L’Ungheria non è mai stata tenera con i migranti e le politiche implementate nel corso degli anni mostrano una totale chiusura nei confronti dei flussi migratori. Il premier Viktor Orbàn si è scagliato a più riprese contro i piani di ripartizione dei richiedenti asilo voluti da Bruxelles, ha criticato i leader europei che hanno accolto i rifugiati siriani nel 2015-2016 e ritiene che la società occidentale rischi l’estinzione a causa delle migrazioni di massa volute dalle élite internazionali. La linea dura orbaniana ha, però, iniziato a scricchiolare perché una serie di fattori minano la stabilità dell’economia ungherese e il ricorso ai lavoratori stranieri si è fatto inevitabile.
La crisi della natalità della popolazione ungherese, l’emigrazione diretta verso altri Paesi dell’Unione Europea grazie ai benefici garantiti dall’Area Schengen e la saturazione di alcuni comparti produttivi hanno lasciato sguarniti diversi settori dell’economia. Si è così deciso, come ricordato da un’analisi pubblicata su Politico, di trovare la manodopera all’estero e di favorirne la permanenza in Ungheria con il varo di leggi ad hoc.
L’esecutivo ha dato luce verde a un provvedimento che consente ai lavoratori di quindici Paesi non comunitari, tra cui ci sono Filippine, Kazakhstan, Vietnam, Brasile e Venezuela, di risiedere in Ungheria fino a tre anni mentre Vivien Vadasi, consulente legale dell’organizzazione non governativa Menedèk che si occupa di integrare i migranti nella società, ha spiegato a Politico come « in passato i migranti rappresentavano il due per cento della popolazione ungherese» mentre ora sono il quattro per cento dei residenti del Paese.
I richiedenti asilo continuano a essere tenuti alla larga, con l’eccezione di quelli provenienti dall’Ucraina e quasi tutti i migranti entrano nel Paese grazie al supporto delle agenzie per l’impiego. C’è, poi, uno schema governativo che garantisce la residenza permanente in Ungheria in cambio di investimenti compresi tra i duecentocinquantamila e i cinquecentomila euro e che ha riscosso un certo successo tra la classe media cinese. Rimangono comunque in piedi diversi paletti anti-immigrazione: i permessi lavorativi hanno una durata temporanea, escludono i ricongiungenti familiari, non riguardano alcun Paese africano o mediorientale e limitano gli ingressi a sessantacinquemila l’anno.
Le timide aperture sul fronte migratorio non vengono menzionate dalla propaganda governativa perché evidenziano alcune debolezze delle politiche implementate dagli esecutivi Orbán. Il tasso di fecondità delle donne ungheresi, nonostante investimenti decennali per favorirne una crescita sostenuta, è passato dall’1.2 per cento del 2011 all’1.6 del 2021 ed ha poi registrato un nuovo arretramento. Queste percentuali sono insufficienti a interrompere il declino demografico del Paese che, secondo il Centro Hun-Rec, potrebbe vedere la propria popolazione ridurmi dagli attuali 9.6 milioni ad 8.5-8.8 milioni di abitanti nel 2050. L’emigrazione degli ungheresi, in particolare dei più giovani, verso altre nazioni dell’Unione Europea rappresenta un altra debolezza per un esecutivo fieramente nazionalista come quello di Orbàn.
Il governo, come ricordato da Central European Times, ha scelto di favorire lo sviluppo di comparti economici che prevedono salari bassi, come quello per la produzione di batterie per le auto, e questa decisione ha spinto gli ungheresi più qualificati a cercare fortuna all’estero. In alcuni impianti industriali gli addetti stranieri, che sfiorano le centomila unita e secondo il sindacalista Tibor Erzse hanno minori aspettative in materia di sicurezza e diritti dei lavoratori, hanno soppiantato gli ungheresi dando vita a tensioni e recriminazioni.
Il partito di estrema destra Mi Hazank ha criticato l’esecutivo Orbán, paradossalmente accusato di non tutelare gli ungheresi e di favorire gli stranieri, chiedendo la creazione di un’economia nazionale basata sulla manifattura locale ed esigendo maggiore rispetto per i cittadini del Paese. Il governo ungherese, recentemente sanzionato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per il mancato rispetto delle norme comunitarie relative al diritto di asilo, viene cosi superato a destra dagli ultra-nazionalisti e rischia di perdere consensi su un tema chiave come quello della lotta all’immigrazione su cui ha costruito la propria identità.
Si tratta di un rischio che Orbán ed il suo partito Fidesz, visti i risultati delle recenti consultazioni europee e più in generale dei sondaggi, non possono permettersi di sottovalutare. Fidesz continua ad essere in testa alle preferenze elettorali anche grazie agli innegabili vantaggi di cui gode ma alle elezioni per il Parlamento comunitario si è fermato al quarantaquattro per cento dei voti mentre il Partito del Rispetto e della Libertà, fondato dall’ex di Fidesz Peter Magyar, ha ottenuto il ventinove per cento dei voti. Mi Hazank ha invece sfiorato il sette per cento dei consensi ed è probabile che almeno una parte di quei voti provenga dalle fila degli oltranzisti di Fidesz delusi da Orbàn.
Nel contesto di una forte polarizzazione dello scenario politico ungherese, dove è presente anche la coalizione di centrosinistra a cui prendono parte Socialisti e Verdi, la difesa dei temi identitari può diventare essenziale per la sopravvivenza dell’esecutivo. La martellante propaganda anti-immigrazione voluta dai governi Orbàn non può non aver influito sulla mentalità e le opinioni di una parte della popolazione ungherese che, a questo punto, teme realmente le possibili derive di eventuali ondati migratorie, della semplice crescita degli stranieri residenti e più in generale della promiscuità culturale.
Un recente sondaggio dell’Eurobarometro, riportato da Daily News Hungary, ha evidenziato come larga parte degli ungheresi siano fortemente contrari all’immigrazione. Tra i più giovani, la Generazione Z, questa percentuale è del settantasei per cento e non è dissimile dall’ottanta e settantasette per cento di Boomers e Generazione X. I millenials sono i meno ostili, con il sessantotto per cento di contrari ma questi dati chiariscono come il timore nei confronti di chi viene dall’estero siano ben radicate in Ungheria. Decenni di propaganda governativa su questo tema, in presenza dei cambiamenti nel tessuto demografico locale e delle necessità dell’economia della nazione dell’Europa centrale, potrebbero rivelarsi un pericoloso boomerang a lunga scadenza per Orbàn e contribuire ad indebolire ulteriormente il partito Fidesz in vista delle prossime consultazioni parlamentari.