E pensare che c’è stato un momento nel quale l’unico suono contemplato durante le sfilate di alta moda era il ticchettio delle scarpe, o il fruscio delle gonne sui pavimenti degli atelier. Lo si è ricordato di recente, guardando la serie di Disney+ Cristòbal Balenciaga, dedicata all’omonimo couturier basco. Nei saloni parigini degli anni Sessanta, le modelle si muovevano ancora seguendo un ritmo che era solo interiore, portando in mano un cartellino che indicava il modello mentre i giornalisti prendevano appunti con carta e penna. La musica durante gli show fu un’idea quasi oltraggiosa per i parigini e che però venne, ovviamente, a un designer inglese: Ossie Clark. Non vi è la certezza storica, ma lo ha sostenuto la sua compagna di vita e lavoro Celia Birtwell, in occasione della mostra a lui dedicata l’anno scorso dal Museo del Tessuto di Prato Mr. & Mrs. Clark. Ossie Clark and Celia Birtwell. Fashion and Prints 1965-1974.
All’epoca la correlazione tra designer e musicisti non era scontata, i due mondi avevano preso a incontrarsi negli emisferi sociali dei club, con i couturier di nuova generazione che avevano lasciato gli atelier per immergersi nella vita reale, traendone ispirazione: un’abitudine iniziata negli anni Sessanta, quando appunto Ossie Clark usava la musica degli amici Rolling Stones durante le sfilate, di cui curava alcuni look per i concerti e che poi sarebbe proseguita negli anni Settanta e ottanta, quando tra lo Studio 54 di New York e il Blitz di Londra transitarono figure come Diana Ross e Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld e Grace Jones, Boy George e John Galliano.
Un avvicinamento che si è oggi tramutato in un’eclisse, una sovrapposizione di ruoli basata su interessi comuni (il ritorno economico e l’ampliamento del proprio bacino d’influenza attraverso escursioni in ambiti artistici contigui) di cui l’esempio lampante è quello di Pharrell Williams, precedentemente rapper e produttore, nominato direttore creativo di Louis Vuitton nel 2023. Ma il sodalizio tra moda e musica non è uguale per tutti.
C’è l’artista che presta la sua voce, come ha fatto il premio Pulitzer Kendrick Lamar, che ha curato la colonna sonora di The Button, video prodotto da Chanel per presentare la sua omonima sfilata di haute couture per la primavera/estate 2024; c’è l’infinita lista costantemente in aggiornamento di cantanti tramutatisi in testimonial di brand, da Rihanna con Dior a Lana Del Rey con Skims; c’è il cantante che realizza una sua collezione all’interno di un grande brand, da Travis Scott con Cactus Jack per Dior a Tyler, the Creator, di recente cooptato da Pharrell per realizzare alcuni capi e accessori per Louis Vuitton.
D’altro canto entrare nel grande sistema della moda come testimonial o co-autore di capsule garantisce ingenti gettiti di denaro, in un momento nel quale il mercato musicale parcellizzato da streaming e servizi come Spotify o Apple Music ha diminuito di molto gli introiti generati dalla vendita di dischi o singoli, e l’unica attività davvero remunerativa rimane l’evento live, per il quale è però necessario avere della nuova musica da offrire a chi è disposto a pagare cifre sempre più alte per vedere i propri artisti preferiti dal vivo. A fine febbraio Kanye West si è esibito invece al Forum d’Assago di Milano, anche se parlare di esibizione è forse un’esagerazione, considerato che si è trattato di un ascolto del suo nuovo album, Vultures 1 prodotto con Ty Dolla $ign, alla presenza del controverso artista di Chicago, che però non ha aperto bocca (anche se la qualità dell’audio era eccelsa, dice chi ha speso tra i 115 e i 207 euro per partecipare ad una serata karaoke).
Che West sia stata una figura spartiacque nel rapporto tra moda-musica-entertainment ce lo spiegano Cristoforo Colombo e Andrea Pellizzardi, tra le menti di Deer Waves, blog musicale nato nel 2010 e oggi prolifico account Instagram con podcast correlato: «Kanye West ha dato il via a una nuova era nel momento nel quale ha prodotto le Yeezy (sneaker realizzate con Adidas, ndr)» affermano.
«Un processo che è iniziato molto tempo fa con Sean Combs, in arte Puff Diddy, che aveva una sua linea d’abbigliamento nei primi anni del 2000, così come Jay-Z con Roc Nation, la sua etichetta discografica fondata nel 2008 (con cui Moncler ha realizzato una capsule nel 2014, ndr). Oggi sono in molti ad avventurarsi su questo territorio da Tyler, The Creator a Frank Ocean, che nel 2022 con il suo brand Homer ha proposto in vendita un cock ring in oro dal valore di 25 mila euro.
Persino il merchandising che si acquista ai loro live ha oggi un’attenzione diversa al design: certo, in gran parte rimangono stampe con nome e cognome dell’artista che sembrano realizzate a basso costo dall’amico del cantante, ma se guardiamo a Rosalìa, che non a caso è stata testimonial di Acne Studios, le sue felpe hanno un design minimal e contemporaneo (è il caso della Whipped Cream Hoodie, dove due “R” in panna montata si incrociano tra loro, al costo di 90 euro)». Quando però l’artista predilige gli impegni con le maison alla produzione di nuova musica, i fan non la prendono sul personale? «La realtà è che molti degli artisti oggi più dediti alla moda che alla musica, probabilmente hanno esaurito la loro vena creativa o si sentono stretti quando relegano la loro arte solo al mondo musicale», spiegano Pellizzardi e Colombo.
