Cento stories di solitudineGli ex Ferragnez, la fantasia del danno reputazionale e noi fanatici

Per evitare di essere percepita come radioattiva dagli sponsor, Chiara si presenta come una persona normale e accessibile, mentre Federico Lucia esibisce uno stile di vita lussuoso e, solo adesso, si lamenta di quando sua moglie si mostrava su TikTok mentre lui era su un letto d’ospedale

Unsplash

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quella remota stagione in cui alla nazione era sembrato che farsi pagare bene per delle vendite di beneficenza fatte male fosse un argomento di scandalo con cui tirare avanti un anno invece che al massimo due pomeriggi.

Qualche anno dopo io, ieri, di fronte all’Instagram di Federico Lucia, già marito della Ferragni, mi sono ricordata d’uno scandalo di cui lui neppure sa, uno tutto mio e d’un certo editore, uno legato al Natale 2016, alla sua vacanza con Rovazzi, al rap dell’Oviesse.

Le storie di Instagram esistevano da pochi mesi, e potremmo ipotizzare che senza di esse – senza quel tipo di dipendenza che danno le cose a tiratura limitata, se non le guardi subito poi spariscono e non le vedrai mai più, ed è in quel modo che diventa importantissima roba di cui altrimenti non t’importerebbe niente – nessuno si sarebbe mai messo a seguire le vicende di coppia ferragne.

Ma invece ci eravamo messi a guardarli e – sembrano passati sette secoli – sapevamo che lei lo chiamava «raviolo» e lui «raviolona». A Natale andarono mi pare in America, con Fabio Rovazzi. Rovazzi è fondamentale perché all’epoca non c’era il perpetuo documentario di coppia, e Rovazzi invece già era filmaker, e quindi a gennaio montò un video della vacanza, come i Super8 di quand’eravamo piccoli noi (e Rovazzi neppure era nato) ma più spiritoso.

A un certo punto si vedeva lei vestita da rapper, le parole della canzone gliele aveva scritte il fidanzato: «Io sono Chiara F/ E tu che cazzo vuoi/ Ti vesti all’Oviesse». Ne scrissi su una rivista di moda con cui collaboravo all’epoca. La settimana dopo la povera direttrice fu costretta a un editoriale di scuse: l’Oviesse minacciava di ritirare la pubblicità.

Erano gli ultimi sprazzi degli interessi degli inserzionisti per i giornali, quando ancora non investivano tutto il loro budget sulle Ferragni del mondo, quando già si illudevano esistesse il danno reputazionale ma pensavano potessero realizzarlo i giornali. (Ieri Natalia Aspesi raccontava, nel parlare dei novant’anni di Giorgio Armani, d’una stilista che decenni fa le aveva detto che, avendo lei scritto meno della sua sfilata che di quella d’altro stilista, avrebbe tolto la pubblicità a Repubblica: il Novecento era un secolo stupendo per molte manifestazioni dell’animo umano, tra cui il delirio d’onnipotenza, che accomunava giornali e stilisti).

Dal gennaio 2017 è cambiato tutto, compreso il fatto che ormai Chiara Ferragni è considerata talmente radioattiva che, per un rap sprezzante sul marchio, ci sono case di moda che sarebbero disposte a pagare. La conversazione che più si fa a Milano da un paio di mesi è: ma tutte queste cose di Miu Miu con cui si fotografa, queste cose che si compra per posizionarsi alta, ma la povera Miuccia non può impedirglielo? Siamo sempre lì: al danno reputazionale, la leggenda più temuta dai contemporanei.

In realtà, più che i continui loghi Miu Miu che ostenta, a me pare che la Ferragni di queste settimane la posizioni un’altra scelta. Rispetto al pubblico neutro – che è ovviamente la maggior parte: gli invasati che colgono ogni occasione per scrivere pubblicamente «ha lucrato sui bambini oncologiciiii» sono molto rumorosi ma sono poche migliaia: bastano al successo d’un libro ma non a cambiare i bilanci d’una multinazionale del lusso – Chiara Ferragni sta facendo la più «sono proprio come voi» delle operazioni.

