Ieri, mentre stava festeggiando la sconfitta dei fascisti in Francia, il mondo civile è stato raggiunto dalle immagini di Kyjiv, dove i fascisti russi hanno colpito deliberatamente con un missile Cruise a bassa quota, quindi difficile da intercettare, l’ospedale pediatrico “Ohmadyt” (Ohorona materi i dytyny, La cura della madre e del figlio). Le foto dei bambini malati di cancro attaccati agli apparecchi medici in fila sotto l’edificio bombardato, le madri che stringono al petto i piccoli cercando di proteggerli, mentre i padri stanno smantellando le macerie alla ricerca dei sopravvissuti hanno profondamente scosso i cittadini europei. In quell’ospedale vengono curati diciottomila bambini l’anno e settemila casi gravi vengono operati.
Anche ieri mattina all’ospedale erano in corso le operazioni, e i medici hanno dovuto coprire con i loro corpi i bambini operati. Proteggere con il proprio corpo, pensare piuttosto al futuro del bambino che al proprio, fare scelte dettate dal garantire la sicurezza dei bambini, perché come mi dice Dasha Stokoz «la mia vita è un conto, la vita di mio figlio è più grande di me».
Parlando con Dasha e con Dmytro, ho cercato la risposta alla domanda «che cosa significa fare il genitore ai tempi della guerra?». La maggior parte degli sfollati ucraini in Europa sono madri con i figli, altre anziani provenienti soprattutto dalle regioni dell’Ucraina orientale, dove non hanno più una casa dove tornare. Le famiglie spezzate, i padri in Ucraina e le madri con i figli all’estero, tutto questo sacrificio si fa per la sicurezza dei piccoli, per avere la possibilità di dargli un’infanzia normale. Ma anche i genitori che hanno deciso di rimanere in Ucraina pensano prima di tutto alla sicurezza dei figli, e i neogenitori come Dmytro e Oleksandra non rinunciano ad avere i figli adesso a casa loro.
«Abbiamo deciso di sposarci già nel 2019, ma dopo c’è stato il Covid e poi sono stato impegnato nelle lunghe riprese del mio film (Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk è un regista ucraino il cui film “Pamfir” è stato presentato al Festival di Cannes nel 2022), e dopo ancora c’è stata l’invasione russa su larga scala. Appena abbiamo trovato una minima possibilità ci siamo sposati con una cerimonia intima perché non volevamo posticipare più la nostra vita, la volevamo vivere qua e ora. Sposarsi per noi è stata anche una responsabilità civile uno di fronte all’altra, qualsiasi cosa succede siamo sposati e mia moglie ha i diritti su di me che io voglio che lei abbia e viceversa» dice Dmytro a Linkiesta.
Dasha invece era al quinto mese di gravidanza quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel 2022. Con tutta la famiglia lei è scappata nella regione di Vinnytsya in una cittadina, dove sua zia lavorava in un ospedale. Così almeno avevano qualche sicurezza in più per la nascita del bambino. Tra aprile e maggio del 2022, Dasha da sola era andata in Germania per partorire il figlio in sicurezza, ma se la sicurezza era la condizione che circondava Dasha dall’esterno, all’interno non era tanto sicura. Con tutta la famiglia che è rimasta in Ucraina, compresi il marito e la sorella che ha partorito due mesi prima dell’invasione russa, con la lingua e la cultura che non conosceva, si sentiva più preoccupata che in Ucraina, così ha optato per il ritorno.
Con le doglie che sono arrivate dopo il coprifuoco, e il travaglio da risolvere per raggiungere l’ospedale senza macchina, a giugno del 2022 alle due di notte è nato Ustym. Alle quattro del pomeriggio del giorno dopo sono scattate le prime sirene di Ustym, e Dasha ha dovuto spostare il letto con il neonato nel corridoio.
Marko, il bambino di Dmytro e Oleksandra, è nato a marzo 2024. Per il parto, loro hanno valutato più ospedali e più città, a seconda dell’intensità dei bombardamenti. Con il razionamento dell’elettricità, a causa di un terzo dell’infrastruttura energetica ucraina distrutta dai bombardamenti russi, l’ospedale doveva avere un generatore ma ormai quasi tutti gli ospedali ucraini li hanno in dotazione.
