Sul Corriere della Sera del 18 maggio 1927 si legge la cronaca che il giornalista Orio Vergani scrisse a proposito della seconda tappa della corsa ciclistica del Giro d’Italia, nella quale i corridori affrontarono la salita che porta al passo del Pènice, sull’Appennino ligure. «Siamo a ottocento, a novecento metri di altezza. Si potrebbe, giacché ci siamo, guardare il panorama. Un incanto. Ma il panorama resta e lo sforzo degli uomini passa. Non bisogna perderlo questo spettacolo», raccontò.
A differenza delle tribolazioni passeggere dei corridori ciclisti intenti a scalare una salita impervia, le fatiche di chi coltiva la vigna rimangono impresse nei vini che ne vengono prodotti, e ne divengono materia viva. Per questo motivo, ritengo uno spreco che noi bevitori ci perdiamo nell’ammirazione dei paesaggi incantevoli della vigna o nella squisitezza del vino che abbiamo nel bicchiere, ma ci dimentichiamo delle angustie di chi la vigna l’ha lavorata e di chi il vino l’ha prodotto.
Non credi che dovremmo considerare di più il valore del lavoro? Il profumo del vino è più buono, quando esprime le gravose trepidazioni che accompagnano i tempi lunghi, e talora incerti, della coltivazione e della vinificazione.
Così è per il pane che spezziamo, distratti, sulla tovaglia di cotone nell’attesa del prossimo piatto; per i formaggi che sbocconcelliamo, ormai sazi, alla fine del pasto; per la fetta zuccherosa del cocomero con cui ci ristoriamo, svagati, nelle serate torride di mezza estate, mentre il mare si fa pian piano più scuro e in cielo si accendono centinaia di stelle. Il cibo ci dà vita quando sa di esistenze vissute.
Vino consigliato
Vino Rosso “Benedic” , Monastero Suore Cistercensi S.O. Trappiste
Sono votate alla regola dell’ora et labora di san Benedetto quelle suore dell’ordine cistercense della Stretta Osservanza – più conosciuto come trappista –, che fanno vino nel monastero viterbese di Vitorchiano. Ha il sapore di mani laboriose, e di preghiere.