Partner strategicoIncludere l’India nel G8 conviene a tutto l’Occidente (Italia compresa)

Delhi può contribuire al contenimento della politica autoritaria della Cina, creando nuove catene di approvvigionamento stabili e sicure e promuovendo la globalizzazione dei diritti. Il nostro paese potrà consolidare ulteriormente l’interscambio commerciale che ha già raggiunto i 14,3 miliardi di euro

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Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Paper – La democrazia in India, in edicola a Milano e Roma e ordinabile qui.

L’Occidente ha una grande opportunità non ancora del tutto compresa: rivolgere il suo sguardo a Oriente per ritrovare se stesso. Sulle ceneri dell’Impero britannico non è soltanto nato uno dei Paesi più popolosi del mondo e una grande potenza economica, ma anche una grande democrazia, che ha concluso in questi giorni il suo eccezionale processo elettorale: l’India. Archiviata la stagione del “non allineamento”, il Paese si è trasformato in un caso di successo della globalizzazione e dimostra che sviluppo e democrazia possono convivere e che il modello cinese (mercato senza democrazia e capitalismo guidato), ancora attrattivo in diverse aree del Sud del pianeta, non è una scelta né scontata, né migliore.

All’ingresso della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano, è scolpita nella pietra una frase delle Upanishad: «Il mondo è una sola famiglia». E dunque ecco qui la ricetta indiana: più globalizzazione, più interdipendenza, più mercato e società aperte, più democrazia.

Narendra Modi, durante i suoi otto anni di presidenza, ha lavorato per ampliare l’influenza indiana in Asia e ha rafforzato l’alleanza con gli Stati Uniti, l’Europa e l’Occidente. L’aggressione della Russia all’Ucraina, una Cina sempre più assertiva nel proporre il suo modello di sviluppo autoritario e la crescente destabilizzazione in tutto il Medio Oriente da parte dell’Iran e dei suoi proxies rendono ancora più necessario per l’intero Occidente la ricerca di un possibile nuovo pilastro, su cui poggiare le proprie strategie di lungo periodo: rivolgere lo sguardo all’India è dunque una scelta saggia e anche conveniente.

Primo. Conviene all’Europa e all’Occidente
Non c’è oggi alcun dossier nel quale non siano evidenti i vantaggi di un’alleanza globale con l’India: sicurezza internazionale; contenimento della politica autoritaria ed espansiva di Pechino; de-coupling e de-risking dalla Cina e costruzione di nuove catene di approvvigionamento stabili e sicure (una “democratic supply chain”); ulteriore integrazione fra le rispettive economie; globalizzazione dei diritti; tutela delle democrazie dell’Indo-Pacifico; nuove politiche nei confronti del Sud globale.

L’India può dunque rappresentare un pilastro sul quale l’Occidente può poggiare le proprie strategie di lungo periodo per costruire una nuova stagione di cooperazione congiunta euro-indiana nell’Indo-Pacifico, ma anche in Africa e in generale nel Sud globale, in grado di essere una forte e credibile alternativa all’opacità dei progetti della Nuova via della seta, fondati su pratiche finanziarie al di fuori degli standard internazionali.

L’India, con un Pil di 3,57 trilioni di dollari nel 2023, è già oggi la quinta economia del pianeta ed è destinata, secondo tutte le proiezioni, a diventarne la terza entro il 2030, dimostrando come crescita e sviluppo siano facilitati dal contemporaneo consolidamento di istituzioni democratiche e diritti.

Secondo. Conviene all’India
Per Delhi i Paesi del G7 sono il più importante partner economico e commerciale, la fonte principale di capitale e tecnologia, la prima destinazione della diaspora indiana. Un più stretto coordinamento strategico con Canada, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Giappone e Stati Uniti rappresenta quindi per l’India un’opportunità per affrontare al meglio le crescenti sfide poste da Pechino nell’Indo-Pacifico.

E le molte reti costruite in questi anni fra India e Occidente vanno esattamente in questa direzione: il Quad (Quadrilateral Security Dialogue) fra India, Giappone, Australia e Stati Uniti, che sta assumendo sempre più il profilo di un’organizzazione regionale per la sicurezza dell’area dell’Indo-Pacifico; la Supply Chain Resilience Initiative fra India, Giappone e Australia, per costruire sicure catene di approvvigionamento sulle tecnologie più strategiche; l’Indo Pacific Ocean Initiative, promossa da Modi per contrastare la Via della seta marittima di Pechino; l’Asia-Africa Growth Corridor, il progetto di India e Giappone per costruire un’alternativa più sostenibile alla cooperazione allo sviluppo con il continente africano; l’India-Africa Defense Dialogue, promosso da Delhi con oltre venticinque Paesi africani in diretta competizione con la crescente penetrazione della Russia e della Cina nel continente africano.

Terzo. Conviene al Sud Globale. 
L’India ha connotato tutta la presidenza del G20 sui temi della crescita e dello sviluppo, candidandosi a leader del Sud del mondo e proponendo una ricetta per i Paesi in via di sviluppo diversa e distante dall’insostenibilità finanziaria e ambientale della Nuova via della seta cinese.

