«Agli ultimi di maggio del decorso anno apparve nel mare Adriatico e precisamente in un’ampia zona, che andava da Trieste sino ad Ancona, una specie di poltiglia ch’ebbe dai pescatori veneti nomi molto vari quali: onto, ontisso de mar, tutti indicanti qualche cosa di viscido, di mucillaginoso. Questa poltiglia si trovava non alla superficie ma nello spessore dell’acqua, non potei appurare, né fu da alcuno constatato, per quanto ne abbia richiesto a molti, se siasi manifestata venendo su dal fondo. È certo però che verso la metà d’agosto fu vista in alcuni punti abbassarsi e adagiarsi sul fondo poi risollevarsi e finalmente ridiscendere. Questa alternativa di sali e scendi precorse la decrescenza del fenomeno, il quale verso la fine di agosto cessò del tutto».
Cita Levi Morenos, nel “La Notarisia – Commentario Ficologico Generale”, opera del 1892, Gian Marco Luna, direttore dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine (Irbim) del Cnr, per spiegarci cosa sono le mucillagini, precisando che «Il fenomeno della formazione di aggregati mucillaginosi è un fenomeno frequente nel mare Adriatico, noto sin dall’antichità, le cui prime osservazioni risalgono alla metà del 1700».
Il problema, che in questi giorni di agosto tiene banco sui giornali e nel web, è dunque tutt’altro che una novità, anche se tale formazione nei nostri mari italiani «è divenuta un evento noto e rilevante tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando il fenomeno interessò aree molto estese non solo in Adriatico ma anche in Tirreno. Oggi sappiamo che gli aggregati mucillaginosi pelagici vengono prodotti dall’accumulo di sostanza organica di origine planctonica – spiega Luna – in conseguenza della proliferazione e decadimento di microalghe come diatomee e dinoflagellate. Le fioriture di organismi del fitoplancton producono un incremento nelle concentrazioni di sostanze di natura polisaccaridica e proteica, che vanno poi ad accumularsi come sospensioni colloidali, specialmente in condizioni in cui la colonna d’acqua è altamente stratificata.
Va precisato che il rilascio di sostanza organica extracellulare da parte del fitoplancton è un processo assolutamente normale, in quanto questi organismi rilasciano normalmente sostanze colloidali in seguito a processi biologici come essudazione, morte e lisi cellulare, oppure predazione da parte dello zooplancton. Fenomeni massivi come quello di questa estate si verificano in particolari condizioni di stress e disequilibrio, causati da una combinazione di alte temperature delle acque, elevati apporti fluviali, forte irraggiamento solare e sbilanciamento nelle concentrazioni di nutrienti, tra cui lo sbilanciamento nel rapporto azoto e fosforo».
Il turismo e la pesca
Brutte a vedersi, allontanano i turisti dalle spiagge e rendono (quasi) impossibile fare il bagno. Tuttavia «le mucillagini non sono generalmente pericolose per l’uomo – ricorda Luna – e non hanno conseguenze negative per la salute dell’uomo, in quanto i composti organici naturali che le formano non sono dotati di una loro tossicità intrinseca. La pericolosità degli aggregati potrebbe, ma solo teoricamente, derivare dalla capacità di concentrare ed intrappolare inquinanti (inclusi microbi) già presenti in mare, qualora le mucillagini si trovassero a transitare in aree particolarmente inquinate. Aggiungo che dalla letteratura scientifica non abbiamo, almeno sinora, nessuna prova che le mucillagini rappresentino ambienti capaci di favorire la crescita di batteri patogeni, ad esempio quelli di origine fecale che vengono utilizzati per valutare la qualità delle acque di balneazione.
Gli aggregati, pur non rappresentando un problema sanitario, creano indubbiamente problemi a diversi settori della nostra blue economy. Il turismo balneare ne risente in quanto gli aggregati creano disagio e non invitano al tuffo, e possono lasciare dopo il bagno uno strato mucillaginoso sulla pelle che necessita di essere lavato via con una doccia calda e sapone».