Per il razionamento dell’elettricità, Dasha che vive al dodicesimo piano con l’ascensore bloccato e con l’acqua che non pompa così in alto, deve ogni giorno pensare alla logistica della giornata. Fare la spesa e portare il bambino a fare una passeggiata non devono coincidere perché lei non riesce a salire in casa con un bambino di due anni e con le borse piene di cibo in scatola, perché a causa del razionamento dell’elettricità cucinare a volte diventa un lusso.
Dasha è una madre single che lavora. Il suo congedo di maternità è stato molto simbolico e con suo marito si sono separati quasi subito dopo la nascita del bambino. «La guerra – dice Dasha – ha innescato nella nostra famiglia dinamiche che hanno portato a una separazione. Ora il padre vede il bambino due volte la settimana, aiuta a sostenerci ed è pronto ad arruolarsi quando verrà chiamato».
«Tutta la mia logistica – continua Dasha – gira intorno alla sicurezza del bambino. Le nostre passeggiate sono sempre nei paraggi di un rifugio, il bambino se è in giro con la tata deve rimanere raggiungibile da me, o dai miei genitori, o dal padre».
A due anni, il piccolo Ustym ha imparato che quando scatta la sirena deve spostarsi con la mamma nel corridoio o nel bagno, nella stanza senza finestre. Lo fa senza capire, e senza fare troppe storie, perché sa che le sirene annunciano esplosioni che fanno un brutto rumore. Ovviamente non sa ancora che le esplosioni portano la morte, ma il suono delle esplosioni anche in lontananza gli mette paura. Chiude la porta da solo, e aspetta la fine della sirena che accoglie applaudendo. Dasha dice che suo figlio ha un orecchio musicale e presto lo vorrebbe portare alle lezioni di musica, ma per ora deve seguire i passatempi raggiungibili nella sua zona.
Al momento suo figlio sta ricevendo il necessario per la sua età e per la sua crescita: la sicurezza (per quanto si possa essere sicuri in Ucraina) e la libertà di giocare (per quanto si possa essere liberi nei movimenti in Ucraina). Dasha cerca di fare il suo meglio insieme con suoi genitori e la tata per il piccolo Ustym. Vorrebbe visitare più mostre e andare ai concerti che non mancano in questi giorni in Ucraina, ma pensa sempre alla sicurezza. Si era sempre immaginata come una madre che va con il figlio ai concerti e alle mostre, ma oggi le sue preoccupazioni sono ben diverse.
Dasha lavora come specialista delle comunicazioni presso l’Unicef Ucraina e presso il British Council. In questi giorni con l’Unicef sta realizzando un progetto con i bambini che parlano del loro futuro: «Leggo le storie dei bambini e delle bambine ucraine che hanno dai dieci ai dodici anni. Vogliono diventare psicologi, medici e operatori della protezione civile, insomma vogliono salvare vite. Vorrei soprattutto che sopravvivessimo alla guerra sia io sia mio figlio e dopo potremo parlare del suo futuro, ma intanto sono già contenta che Ustym crescerà con questa generazione di bambini consapevole del valore della propria vita e della vita degli altri, una generazione che condividerà con lui la stessa storia e gli stessi valori».
Sfogliando le immagini del bombardamento dell’ospedale, tra le altre c’è una foto dove gli abitanti di Kyjiv si passano le casse dell’acqua attorno ad altri che smantellano le macerie. I bambini dell’ospedale bombardato osservano questa persone pronte ad aiutare e a esserci in qualsiasi situazione difficile, così imparano che la sicurezza sta non solo nei rifugi ma anche in questo senso di comunità pronta a proteggerli. Nonostante la continua minaccia, i bambini crescono in un mondo migliore che gli sta trasmettendo i valori della fiducia, della resistenza e dell’amore che trasuda in ogni foto di mamma che stringe al petto un bambino per ripararlo da qualsiasi cosa.