Giorgia Meloni deve stare al gioco dei Popolari europei. Anzi al doppio gioco del Ppe che va oltre l’ipocrisia, sfiora la malafede. Hanno prima assecondato socialisti, liberali e macroniani nel chiedere a Ursula von der Leyen di tenere lontano Meloni dal trono di spade europeo, consentendole di rimanere in contatto con i Patrioti e Matteo Salvini. Salvo poi stupirsi che la presidente del Consiglio italiana si sia astenuta in Commissione Ue sulla rielezione della signora tedesca del Ppe e abbia fatto votare contro i suoi eurodeputati Conservatori.
Ma come, hanno detto all’amico Antonio Tajani, l’Italia si mette fuori la maggioranza? Si fanno condizionare da Salvini? Non è mai capitato nella storia dei fondatori dell’Unione europea. I Popolari hanno provocato e favorito l’incidente, si sono giustamente messi d’accordo con Macron e Scholz: si sono così assicurati ben quattordici commissari, tranne poi mandare a Roma il loro leader Manfred Weber a recuperare Meloni, farla rientrare nella maggioranza dalla porta di servizio attraverso Raffaele Fitto, che è un democristiano in salsa berlusconiana travestito da fratello d’Italia, al quale mettere nel portafoglio Pnrr e, soprattutto, le Politiche di coesione.
La vicepresidenza esecutiva, che sarebbe il vero upgrading del commissario italiano, come può von der Leyen concederlo a un Paese che le ha votato contro, dove il vice presidente del Consiglio leghista definisce la signora tedesca il peggio del peggio? E senza dare una vicepresidenza esecutiva pure alla Francia, alla Germania e alla Polonia di Donald Tusk, il nuovo uomo forte nel Ppe. Sarebbe un controsenso dopo quei voti che hanno schiacciato Roma e i Conservatori sulla destra patriottica che è un caravanserraglio, un baraccone circense. Circola l’idea che la presidente della Commissione possa nominare un vice presidente esecutivo a chiamata, non permanenti quindi, a seconda delle esigenze e delle materie. C’è chi ricorda che è quello che fece anni fa José Barroso. Un escamotage ipocrita.
Ma il funambolico Weber, che l’altro ieri ha fatto il giro delle sette chiese del centrodestra italiano, non può garantire niente, non può decidere per la sua collega e connazionale, dovrà ancora una volta fare i conti con Parigi e Berlino. Con gli amici Antonio e Raffaele, l’esponente della destra del Ppe sta tentando di recuperare Giorgia. «Io voglio vedere l’Italia tra i Paesi che guidano l’Unione. Il mio partito, che è quello di Tusk, ha vinto le elezioni. Siamo l’unica forza di centro – ha detto al Corriere della Sera – che ha aumentato il numero di parlamentari, anche rispetto a socialisti e liberali. Tocca a noi definire l’agenda dei contenuti». Ma tra questi contenuti non cita il sostegno incondizionato all’Ucraina. Guarda caso durante il suo viaggio a Roma, ma vogliamo credere sia una coincidenza, non dice una parola chiara sull’atteggiamento troppo prudente dell’Europa sulla disperata ed eroica resistenza di Kyjiv, sulla necessità di inviare sempre e di più armi per proteggersi dalle bombe che arrivano dal cielo.
Forse non lo ha detto perché i suoi ospiti italiani pensano che gli ucraini possano difendersi solo schivando i missili che piovano loro in testa e non distruggendo le basi da dove i missili partono. Non voleva contraddire l’amico Tajani che ieri, arrivando al vertice dei ministri degli Esteri della Ue, ha ribadito che Zelensky può usare le armi italiane solo all’interno del territorio ucraino, non per colpire obiettivi in territorio russo. Noi, ha aggiunto, non siamo mica in guerra con la Russia. Quindi, seguendo logicamente il ragionamento di Tajani, tutti gli altri Paesi che invece hanno autorizzato l’uso delle loro armi in territorio russo, sarebbero in guerra con Mosca.
Un ragionamento con tante crepe e contraddizioni come l’atteggiamento dei Popolari nei confronti di Meloni. La vogliono dentro per bilanciare i loro alleati storici a sinistra, quando è stato dimostrato che la premier non vuole scoprirsi a destra. Una volta incassato il dividendo della nomina di Fitto, chi garantisce che Meloni non sarà il cavallo di Troia della destra antieuropea su tutta una serie di dossier, dalla guerra al Green deal a Trump (se venisse eletto)? La presidente del Consiglio è attesa alla prima prova del fuoco sulla legge di bilancio 2025 e sul piano di rientro del debito spalmato in sette anni. Tanti miliardi e tanti no a Salvini ma sono questi i primi cavi dell’alta tensione tra Roma e a Bruxelles.