La condizione umanaLa cronica paralisi politica del Belgio e l’irrisolvibile tensione tra valloni e fiamminghi

La frammentazione politica, amplificata da un sistema elettorale proporzionale e dalla presenza di partiti estremisti come il Vlaams Belang, rende sempre più difficile trovare un compromesso tra le forze politiche

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I partiti belgi non riescono ad accordarsi sulla formazione di un nuovo governo e il Paese, a oltre due mesi dalle elezioni parlamentari, è ancora privo di un esecutivo. Il capo negoziatore Bart de Wever, leader del partito di maggioranza relativa Nuova Alleanza Fiamminga (N-Va), ha rinunciato all’incarico e lo ha rimesso nelle mani del Re Filippo che dovrà decidere il da farsi. La crisi politica del Belgio, in corso da anni, sta conoscendo una nuova fase e il rischio è che l’instabilità possa travolgere le deboli fondamenta dell’unità nazionale.

Le competenze del governo federale sono già ridotte ai minimi termini perché le profonde divisioni tra le due macro-regioni del Paese, le Fiandre e la Vallonia, hanno spinto le istituzioni statali a devolvere la maggior parte delle competenze alle due comunità linguistiche. Che non potrebbero essere più diverse. Le Fiandre sono una delle regioni più ricche d’Europa, guardano al mondo tedesco e votano a destra mentre la Vallonia è l’ex capitale mineraria del Vecchio Continente in profonda crisi da decenni, guarda alla Francia è tendenzialmente vota a sinistra.

Le consultazioni parlamentari, svoltesi lo scorso giugno, hanno determinato un quadro politico frazionato e l’N-Va, movimento autonomista e conservatore che siede nello stesso eurogruppo di Fratelli d’Italia, ha ottenuto poco più del sedici per cento dei voti su scala nazionale. Non è uno scenario inusuale per il Belgio dato che i partiti fiamminghi e valloni si presentano solamente nelle rispettive regioni e alcuni anche nella capitale Bruxelles. Un sistema elettorale proporzionale, con soglia di sbarramento bassa, contribuisce ad accrescere la frammentazione e la presenza di un partito di estrema destra forte, il Vlaams Belang (Vb) che è giunto secondo con il tredici per cento dei voti, impedisce la formazione di coalizioni al vertice. Il Vb è, infatti, escluso dalle altre formazioni politiche da diversi decenni e l’accordo non scritto ha sinora retto.

Le trattative post-voto hanno visto la partecipazione di cinque partiti, dall’N-Va ai conservatori francofoni del Movimento Riformatore passando per i Cristiano Democratici fiamminghi, i progressisti di Vooruit e i centristi francofoni di Gli Impegnati, ma sono collassate per divergenze emerse su temi economici e fiscali. La rinuncia di De Wever ha spinto il Re a nominare Maxime Prevot, leader degli Impegnati, come nuovo capo negoziatore che si dovrà fare carico di trovare un accordo. Entro il 20 settembre, come ricordato dal Brussels Times, il Belgio dovrà inviare un piano alla Commissione Europea che prevede ventotto miliardi di euro di risparmi per affrontare l’alto deficit del budget e il debito pubblico. 

La strada per uscire dalla crisi politica in corso sembra passare dai partiti coinvolti nelle trattative di governo perché altre combinazioni, come il coinvolgimento dei Socialisti francofoni oppure l’esclusione del Movimento Riformatore, renderebbero la formazione del prossimo esecutivo matematicamente impossibile oppure ancora più complessa rispetto a ora. Dave Sinardet, professore di Scienze Politiche all’Università Saint-Louis, ha spiegato al Brussels Times che «il tema principale è che c’è un accordo tra N-Va e Vooruit per governare insieme ovunque, inclusa Anversa e questo è molto importante per De Wever che è sindaco della città» e «quindi De Wever non abbandonerà Vooruit mentre Gli Impegnati non abbandoneranno il Movimento Riformatore, perché anche loro hanno un accordo per governare insieme a diversi livelli».

Sullo sfondo c’è, poi, la questione Vlaams Belang. Gli indipendentisti fiamminghi di destra radicale, euroscettici e anti-immigrati, descrivono il Belgio, secondo quanto riportato dal The Guardian,  come «un matrimonio forzato» e un miscuglio di «due democrazie separate che hanno poco in comune». Questa tesi non può che guadagnare consensi in uno scenario politico contraddistinto da litigi e instabilità. Il rischio è che i consensi di questo partito possano crescere ulteriormente nel prossimo futuro.

Le imperfezioni della democrazia belga evidenziano le fratture presenti tra la comunità fiamminga e vallone e non può essere un caso il fatto che la prima voti massicciamente, ormai da diverse elezioni, per i partiti separatisti. Benjamin Biard, ricercatore presso l’UC Louvain, ha spiegato a Parliament Magazine che gli indipendentisti «hanno rafforzato la loro presenza nelle diverse assemblee parlamentari» e che il Vlaams Belang «è il primo partito in termini di voti ottenuti per il Parlamento Europeo, ha raggiunto il suo miglior risultato a livello federale e il secondo miglior risultato della sua storia a livello fiammingo». 

Non è la prima volta che la formazione di un esecutivo si rivela particolarmente complicata e basta ricordare il precedente del 2010, quando ci vollero cinquecentoquarantuno giorni oppure quello del 2019, quando dovette trascorrere più di un anno dal voto. Biard ha ricordato a Parliament Magazine, che «il compromesso fa parte del sistema politico belga» e che «nell’ultimo governo  i liberali pro-nucleare hanno lavorato con gli ecologisti anti-nucleare e lo stesso è valso per popolari e socialisti che non condividono le stesse idee quando si parla di finanziare il sistema sanitario oppure di occupazione».

La tesi di Biard, ovviamente, regge perché tutte le forze politiche hanno l’interesse a governare ma la costante necessità di periodi molto prolungati di trattative dopo le elezioni evidenzia un problema che deve essere risolto. La prosecuzione dello status quo non farà alto che rafforzare il Vlaams Belang che, dai banchi dell’opposizione, può avere gioco facile nel criticare le dinamiche di potere degli altri schieramenti politici e attrarre sempre più sostenitori dalla propria parte.

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