La peggio gioventùÈ ufficialmente finito l’aumento dell’occupazione degli under 35

Sebbene i numeri complessivi mostrino un record storico degli occupati, la crescita è principalmente trainata dall’incremento dei lavoratori più anziani (soprattutto over 50), mentre il numero di giovani lavoratori è stagnante. Il mercato del lavoro non è realmente dinamico, né sostenibile

Unsplash

Per il governo è merito proprio, per l’opposizione avviene grazie a una congiuntura che viene da lontano, per molti, compresi alcuni economisti, è in parte un mistero, un mistero glorioso una volta tanto, in mezzo a tanti misteri dolorosi. È l’aumento dell’occupazione, che ormai ha raggiunto numeri record, a luglio il numero dei lavoratori ha superato per la prima volta quota ventiquattro milioni, ovvero quasi mezzo milione più di un anno prima, circa ottocentocinquantamila più di due anni fa e di metà 2019. Il tasso di occupazione ha raggiunto il 62,3 per cento, che rimane un dato molto basso a confronto di quello europeo, ma rappresenta un altro record in un Paese in cui non si era mai arrivati, prima del Covid, al sessanta per cento. Comunque la si pensi, che sia l’effetto di misure governative o della congiuntura demografica e sociale (meno donne che rimangono a casa e rinunciano al lavoro), che sia per la riduzione dei salari reali e la bassa produttività, che sia per tutto ciò insieme, i numeri complessivi non raccontano tutta la storia.

Nell’ultimo anno, infatti, la crescita dell’occupazione non è stata come quella che ha caratterizzato i due precedenti, in un certo senso è peggiorata qualitativamente. Se fino all’inizio del 2023 l’incremento maggiore dei posti di lavoro è stato quello dei ragazzi tra quindici e ventiquattro anni, che in meno di quattro anni erano saliti dell’11,6 per cento, tra febbraio 2023 e luglio 2024 le cose sono cambiate. I lavoratori under venticinque hanno smesso di crescere, anzi, sono diminuiti, quelli tra i venticinque e i trentaquattro anni sono aumentati a un ritmo più lento, mentre sono stati gli over cinquanta a mettere a segno le performance migliori. 

Dati Istat

Il risultato è che tra la metà del 2019 e i cinque anni successivi questi ultimi sono cresciuti del 12,2 per cento, ovvero di ben un milione e cinquantatremila unità, mentre gli under venticinque del 7,7 per cento e quelli che fanno parte delle altre fasce di età ancora meno. I lavoratori tra i trentacinque e i quarantanove anni sono persino diminuiti del 5,2 per cento.

Dati Istat, dati in migliaia e in percentuale

Quello che più conta qui non è tanto il dato complessivo, ma la differenza tra il trend che avevamo visto tra 2021 e 2023 e quello dell’ultimo anno. Negli ultimi dodici mesi gli under venticinque al lavoro sono diminuiti dello 0,5 per cento, mentre erano saliti dell’1,1 per cento in quello precedente e addirittura del 10,8 tra 2021 e 2022, quando in tanti erano tornati al lavoro dopo essere stati le vittime sacrificali delle chiusure dovute alla pandemia. Dato ancora più preoccupante, perché riguarda una platea molto più vasta, c’è stato, come si diceva, un rallentamento nell’incremento dei lavoratori tra venticinque e trentaquattro anni, che tra luglio 2023 e luglio 2024 sono cresciuti solo dell’1,2 per cento, mentre l’anno prima del 2,9 per cento.

Dati Istat

A trainare l’occupazione è stato il rimbalzo del dato dei trentacinque-quarantanovenni, dopo due anni di calo, e, soprattutto, quello degli over 50, quelli al lavoro sono aumentati di più di trecentoquattromila unità, del 3,2 per cento. Insomma, per essere più chiari, tra metà 2022 e metà 2023 il 35,4 per cento dei lavoratori in più era costituito da chi aveva meno di trentacinque anni, mentre nell’ultimo anno questi sono stati responsabili solo del 9,3 per cento dell’incremento degli occupati.

Dati Istat

Certo, la demografia conta, se i più giovani diminuiscono è normale che siano meno anche gli occupati e se gli anziani crescono è prevedibile che aumentino anche i lavoratori over cinquanta. Tuttavia Istat ha calcolato anche l’incremento percentuale dell’occupazione al netto del trend demografico, per un confronto più adeguato. Ebbene, anche considerando questo fattore è evidentissimo l’azzeramento dei progressi messi a segno dal segmento dei giovani: se nel luglio 2023 l’aumento annuale effettivo dei lavoratori under trentacinque era stato del 2,7 per cento, dodici mesi dopo è stato dello 0,3 per cento. Al contrario quello dei cinquanta-sessantaquattrenni è passato dal 2,1 al 2,3 per cento, ben più di quello medio dell’1,6 per cento.

Dati Istat, dati percentuali, presenti solo i dati dei 50-64enni, non dei 50-89enni

Cosa sta succedendo? Di fatto stiamo tornando al vecchio andazzo, così comune lo scorso decennio. Da un lato c’è un aumento dei lavoratori più anziani, causato dagli effetti di lungo periodo delle riforme delle pensioni, solo a tratti temperati da questa o quelle leggine, vedi Quota 100 o Quota 103, che però saranno sempre meno frequenti, dall’altro uno molto più asfittico dei giovani, nonostante il tasso di occupazione di questi rimanga molto lontano da quello medio europeo. Tra i venticinque e i trentaquattro anni è del 68,4 per cento, in quattro anni, tra il 2019 e la fine del 2023 è salito di ben il 6,4 per cento, un record, ma poi ha cominciato a scendere, come ha fatto quello degli under venticinque.

Dati Istat, crescita percentuale e dati percentuali assoluti, presenti solo i dati dei 50-64enni, non dei 50-89enni

Questi dati ci dicono che il mercato del lavoro alla fine non è veramente così slegato dall’economia reale, se il Pil ricomincia a crescere dello zero virgola non sono possibili miracoli, non ci potranno essere assunzioni di massa di neodiplomati o di neolaureati. Complice la bassa produttività e un recupero molto lento valore reale dei salari dopo l’inflazione, ci potranno essere modesti aumenti dell’occupazione soprattutto laddove c’è più carenza di personale, anche con l’introduzione di giovani leve, ma gran parte della scarsa crescita economica dovrà servire a mantenere al lavoro i sessantenni e a volte anche i settantenni che continueranno a crescere all’interno del mercato. Almeno finché, tra una dozzina d’anni, entreranno in questa fascia di età le prime generazioni che hanno vissuto il calo delle nascite.

Nel frattempo, perché le cose vadano diversamente, perché ricomincino a salire i posti di lavoro per i giovani, le strade sono due. C’è quella dei salari bassi, che consentono di assumere qualche ventenne malpagato in più, complici qualche decontribuzione e detrazione finanziate a debito. E poi c’è la strada della crescita vera, non più asfittica, trainata non dal rimbalzo da una recessione né da bonus e superbonus, ma da un decollo della produttività, quella che attendiamo invano da tanto.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter