Avete mai fatto la spesa lontano da casa? Magari in vacanza per riempire la dispensa della villetta affittata sul mare o per comprare il bagnoschiuma che, come sempre, è rimasto dimenticato sullo scaffale del bagno mentre preparavate la valigia? Un’incursione al market in un posto a caso di una località a caso, vi racconterà molto di quel luogo, delle sue abitudini, delle sue tradizioni e anche del tipo di turismo che attrae.
Prendete, ad esempio, l’isola di San Pietro e Carloforte, un’isola nell’isola, un territorio di appena cinquanta metri quadrati così pieno di incroci culturali da essere rimasta qualcosa di unico e quasi separato rispetto al resto della Sardegna. Qui si parla tabarchino, un dialetto ligure diffuso solo in questa zona, nell’arcipelago del Sulcis, e che deriva dalle origini di Carloforte, forte miscuglio di popoli che da Pegli, attraverso un viaggio dall’isola tunisina di Tabarka, arrivarono qui con usi, costumi e tradizioni. U pàize, così si chiama da queste parti Carloforte, con le sua anima testarda, fiera e orgogliosa. Case bianche, coste frastagliate che si tuffano in un mare che cambia colore a ogni chilometro, viuzze strette, archi che nascondono stradine e scale, messe lì per essere fotografate anche dal turista più distratto.
I carlofortini hanno un’identità molto forte e unica e lo dimostrano anche nei loro supermercati. Le latte di tonno ordinatamente in fila l’una sull’altra. La fregula, in diversi formati: c’è quella a grana piccola, media e grossa, quella artigianale e quella industriale. Le birrette da portare in spiaggia, rigorosamente di una marca sola, che quando c’è quell’etichetta attaccata alla bottiglia è subito estate, mare e sole (sì, anche quando si beve nel nord d’Italia e fuori c’è la neve). La facussa, una sorta di cetriolo che si trova solo da queste parti e che serve per fare la capunada, un’insalatona con il tonno, le cipolle buone e le gallette, focaccine secche, un tempo salvifiche per i pescatori e le loro lunghe giornate di pesca in mare. La semola grossa di grano duro, per preparare il cascà, il tipico cous cous carlofortino. I cassulli, la variante locale dei malloreddus, che qui si servono alla carlofortina: pesto, pomodorini e, ovviamente, tonno. La farina di ceci, perché l’influenza genovese si sente e morde anche nella farinata e nella panissa. Al banco del pane la focaccia, irrinunciabile a colazione o da portarsi dietro in una gita in barca.
I supermercati nei paesini delle coste hanno sempre un loro fascino. Grandi il giusto, il personale stanco, ma pronto a darti consigli su cosa vedere e cosa fare: lo sanno che arrivi da lontano e vogliono darti la giusta accoglienza, non farti dimenticare neppure per un secondo la tua permanenza sull’isola. Gli scaffali ordinati, che però somigliano di più a una bottega di quartiere, rispetto ai grandi nomi che troviamo in città. Un’atmosfera e un’aria di vacanza che comunque si riesce a respirare in ogni periodo dell’anno. Accanto alle classicità, che magari uno si aspetta da un negozio di alimentari con una forte tradizione gastronomica, spiccano però anche ingredienti che mai ti saresti aspettato di trovare. Siamo rimasti stupiti e interdetti alla vista delle numerose bottiglie di alchermes presenti, che spesso, se lo devi cercare in una grande città, fai fatica a trovarlo. Il primo pensiero è volato ai Cardinali, dolcetti sardi dall’origine sconosciuta, simili a dei cupcake, il cui nome deriva proprio dal loro aspetto: dopo la cottura, infatti, vengono scavati e bagnati nel liquore rosso cremisi, che sembra somigliare al copricapo dei cardinali.
Ma cosa ci fanno i carlofortini con l’alchermes? «La zuppa inglese» – ci risponde senza esitazione Luigi Pomata, il più rappresentativo chef di U pàize, nonché uno dei massimi conoscitori del tonno di corsa in Italia. Ci ragioniamo un po’, magari era solo una battuta, il primo dolce che gli è venuto in mente. D’altronde la zuppa inglese non ha radici sarde, né tantomeno genovesi, che possano giustificare un legame con l’isola di San Pietro e Carloforte. Certo, è un dolce dalla storia un po’ controversa, potremmo dire, e come sempre capita nei viaggi della storia gastronomica viene conteso da diversi territori: Mantova, Ferrara, Parma, Firenze. Ognuno ha la sua versione di zuppa inglese e il suo legame con essa: ma cosa c’entra con Carloforte? Abbiamo continuato a indagare un po’ e a chiedere agli abitanti del paese il perché di questa presenza massiccia di alchermes. Qualcuno ha abbozzato un utilizzo per i Guefus dolcetti di mandorle, o per le mini pesche, biscotti farciti che non possono mancare nel vassoio della domenica. Ma il dolce che ritornava maggiormente nella mente e nelle parole dei carlofortini era sempre lei, la zuppa inglese.
La chiave di tutto alla fine ce l’ha data Cristiano Rosso, carlofortino Doc e chef insieme a suo padre Andrea del ristorante storico e familiare Da Andrea al Cavallera, Durante una cena a base rigorosamente di tonno, al momento di proporre i dessert in carta, ecco che torna, ancora una volta, la zuppa inglese. Non può essere un caso, l’ennesimo. «Qui a Carloforte la facciamo tutti, è un dolce a cui siamo particolarmente affezionati. E il motivo è sentimentale: siamo cresciuti con una pasticceria storica, il Bar Cipollina, famoso per la sua zuppa inglese, fatta con una crema particolare e un mix di liquori, una ricetta segreta che però era il dolce della domenica per tutti». Una pasticceria nata nel 1835, che ancora oggi prepara la sua zuppa inglese come dolce identitario di una tradizione.
Ovviamente oggi tutti, anche quei bambini cresciuti che ora sono diventati chef, hanno la loro versione di zuppa inglese. Quella di Cristiano ha anche il cioccolato e le mandorle. Ma non per questo è meno buona, anzi.
E soprattutto ci porta a una riflessione importante, che ha a che fare con la cultura gastronomica. È un concetto fondamentale da sottolineare: spesso pensiamo che le tradizioni nascano da chissà che cosa, quando invece sono anche il frutto semplicemente di abitudini protratte nel tempo e di ricordi che costruiscono un futuro, che dal passato prende forma per evolversi. L’ironia è che se non fossimo entrati in supermercato, ora non conosceremmo la storia bellissima che sta dietro la zuppa inglese carlofortina.