Tuttavia le mucillagini creano importanti problemi al settore della pesca «perché intasano e appesantiscono le reti. Le reti intasate dalle mucillagini offrono una maggiore resistenza al loro recupero, aumentando lo sforzo del verricello salparete, il che causa aumenti di consumo del carburante, problemi nella conduzione della barca e una generale diminuzione della sicurezza del personale di bordo. Quando il fenomeno è particolarmente esteso, come quest’anno, i pescatori spesso rinunciano a uscire. Lo stesso Levi Morenos narrava già che “Questa straordinaria comparsa sarebbe passata inavvertita se non avesse danneggiata la pesca coll’agglutinarsi della materia attorno alle reti dei pescatori, rendendole enormemente pesanti, in modo da causarne spesso la rottura e la perdita del prodotto. Ed anche se le reti non venivano rotte, pure la pesca si trovò inceppata ugualmente perché questa materia agglutinante venne a chiudere le maglie delle reti”».
Parole di oltre un secolo fa, che sembrano trovare un’eco perfetta in quanto denunciano oggi i pescatori dell’Adriatico. Tonino Giardini, responsabile pesca regione Marche di Coldiretti, ribadisce come questa “fioritura” sia un «problema antico che si sta intensificando con il cambiamento climatico e con le sostanze di scarico presenti nei fiumi che sfociano nel nostro mare. La mucillagine “chiude” la rete e impedisce la pesca. Si presenta a macchia di leopardo in diverse zone, dove noi vediamo la parte superficiale del problema: ma quello che c’è a galla poi precipita sul fondo, dove si decompone e va ad assorbire ossigeno».
Quando se ne vanno?
La domanda che si fanno tutti, dai pescatori ai bagnanti, è quali fattori determinano la scomparsa delle mucillagini? È ancora il dottor Luna a rispondere: «I processi che ne determinano la scomparsa sono quelli capaci di favorirne la disaggregazione, che può avvenire per via del rimescolamento del mare, e dell’export dal bacino adriatico per effetto della circolazione. La turbolenza meteo-marina provocata da venti e mareggiate può favorire la rottura dei fronti di muco galleggianti e delle aggregazioni mucillaginose, mentre la circolazione ne facilita la dispersione ed il loro export verso il largo o verso altri mari. Ci sono poi processi che ne facilitano la degradazione, legati alla decomposizione da parte del microbioma marino, una componente normalmente presente nel mare, alla sedimentazione sul fondale e alla componente ultravioletta della radiazione solare, che può influire sul processo degradativo della sostanza organica».
La situazione del Tirreno
Abbiamo parlato diffusamente del problema mucillagini nel mar Adriatico, ma cosa succede nel Tirreno? Lo abbiamo chiesto a Gianfranco Pascucci, chef del ristorante stellato Pascucci al Porticciolo a Fiumicino, che ha fatto della cucina di mare una bandiera, sostenuta dalla profonda conoscenza dell’ecosistema e dell’attività della pesca, con un dialogo continuo con i pescatori. «Nel Tirreno non abbiamo grandi problemi legati alle mucillagini e in generale al trofismo delle acque. È un mare più aperto. Qui i problemi sono limitati fondamentalmente alle zone salmastre, agli estuari dei fiumi, che sono inquinati: ovvio, il problema è del fiume, ma tutto poi si riversa in mare.
Il Tirreno è un mare che ancora sopporta, dove ci sono stati avvistamenti di cetacei e di tartarughe, un mare vivo, e anche al mercato il pesce non manca: mancano solo i pesci di grossa taglia, come le grandi ricciole, che un tempo erano più presenti, ma forse è anche perché ora la pesca è molto più regolamentata.
I problemi del Tirreno, insomma, sono quelli di tutti, dal rialzo delle temperature alle plastiche. Anche il famigerato granchio blu, di cui tanto si è discusso, è un problema che per quanto riguarda le nostre coste si trova solo nelle vicinanze di acque salmastre. Dovremmo iniziare a prenderci maggior cura dei fiumi, perché la loro importanza, il loro impatto è enorme».