Dammi un pizzicottoUgo Alciati, sessant’anni di ristorazione sostenibile

Lo chef piemontese del ristorante Da Guido ci parla di plin, di una vita spesa tra i fornelli, del sostegno ai produttori locali e della piemontesizzazione di Parigi

Chef Ugo Alciati, L'Assaggio Restaurant, Castille Paris Starhotels Collection

Il paradiso dei ravioli del plin (il pizzicotto piemontese che si fa per chiudere meglio il ripieno), del vitello tonnato, dei tartufi più buoni del mondo, esiste e l’ambasciatore di queste meraviglie culinarie si chiama Ugo Alciati, stella Michelin e patron del ristorante Da Guido dal 2013, immerso nella tenuta di Fontanafredda a Serralunga d’Alba, nel cuore delle Langhe. Intorno a questo simbolo di ricchezza enogastronomica piemontese si rincorrono vigneti e colline verdi, terre che da secoli danno origine ad alcuni dei vini più pregiati al mondo.

L’avventura della famiglia Alciati ha inizio nel 1961, quando il padre di Ugo, Guido, un vero visionario d’altri tempi, insieme alla mamma Lidia, cuoca sopraffina, decide di aprire il ristorante Da Guido nel paese di Costigliole. Il locale si rivela da subito in rottura con l’ambiente della ristorazione di quel momento, perché lavora soltanto su prenotazione e anche per la ricerca puntigliosa di materie prime di esclusiva produzione locale. Grazie alla qualità degli ingredienti scelti, alla maestria nella realizzazione delle ricette e allo sconfinato amore per il territorio, Lidia e Guido ottengono la stella Michelin nel 1973, fatto straordinario nel panorama culinario italiano dell’epoca. E oggi Ugo porta avanti con grande orgoglio e tenacia questo patrimonio di cultura stellare.

Racconta che aveva nove anni quando iniziò a capire che con la mamma e la nonna in cucina sarebbe stato complesso emergere, a meno che non si fosse inventato qualcosa che loro non sapevano fare. «E così iniziai a sperimentare, nella stanza più fredda del ristorante, scoprendo che la pasticceria non solo mi si confaceva, ma che veramente poteva rivelarsi la chiave di volta per rendermi finalmente necessario e smettere di sentirmi dire “attento ti bruci, occhio che ti tagli…” e tutti gli altri rimproveri che in effetti sono abbastanza comuni per un bambino ancora piccolo».

A Ugo piace molto ricordare aneddoti buffi riguardo la sua esperienza in cucina con la mamma e la nonna: «Si narra che mia nonna, che inizialmente era l’unica a fare il ripieno dei plin, lo facesse assaggiare a me che avevo un anno e stavo ancora sul seggiolone, e a seconda di che faccia facessi sapeva se andava bene di sale o se doveva aggiustare qualcosa».

Negli anni successivi Ugo si dedicò a perfezionare l’arte della pasticceria, estremamente più complessa della cucina, e dove gli errori non sono ammessi, perché «un grado è un grado, e meno ingredienti hai e più complesso è metterli insieme efficacemente».

A trent’anni Ugo prende totalmente in mano la cucina di Da Guido, in seguito alla perdita di sua madre e sua nonna. Dal 2017 firma il menu del ristorante L’Assaggio, all’hotel Castille di Parigi, cinque stelle Starhotels posizionato nei dintorni di Place Vendôme, cuore del prestigio ed epitome dell’eleganza parigina, simbolo di una storia rivoluzionaria. Qui ritrova come executive chef Sasha Arandjelovic, che per anni ha lavorato nella brigata di Ugo a Serralunga d’Alba.

In questo contesto Ugo si è proposto con un autentico e classico menu piemontese, per trovare una collocazione diversa in un luogo in cui si confrontano centinaia di ristoranti di eccellenza, evitando di mettersi in competizione con i grandi come Ducasse. «Diciamo che abbiamo attuato un’invasione pacifica di Parigi. I primi due anni abbiamo utilizzato un po’ di foie gras, abbiamo fatto delle riduzioni con lo Champagne per non essere sgarbati, appena arrivati, nei confronti della città che ci ospitava; abbiamo utilizzato dei formaggi francesi per fare la fonduta, e altri prodotti tipicamente francesi per fare alcuni dei nostri piatti. Oggi, siamo alla massima espressione della piemontesità della nostra cucina, con plin e vitello tonnato, con i prodotti che arrivano in gran parte dal Piemonte e con un’offerta che si differenzia dal panorama culinario parigino per le forti radici regionali e per la grande qualità della materia prima, che si può trovare solo da noi».

Il cardo gobbo, che Ugo acquista da quarant’anni dallo stesso produttore della sua zona, che ne coltiva pochi ma di altissima qualità, è un esempio chiave della sua filosofia del «meglio pochi ma buoni» e di quanto la materia prima giochi un ruolo determinante nei suoi ristoranti.

Alla domanda «quale è il piatto che rappresenta di più Da Guido?» Ugo risponde «Gli agnolotti del plin di mia mamma Lidia, perché è un prodotto che viene creato da zero, è un piatto che non ha stagione, inoltre è il mio più grande strumento di relax. Oramai ne ho fatti talmente tanti che è diventato un gesto naturale e mi aiuta a mettere insieme i pensieri».

