Tra Giuliano e SangiulianoIl neo ministro Giuli, e l’egemonia culturale del Foglio di Ferrara

Dopo Buttafuoco (Biennale), Benini (Salone del Libro) e Stocchi (Maxxi), il governo in difficoltà pesca ancora una volta dal giornale dell’Elefantino, dimostrando di non avere una classe dirigente propria

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«Ben scavato vecchia talpa», marxianamente Giuliano Ferrara ieri gongolava, e con ragione: la fucina del suo Foglio pare diventata l’accademia della nuova classe dirigente, almeno di quella parte che ha l’obbligo di stare a tavola usando le posate d’argento con lo stile necessario. E dunque ecco Alessandro Giuli nuovo ministro della Cultura: se le cose dovessero continuare così diventerà una specie di Giuliano Amato, una riserva della Repubblica meloniana, se c’è un problema si chiama lui, e qui il problema c’era e bello grosso, chi mettere al posto dello sventurato (che come la Monaca di Monza “rispose”) Gennaro Sangiuliano, ’o ministro ’nnammurato, come ha scritto qualcuno.

La sagace premier ci ha messo tre giorni per capire che era meglio se si levava di torno, chissà cosa pensava di fare, lei con l’amico Gian Marco Chiocci che ha realizzato una delle più grottesche interviste della storia della tv pubblica. Tanto c’era Giuli pronto, perché aspettare? Figlio del Foglio, come Pietrangelo Buttafuoco, già scelto per la Biennale di Venezia, come prima Annalena Benini al Salone di Torino nella capitale del liberalismo democratico e della Resistenza. E a Roma, dove non mancano le terrazze, anche se più sbracate di una volta, Giuli si era installato al Maxxi, gioiellino melandriano e dunque della sinistra rutelliana, diciamo così per non confonderlo con le salsicce comuniste delle Feste dell’Unità, e da lì ha lanciato con il suo stile vagamente apollineo tante liane verso i dirimpettai della sinistra, attitudine peraltro coltivata dai tempi in cui l’ex deputato del Pd Andrea Romano, allora direttore della saggistica di Einaudi (Einaudi!), gli chiese di scrivere un libro e lui fece “Il passo delle oche” in cui distruggeva Gianfranco Fini.

Al MaXXI il neoministro non ha fatto male, anzi, anche grazie al suo direttore generale Francesco Stocchi che non a caso dirige sul Foglio, sempre lui, un inserto sull’arte. Negli anni, Giuli sul giornale dell’Elefantino, nel crogiuolo tra berlusconismo, dalemismo, renzismo e quant’altro, ci ha dato dentro con articoli e analisi, fino a divernarne condirettore, contribuendo a alimentare quella serra ferrariana dalla quale oggi si rifornisce una classe politica di governo dove la cultura non sta di casa. E dunque, per costruire un simulacro di egemonia, questi al governo devono rivolgersi fuori dagli ambienti di Colle Oppio e di San Babila, si crogiolano con Tolkien e Marinetti, ed è meglio di niente ma non basta assolutamente, credono che in Gramsci ci sia la ricetta per l’egemonia ma non è così, lo stesso Giuli ha cercato di spiegarglielo con l’ultimo suo libro, “Gramsci è vivo”, nel quale in realtà sfidava i suoi sodali politici a emanciparsi, a «guardare negli occhi la sinistra» anche con un certo grado di umiltà intellettuale, ma chissà quelli che ci hanno capito.

E dunque i meloniani sono costretti a uscire dai loro bunker costruiti con granitiche certezze di cent’anni fa e andare a cercare nei luoghi “altri” dove si fa davvero mescolanza di culture, e in questo senso il Foglio è oggettivamente un bel supermarket di idee e sui suoi scaffali si trovano molte cose e utilissime, a saperle usare.

Questa destra meloniana vuole costruire un nuovo edificio culturale, ma per farlo deve prendere i mattoni e usare la calce – non diciamo dal cantiere della sinistra ma da chi è in qualche modo imbozzolato in quella vicenda –, deve chinarsi su una spiaggia che non è la sua per raccogliere le telline della cultura, e non è detto che poi sappiamo cucinarle.

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