È tutta un video in cui si strugge per le canzoni romantiche, proprio come voi, aspetta che arrivi l’amore, proprio come voi, scrive puttanate motivazionali come «è l’ora del self love», proprio come voi, riposta card da decerebrate con autostima con scritto «La vita è migliore con qualcuno che è orgoglioso di essere con te e vuole dimostrartelo», proprio come voi.

Rispetto alle questioni che appassionano i detrattori fanatici (si è fotografata con un tizio e ha giustamente scritto in sovrimpressione «mio fan», consapevole che sono tutti fan, quelli che t’insultano e quelli che ti chiedono la foto: «follower» è una parola che non rende quanto siano tutti egualmente fanatici), è sempre allo stesso punto: a fare video di spiegazioni e donazioni e altre cose che i fanatici insulteranno. Ma per i non fanatici tutta quella parte lì è divenuta noiosissima.

È interessante, invece, capire se può funzionare il posizionamento «sono una di voi, cornuta, madre single, in cerca dell’amore vero, determinata a volermi più bene, dai miei figli imparo qualcosa ogni giorno», e altre banalità di successo nel secolo in cui l’eccezionalità è imperdonabile e la medietà trionfa.

Il marito, invece, sta facendo il contrario. Ogni giorno c’è un aereo privato, una barca con delle aragoste in tavola, una vita che non-sono-uno-di-voi-brutti-pezzenti. Perdipiù, ha messo su una casa da Tom Hanks in “Big”, sembra il classico scapolo di ritorno che vuole recuperare i bagordi perduti, e sappiamo che quel personaggio lì può far simpatia solo all’elettore di Salvini, con cui però lui è stato dissonante politicamente negli ultimi anni, e insomma fino all’altroieri sembrava un inquadramento più difficile da rendere popolare.

Senonché. Senonché l’altroieri finisce in ospedale con un’emorragia interna, e ieri mattina fa una serie di storie Instagram, l’ultima delle quali viene cancellata dopo qualche minuto. C’era scritto così: «Grazie a tutti per i messaggi, ora sono fuori pericolo. Circondato dall’affetto dei miei amici brutti e cattivi. Fa bene avere vicino persone che per dimostrarti amore non sentono il bisogno di farsi un bel TikTok mentre sei su un letto d’ospedale».

Il riferimento è a quella tizia bionda che – due anni fa, al culmine della popolarità – si fotografò scrivendo che quella era l’immagine di lei dopo che suo marito aveva affrontato un terrorizzante intervento per l’asportazione d’un tumore; il marito era lì dietro che dormiva, nel letto di plastica bianca. I fanatici glielo rinfacciano da allora, che schifo, che esibizionismo, che pelo (non Oviesse) sullo stomaco.

Il marito, però, quel genere di fama e di esibizionismo li condivideva, non so se come slancio emotivo ma di sicuro come fatturato. Le riprese teoricamente private dei loro telefoni nell’ospedale in cui nacque la figlia erano nel loro documentario di coppia, così come quelle di lui nel suo letto dopo l’operazione.

Ora, se posso permettermi un consiglio di marketing, bisogna decidere sotto quale dei «sono uno di voi» possibili vada catalogato questo cambio di prospettiva. «Sono uno di voi che quando si mollano trovano insopportabili tutte le caratteristiche della persona che fino a un attimo prima amavano»? O «sono uno di voi che ci avete messo un po’ a capire che la telecamera del telefono te la dà e la telecamera del telefono te la toglie, e ora – con lo zelo dei convertiti tardivi – divento un sacerdote della privacy»?

Potrebbe anche schiacciare la palla che gli ha alzato sotto rete proprio Chiara qualche giorno fa, con un TikTok nel quale si faceva doppiare da Antoine Doinel, seguiva col labiale quella scena di “Non drammatizziamo…” in cui lui, della svedese con cui stava da giovane, dice alla moglie: «Poi all’improvviso ho smesso d’amarla, da un’ora all’altra: alle otto di sera ero innamorato pazzo, alle nove e tre quarti non me ne importava più niente. Era finita, ero guarito».

Non sarebbe bellissimo se la coppia più priva di riferimenti culturali tra tutte quelle le cui vite pubbliche abbiamo osservato, quella che finché stava insieme sembrava non guardasse niente leggesse niente sapesse niente, non sarebbe strepitoso se quei due finissero la loro storia insolentendosi a mezzo citazioni di Truffaut?

X