La partecipazione dell’India a un nuovo G8 potrà condizionare le politiche distratte e poco efficaci dell’Occidente nei confronti del Sud globale. E, come sostiene Raja Mohan, uno dei più autorevoli analisti indiani di politica estera, «l’India è la chiave per rompere le vecchie divisioni Est-Ovest e Nord-Sud che hanno plasmato il confronto geopolitico del XX secolo». Divisioni che Cina e Russia, peraltro, tentano in ogni modo di alimentare, come si è visto allo scorso vertice dei Brics a Johannesburg, con Pechino che si candida a diventare leader di una coalizione eterogenea, unita quasi esclusivamente da un collante antioccidentale.

L’India non ha alcun interesse strategico di lungo periodo al consolidarsi di un’“alleanza Brics” e ha già fatto sapere di non ritenere credibile né la nascita di una valuta comune, né la trasformazione del summit in una vera e propria organizzazione intergovernativa. La Cina, in deflazione e con una bolla immobiliare in via di esplosione, e la Russia, con un presidente che non esce dal bunker per paura di essere tradotto all’Aja, sono sempre meno attrattive.

Quarto conviene all’Italia
Lo aveva ben compreso Mario Draghi quando, in occasione del G20 di Roma del 2021, inaugurò una nuova stagione di relazioni bilaterali fra l’Italia e l’India, dopo lo stallo della vicenda dei marò, dando vita a una serie di intese in particolare nel settore energetico, tessile e militare. L’invito, rivolto nel 2023 alla premier Giorgia Meloni come ospite d’onore al “Raisina Dialogue”, la Davos geopolitica indiana, ha rappresentato, poi, un’ulteriore e positiva evoluzione di questa nuova stagione.

L’Italia, uscita dalla Nuova via della seta cinese, può trovare nella grande democrazia indiana non soltanto un importante interlocutore politico, ma anche una rilevante opportunità economica per il suo sistema delle imprese, incrementando ulteriormente l’interscambio commerciale, che già oggi ha raggiunto i 14,3 miliardi di euro.

Ma c’è di più
L’India è sempre più un soggetto cruciale per la promozione della dottrina del Free and Open Indo-Pacific, quella libertà di navigazione che la Cina vorrebbe ridurre e limitare con una postura sempre più aggressiva in varie acque: nello Stretto di Taiwan; nel mar Cinese Meridionale, dove occupa illegalmente un’ampia porzione di mare che la Corte arbitrale dell’Aja ha riconosciuto essere delle Filippine; nel Mar Cinese Orientale, con una crescente tensione con il Giappone; nell’Oceano Indiano, con una serie di azioni ibride nei confronti dello Sri Lanka e delle Maldive, nelle quali la “trappola del debito” sta portando alla cessione di cruciali infrastrutture portuali.

Inoltre, la tensione fra i due giganti asiatici lungo i tremila chilometri di frontiera himalayana non accenna a diminuire dopo gli scontri a bassa intensità fra i rispettivi eserciti nella valle di Galwan in Ladakh: Pechino rivendica come proprio l’intero Stato indiano dell’Arunachal Pradesh e non riconosce ampie porzioni del confine indiano sull’Himalaya.

L’India ospita da sessantacinque anni il Dalai Lama e la diaspora tibetana sulle montagne dell’Himachal Pradesh ed è uno dei pochi Paesi che non ha mai accettato la dottrina della One China Policy (la politica dell’unica Cina). L’accordo bilaterale dello scorso febbraio fra India e Taiwan sulla realizzazione di flussi migratori fra i due Paesi per venire incontro alle crescenti carenze di manodopera a Taiwan nel settore manifatturiero, delle costruzioni e dell’agricoltura, rappresenta un ulteriore passo in questa direzione.

È proprio la competizione strutturale con Pechino che ha portato l’India a disegnare percorsi alternativi alla cosiddetta Nuova via della seta. Lo scorso summit del G20 verrà soprattutto ricordato per il lancio dell’Imec (l’India-Middle East-Europe Economic Corridor) che rappresenta la vera alternativa al progetto autoritario della Via della Seta di Pechino con la creazione di un’ampia rete infrastrutturale nave-treno-nave fra l’India, i Paesi del Golfo, Israele, il Mediterraneo e l’Europa.

Nato in sordina un paio di anni fa come uno spin-off degli Accordi di Abramo, il progetto prevede la realizzazione di una ferrovia di alta velocità/ alta capacità fra Haifa e Dubai in grado di superare le tre strozzature geopolitiche che hanno storicamente condizionato i rapporti fra il Mediterraneo e l’Indo-Pacifico: il canale di Suez e gli stretti di Hormuz e Bab el Mandab. Il conflitto fra Israele e Hamas e la nuova assertività dell’Iran, che non esita a usare i suoi proxies (Hamas, Houthi, Hezbollah) per massimizzare la sua capacità di controllo dei due Stretti, rende tale progetto una priorità per l’intero Occidente.

Per India e Ue i prossimi anni saranno cruciali per consolidare l’intero sistema delle proprie relazioni. Il coinvolgimento dell’India nel progetto Global Gateway e la riapertura dei negoziati per un Accordo di libero scambio fra Ue e India saranno il test con il quale misurare la possibilità di costruzione di una partnership strategica. E sono infine maturi i tempi per una scelta ancora più coraggiosa: l’allargamento del G7 all’India, facendo nascere un nuovo G8 fra le grandi economie del pianeta che condividono i valori di libertà e democrazia.

Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Paper – La democrazia in India, in edicola a Milano e Roma e ordinabile qui.

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