A proposito di relax, gli chiediamo come gestisce la cucina sotto stress e lui rivela che lo stress è un fattore che si può completamente evitare se il leader mantiene il controllo di sé e del lavoro degli altri. «Se il meccanismo s’inceppa possono succedere disastri irreparabili, e quindi è assolutamente necessario evitare rallentamenti».

Lui per tanti anni ha lavato tutte le pentole fino alla chiusura del locale. «Praticamente se metto in fila tutte quelle che ho lavato, si fa il giro della terra un paio di volte» dice con soddisfazione.

Lavorando con tanti team diversi ci tiene a sottolineare che è molto importante che la sala sia efficiente, perché il suo malfunzionamento compromette totalmente il lavoro della cucina. «Oggi forse mi verrebbe da dire che vale qualcosa in più la sala rispetto alla cucina, nel senso che se alla sala non le si attribuisce un valore alto, i piatti non arriveranno mai come devono arrivare e quindi il tuo lavoro verrebbe vanificato per il tuo smisurato ego di cuoco».

A tal proposito ci parla di un’iniziativa affascinante che ha preso forma durante la pandemia, una rivoluzione che nella sostanza aveva già iniziato suo padre Guido, ma a cui Ugo insieme a Slow Food ha dato una forma e un nome. «Si chiama “Tempo Permettendo, l’incertezza in cucina”, un progetto che cerca di dare una risposta al problema dell’imprevedibilità climatica di oggi, in cui non puoi aspettarti di poter preparare sempre gli stessi piatti ma devi portare avanti un’evoluzione, e cioè investire sui piccoli produttori della tua zona affinché possano continuare a coltivare prodotti per te, ma anche educare il cliente del ristorante a comprendere che se qualcosa è finito, verrà rimpiazzato con un altro prodotto, sempre locale».

L’Assaggio Restaurant, photo @lephotographedudimanche

Visto che alcuni dei loro fornitori facevano già parte dei presidi Slow Food, Ugo ha creato una comunità del cibo che oggi comprende una sessantina di allevatori e produttori, alcuni anche molto giovani, che rappresentano le colonne portanti di Tempo Permettendo. «Ci vuole molta flessibilità, ma anche una rete di supporto organizzata e ben oliata che permetta alla macchina ristorante di andare avanti comunque, nonostante i problemi creati dal clima».

L’obiettivo è che i piatti esaltino le materie prime del territorio nel momento della loro maturazione ottimale. A trarne beneficio saranno la terra, la filiera ed il consumatore finale che riconoscerà nei piatti sapori autentici. «Sei arrivato tardi ed è finito quel piatto» Ugo deve talvolta spiegare ai clienti del ristorante, oltre che educare produttori e allevatori indicando loro una serie di caratteristiche che devono tenere presente per fare parte di questa iniziativa, che ha come fulcro la ricerca della sostenibilità, del rispetto della terra e delle persone che ci vivono e lavorano.

«Lo abbiamo fatto per il bisogno di trovare una soluzione al problema della reperibilità. Non possiamo pensare di andare ad acquistare materie prime in altri Paesi, noi utilizziamo il novantacinque per cento delle materie prime fresche, che sono tutte piemontesi e tutte a chilometri minimi, nel senso che abbiamo poche cose a chilometro zero, le altre sono ai chilometri necessari per avere il miglior prodotto possibile. Se la trota della Valchiusella è così buona e così particolare e la trovo solo a due ore di macchina dal ristorante, io la vado a prendere in Valchiusella» dice fermamente.

Nel suo ristorante da oltre sessant’anni si dà moltissimo valore alla filiera corta, alla stagionalità e quindi a materie prime che diventano valore aggiunto. «Quello che va di moda oggi, e cioè essere sostenibili, lo portiamo avanti da sempre, perché per mio padre gli spostamenti erano difficili e quindi fornirsi localmente era una necessità. Adesso invece è un dovere che noi abbiamo nei confronti delle generazioni future e dei produttori della zona, che continuano a sostenersi grazie a questa associazione offrendo qualità e rispettando rigidi canoni etici».

Di evoluzioni e rivoluzioni Ugo ne ha viste accadere molte, per questo chiediamo in che cosa Da Guido oggi si differenzi radicalmente dagli altri. «Proprio perché siamo così attenti alla materia prima, da oltre trent’anni noi non usiamo più né aglio né cipolla nelle nostre ricette, perché sono due elementi molto distintivi e preponderanti in qualunque quantità tu li metta all’interno di un piatto. Se noi proponiamo il capretto da latte di Roccaverano e la trota della Valchiusella e poi copriamo i loro gusti unici e delicati con aglio, cipolla, soffritti e salse, alla fine togliamo valore a tutto il lavoro. Per non parlare del problema della scarsa digeribilità di questi prodotti».

Ci salutiamo chiedendo come vede il suo ristorante tra vent’anni. «Esattamente uguale ma completamente diverso. Se questo è il trend climatico ci sarà un’adesione ancora più forte al nostro progetto Tempo Permettendo, perché il clima purtroppo non promette nulla di buono. Tra vent’anni nelle cucine di Da Guido ci sarà qualcuno che preparerà i plin, il vitello tonnato, magari con una forma leggermente diversa, magari un po’ più grosso o più piccolo, con qualche modifica.

E allora a chi non avesse mai assaggiato le meraviglie piemontesi targate Alciati consigliamo di avventurarsi nella bellezza unica delle Langhe e scoprire gli autentici plin, il sapore unico dei cardi gobbi e del tartufo, ma attenzione: solo quando è la stagione giusta.

X