SalitaIl lavoro che dà profumo al vino

Considerare l’impegno, il tempo e la fatica con cui viene data vita ai nostri calici ne addolcisce il gusto

Foto di David Köhler su Unsplash

Sul Corriere della Sera del 18 maggio 1927 si legge la cronaca che il giornalista Orio Vergani scrisse a proposito della seconda tappa della corsa ciclistica del Giro d’Italia, nella quale i corridori affrontarono la salita che porta al passo del Pènice, sull’Appennino ligure. «Siamo a ottocento, a novecento metri di altezza. Si potrebbe, giacché ci siamo, guardare il panorama. Un incanto. Ma il panorama resta e lo sforzo degli uomini passa. Non bisogna perderlo questo spettacolo», raccontò.

A differenza delle tribolazioni passeggere dei corridori ciclisti intenti a scalare una salita impervia, le fatiche di chi coltiva la vigna rimangono impresse nei vini che ne vengono prodotti, e ne divengono materia viva. Per questo motivo, ritengo uno spreco che noi bevitori ci perdiamo nell’ammirazione dei paesaggi incantevoli della vigna o nella squisitezza del vino che abbiamo nel bicchiere, ma ci dimentichiamo delle angustie di chi la vigna l’ha lavorata e di chi il vino l’ha prodotto.

Non credi che dovremmo considerare di più il valore del lavoro? Il profumo del vino è più buono, quando esprime le gravose trepidazioni che accompagnano i tempi lunghi, e talora incerti, della coltivazione e della vinificazione.

Così è per il pane che spezziamo, distratti, sulla tovaglia di cotone nell’attesa del prossimo piatto; per i formaggi che sbocconcelliamo, ormai sazi, alla fine del pasto; per la fetta zuccherosa del cocomero con cui ci ristoriamo, svagati, nelle serate torride di mezza estate, mentre il mare si fa pian piano più scuro e in cielo si accendono centinaia di stelle. Il cibo ci dà vita quando sa di esistenze vissute.

Vino consigliato

Vino Rosso “Benedic” , Monastero Suore Cistercensi S.O. Trappiste

Sono votate alla regola dell’ora et labora di san Benedetto quelle suore dell’ordine cistercense della Stretta Osservanza – più conosciuto come trappista –, che fanno vino nel monastero viterbese di Vitorchiano. Ha il sapore di mani laboriose, e di preghiere.

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