Servizio pubblicoL’appello alla Rai affinché dedichi al carcere l’attenzione che non gli dà la politica

Negli ultimi trenta anni non ci sono mai stati tanti suicidi e tante morti non volontarie nelle patrie galere. Non solo detenuti, ma anche sette agenti penitenziari. Europa Radicale ha inviato una lettera aperta alla televisione di Stato per realizzare uno speciale televisivo sulle condizioni nelle nostre prigioni

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Europa Radicale ha inviato nei giorni scorsi una lettera aperta ai vertici della Rai per chiedere uno “Speciale carceri” da programmare in prima serata. C’è una ragione non solo umanitaria ma pienamente politica per cui il servizio pubblico dovrebbe occuparsi di questo tema. Non per un sentimento di mera solidarietà con chi è costretto a subire condizioni di detenzione «angosciose e indecorose» (come le ha definite Sergio Mattarella). Ma per rendere effettivo il principio del conoscere per deliberare, cioè per offrire alla generalità dei cittadini italiani un’informazione onesta sugli effetti della politica penale e penitenziaria perseguita negli ultimi anni dalle più svariate maggioranze e per sottoporre i decisori pubblici a un giudizio popolare più informato e consapevole sulla condotta di Governo e Parlamento.

L’apparente insensibilità sul collasso del sistema carcerario, che buona parte dell’elettorato condivide con questo Governo, è figlia di decenni di propaganda falsa sulle emergenze criminali (mentre il tasso di delittuosità in Italia continuava a scendere). Da qui parte  la crescente domanda di galera da parte di un settore dell’opinione pubblica; non è escluso che una fotografia realistica delle conseguenze a cui tutto questo ha portato possa risvegliare qualcuno dall’incantesimo del buttare la chiave.

Per chi vive nelle carceri da detenuto ma anche per chi vi lavora come agente di polizia penitenziaria o con ruoli amministrativi, sanitari, educativi e assistenziali, il mese di agosto è il peggiore dell’anno. Oltre al caldo infernale, che è una pena accessoria inflitta non dal codice ma dall’incuria, chi sta dentro vive una sorta d’isolamento aggiuntivo a quello che già normalmente separa con una distanza siderale la società dei liberi e quella dei reclusi.

Prima della chiusura estiva del Parlamento abbiamo assistito a un profluvio di parole, spesso piene di ipocrisia, sulla situazione carceraria, in particolare nella discussione del cosiddetto decreto carceri, sulla cui efficacia parte della maggioranza e lo stesso Ministro Nordio devono nutrire molti dubbi, se il giorno dopo la sua approvazione hanno proposto di completarlo con nuove e ulteriori misure sulla custodia cautelare.

Oggi, un detenuto su sei è in attesa del primo giudizio, e uno su quattro non è stato condannato in via definitiva. La galera così com’è non serve a nulla, neppure alla sicurezza degli italiani, la cui tutela è affidata più alla funzione riabilitativa che a quella retributiva della pena, visto che la gran parte dei detenuti, in ogni caso, uscirà dal carcere da vivo e non da morto e bisognerebbe fare in modo che ne esca diverso e migliore da come vi era entrato. Il nostro sistema produce l’esatto opposto.

Il sovraffollamento è un problema in sé e una concausa di tutti gli altri problemi che rendono il carcere italiano incostituzionale. Ma la strada della costruzione di nuove carceri è tanto demagogica, quanto impraticabile. Come ha evidenziato l’Associazione Antigone, costruire il “posto letto” di un detenuto in un nuovo carcere costa circa un milione di euro. Per tornare a una capienza perfettamente regolamentare sulla base dei detenuti attuali servirebbero cinquantadue nuove carceri da duecentocinquanta detenuti, per una spesa di 1,3 miliardi di euro. Con tempi di realizzazione che si contano in lustri, se non in decenni. Meritano i cittadini italiani di conoscere questi numeri, no?

E meritano di conoscere i numeri, oggi sconosciuti anche a molti addetti ai lavori, sul numero (estremamente basso) di detenuti coinvolti in programmi di studio e di lavoro in carcere? Meritano di conoscere la differenza abissale tra il tasso di recidiva di detenuti in semilibertà e quelli lasciati marcire in galera o i tempi medi di attesa (di mesi, quando non di anni) rispetto alle istanze presentate alla magistratura di sorveglianza? Meritano di sapere che metà dei detenuti nelle carceri minorili sono minori non accompagnati? I cittadini hanno il diritto di sapere tutto questo, il servizio pubblico di informazione ha il dovere di dirglielo.

Finora l’appello di Europa Radicale (a cui si può aderire scrivendo a [email protected]) non ha avuto risposte ufficiali dalla Rai, ma intanto sono oltre centocinquanta le personalità della politica e del mondo legato al carcere che l’hanno sottoscritto. Per citarne solo alcuni: i parlamentari Mariastella Gelmini, Debora Serracchiani, Piero Fassino, Andrea Martella, Roberto Giachetti, Enrico Borghi, Mauro Berruto, Giulia Pastorella; Luigi Manconi (ex senatore e Presidente di A Buon Diritto); Valentina Alberta (Presidente Camera Penale di Milano); i garanti dei detenuti comunali Sonia Caronni (Biella), Francesco Maisto (Milano), Monica Gallo (Torino), Nathalie Pisano (Novara), Giorgio Galavotti (Rimini); Giuseppe Caforio (Garante della Regione Umbria); gli ex parlamentari radicali Lorenzo Strik Lievers e Marco Taradash.

Dall’inizio dell’anno all’8 agosto si sono suicidate in carcere sessantasei persone e altri novantotto detenuti sono deceduti per altre cause di morte (malattia, overdose, omicidio e cause non determinate). A questi vanno aggiunti sette agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Negli ultimi sette mesi i morti sono stati complessivamente più che in tutto il 2023. I loro nomi li abbiamo esposti durante lunghi presidi di fronte alle carceri di Torino e Brescia. Negli ultimi trenta anni non ci sono mai stati nelle patrie galere tanti suicidi e tante morti non volontarie. Perché si inverta questa tendenza e si adottino provvedimenti utili a questo fine è però necessario che questa catastrofe umanitaria, sociale,  sia conosciuta o conoscibile da tutti. La RAI, il nostro servizio pubblico radiotelevisivo, se ne faccia carico.

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