Lessico famigliareL’assegno unico per i figli è l’unica misura redistributiva realmente favorevole ai meno abbienti

Il welfare italiano è storicamente poco equo e continua a privilegiare i ceti medio-alti rispetto ai più poveri. A differenza delle pensioni o delle detrazioni fiscali, questo strumento economico è strutturato per fornire maggiori benefici a chi ha redditi più bassi e più figli a carico, riducendo le disuguaglianze

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Storicamente il welfare italiano è sempre stato scarso rispetto a quello presente in altri Paesi dell’Europa occidentale, lo sappiamo, ma soprattutto è sempre stato squilibrato. Prima dell’arrivo del Reddito di Inclusione e poi del contestatissimo Reddito di Cittadinanza, lo scorso decennio, la quota di famiglie appartenenti al dieci per cento più ricco che riceveva una qualche forma di trasferimento era inferiore a quella riscontrabile tra chi faceva parte del terzo decile, quello di chi sta tra il venti e il trenta per cento più povero. Anzi, secondo una ricerca di Prometeia in tutto il ceto medio, anche nel segmento con il venti-trenta per cento più ricco, quanti beneficiavano di qualche sussidio, detrazione o pensione erano più numerosi che tra i più poveri. 

Era l’effetto di un welfare basato quasi interamente sulle pensioni e sugli interventi fiscali, che, però, in quanto tali escludono gli incapienti, coloro che non hanno entrate da tassare, che non possono detrarre nulla perché non guadagnano. Questo è anche uno dei motivi per cui, secondo Euromod, pure le politiche sociali del 2023 hanno premiato molto più il terzo e quarto decile, quindi il ceto medio-basso, più di quello più povero. Per quest’ultimo l’effetto è stato una riduzione del 3,46 per cento del reddito disponibile a livello nominale, mentre per i maggiori beneficiari è salito del 2,3 e del 2,4 per cento. Persino il dieci per cento più ricco ha visto un effetto netto positivo, dello 0,9 per cento.

Accanto alla cancellazione del Rdc e alla sua sostituzione con l’assegno di inclusione, che ha inciso molto, infatti, sono state varate alcune decontribuzioni e il parziale adeguamento delle pensioni all’inflazione, che, appunto, presuppongono che ci sia un lavoro o la percezione di un assegno pensionistico. In modo totalmente diverso, per esempio, è andata in Germania, dove sono stati coloro che fanno parte del dieci del venti per cento più povero a ricevere i trasferimenti più alti, in proporzione al reddito.

Tra i maggiori sussidi in Italia ce n’è uno solo che invece è chiaramente redistributivo e premia soprattutto i meno abbienti, è l’assegno unico e universale per i figli a carico. Sono i nuclei che hanno tra zero e diecimila e ottocentodieci euro di reddito Isee quelli che ricevono le somme maggiori, tra trecentottantadue e i trecentottantanove euro al mese. È ovvio che se il calcolo fosse in percentuale sulle entrate il segmento più povero sarebbe quello che incasserebbe di più. È del resto in queste due fasce di reddito che si trova il numero maggiore di figli beneficiari, sono 2,57 milioni in quella più bassa e 3,67 milioni nella seconda.

Dati Inps, assegno mensile per nucleo richiedente e numero di figli

A proposito di figli, l’l’assegno unico e universale non è solo crescente rispetto al reddito, ma, cosa forse anche più importante di questi tempi, anche rispetto al numero di figli. Lo era l’anno in cui è stato istituito, lo è diventato ancora di più nel 2023 e nel 2024. Oggi le famiglie in cui ve ne sono tre ricevono in media seicentocinquanta euro, più del triplo di quanto prende un nucleo con un figlio unico, centocinquanta. Allo stesso modo i pochissimi beneficiari che hanno una prole di sei figli ricevono millenovecentodiciassette euro, più del doppio di quanto dato a chi ne ha una di tre.

Dati Inps, assegno mensile

I più poveri, tra l’altro, sono quelli che mediamente hanno più figli, 1,74 contro gli 1,44 delle famiglie del segmento più ricco, ma non è solo per questo che ricevono di più. Anche l’assegno unico e universale calcolato per singolo figlio è maggiore nel loro caso, duecentoventisei euro per chi ha meno di cinquemila e quattrocentocinque euro di reddito Isee, contro i cinquantasette di chi ne ha più di quarantatremila e duecentoquaranta euro.

Dati Inps, assegno mensile

È chiarissima la sproporzione a favore di chi sta peggio, e non cambiano molto le cose le briciole date ai più ricchi, i figli dei quali che ricevono un quarto di quanto viene dato per quelli dei più poveri. È anche per questo, per i suoi effetti già chiaramente redistributivi, che il dibattito sull’assegno unico e universale rischia di essere piuttosto surreale, soprattutto visto che molti di coloro che lamentano l’incremento dei suoi costi si guardano bene dal mettere in discussione e dal parlare pubblicamente di «rimodulazione» delle pensioni, ovvero dello strumento di welfare invece più distorsivo.

Ma, soprattutto, il principale motivo è che stiamo parlando di un intervento che incide su una platea che è destinata a scendere per il calo demografico. Nel breve lasso di tempo in cui è stata in vigore è già diminuito da 1,59 a 1,57 il numero di figli per nucleo richiedente. È una cifra che dovrà ridursi ancora visto che il tasso di fertilità italiano in soli tredici anni, tra 2010 e 2023, è sceso da 1,44 a 1,2, -16,7 per cento. 

Dati Inps

Anche le famiglie più povere, quelle che una volta avevano la prole più numerosa, ora non vanno oltre gli 1,74 figli per nucleo richiedente dell’assegno unico, come si è visto. Quelle che ne hanno tre sono solo circa quattrocentocinquanta mila, cioè il 7,6 per cento e quelle che ne hanno di più sono così poche che è persino difficile mostrarle in qualsiasi grafico, mentre in due anni la percentuale di famiglie con un solo figlio è cresciuta dal 50,4 al 52,5 per cento e naturalmente è destinata a salire ulteriormente. 

Dati Inps

La discussione intorno all’assegno unico universale dovrebbe vertere, piuttosto, sul contesto in cui viene applicato, sulla profonda crisi delle nascite su cui non riesce a incidere. In questo senso, alla luce dell’emergenza demografica, è anche piuttosto ridicolo fare distinzioni tra italiani, stranieri con una lunga residenza e quelli che sono da poco nel nostro Paese. Forse, però, anche tra coloro che amano parlare di natalità questa emergenza non viene realmente percepita come tale, visto che mostrerà i suoi effetti maggiori nel medio e lungo periodo e che quelli che già presenti sono ancora relativamente flebili, e quindi ignorabili. Quando saranno più evidenti forse sarà chiaro che quanto speso per l’assegno unico e per misure simili (si pensi agli asili nido) sarà stato tragicamente insufficiente.

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