«Rihanna non produce un nuovo album dal 2016 (Anti) e Lift me up, canzone del 2022 realizzata per la colonna sonora di Black Panther: Wakanda Forever, è passata sotto traccia. Pharell, a parte alcuni featuring, ha realizzato il suo ultimo album Girl, nel 2014. Non essendo più rilevanti in campo musicale, a volte succede di tramutarsi in volti dediti più in generale, all’intrattenimento». E in effetti That’s entertainment! è il titolo dell’ultimo numero di System, rivista semestrale di settore divenuta un culto tra gli addetti ai lavori della moda: a campeggiare con queste parole sulla copertina, è proprio Pharrell, responsabile di un’evoluzione nel concetto di fashion show, che ha portato le sfilate a tramutarsi in veri e propri concerti.
Per il suo ultimo show uomo autunno/inverno 2024-2025 di Louis Vuitton ha infatti prodotto quattro brani originali, che gli autori hanno cantato live sul palco (tra le composizioni una era realizzata dal gruppo dei Mumford & Sons, un’altra dal collettivo The Native Voices of Resistance). E proprio parlando di intrattenimento, di recente alcuni brand hanno adottato un approccio più sistemico: è il caso di Versace, che, figlio di una storia nella quale a realizzare le colonne sonore della sfilata era Prince, ha annunciato a febbraio l’inizio di una collaborazione con Roc Nation come già detto di proprietà di Jay Z.
Anche il colosso LVMH ha annunciato il lancio di 22 Montaigne Entertainment, piattaforma per lo sviluppo di produzioni cinematografiche, mentre Artèmis, società di investimento del patron di Kering François-Henri Pinault, ha acquisito una quota di maggioranza in Creative Artist Agency (CAA) agenzia di talent holliwoodiana che ha tra i clienti Zendaya, Tom Hanks, Steven Spielberg e Ryan Murphy. Balenciaga invece ha di recente omaggiato Angelo Badalamenti, compositore e autore delle colonne sonore di diversi film di David Lynch, attraverso una capsule di abbigliamento, una playlist realizzata dallo stesso Badalamenti presente sul sito della maison e infine una masterclass gratuita per gli studenti della Manhattan School of Music, alma mater dello stesso compositore.
Infine, Saint Laurent ha inaugurato una sua casa di produzione, che ha già realizzato Strange Way of Life, corto di Pedro Almodóvar con Ethan Hawke e Pedro Pascal come protagonisti, e, ovviamente, i costumi della maison. Evoluzioni mastodontiche di percorsi e di incontri che, quarant’anni fa, esistevano, ma erano sospinti dal vento delle affinità elettive ed erano tanto più autorevoli quanto meno erano popolari. A farne da testimone è Luca Benini, guru dello streetwear italiano e fondatore di Slam Jam, grazie al quale sono arrivati in Italia sul finire degli anni ottanta brand seminali per le controculture musicali d’oltreoceano. «La musica è stata la bussola che ha guidato molta della mia ricerca nel mondo dell’abbigliamento, d’altronde per diversi anni ho fatto anche il dj», spiega Benini.
«L’obiettivo era raccontare qualcosa che fosse reale, radicato nella comunità nella quale vivevo. Per questo nel 2020 è nata una collaborazione tra Slam Jam e i CCCP-Fedeli alla linea, band che conosco da 40 anni, quando andai a vedere un loro concerto durante una festa dell’Unità, e mi cambiò la vita. La band non aveva mai dato l’autorizzazione per la produzione di abbigliamento che riportasse le loro grafiche prima che ci incontrassimo e il progetto è nato per una reale vicinanza di valori. Certo, all’epoca non mi sarei immaginato il rapper Flavor Flav dei Public Enemy come un possibile direttore creativo di una maison (ride, ndr). Il problema di oggi – conclude Benini – è che mi pare ci sia una sproporzione sulla bilancia: si fa poca ricerca musicale che vada oltre i fenomeni pop e di massa perché a essere fondamentale è il ritorno economico dell’operazione. Mentre la contaminazione tra musica e moda è uno strumento fondamentale per fare cultura, tenere il polso del nostro tempo, ed è un peccato che chi ha le possibilità di farlo, rimanga in superficie».
Le eccezioni però ci sono: è il caso di Etro, il cui direttore creativo Marco De Vincenzo ha usato la musica della band emergente Santamarea per due sue sfilate, regalando loro una visibilità impossibile da raggiungere in altro modo. Per la collezione autunno/inverno 2024-2025, sempre De Vincenzo ha poi scelto la giovane artista Miglio. Progetti questi che aprono un canale di comunicazione autentico tra le due realtà, concedendo all’artista un palcoscenico globale, e permettendo al brand di validarsi come un interlocutore autorevole nel descrivere la contemporaneità non solo attraverso gli abiti, ma anche usandone i suoni: altrimenti, sarebbe davvero (solo) intrattenimento.