiede di frenare il processo di deindustrializzazione che in Italia è perfino più prepotente che in Inghilterra. Tutte politiche che in Europa si possono fare. Anzi, che solo in Europa si possono fare veramente.

Se fuori alla porta delle sinistre vittoriose alle elezioni preme ancora (e sempre di più) una folla di dubbiosi, arrabbiati, scontenti, elettori di destra potenziali o effettivi, la cosa da fare non è tenere forte la maniglia, ma bensì spalancare la porta e affrontare tutte le ragioni di questa insoddisfazione. Altrimenti l’estate del sollievo democratico sarà veramente breve.

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