Dal Pantheon di Roma ai grattacieli di New York, il calcestruzzo è presente in ogni ambiente creato dall’uomo. È il materiale da costruzione più utilizzato, ha consentito a imponenti architetture dell’antichità di arrivare fino ai nostri giorni e resta uno dei pilastri della nostra economia e del nostro stile di vita. Vitruvio nel «De Architectura» racconta l’inizio della scienza delle costruzioni, l’uso della «pozzolana» (pulvis puteolana), una cenere vulcanica estratta a Pozzuoli, che diventa il miglior legante dell’antichità, il predecessore del cemento. La produzione di cemento (l’ingrediente principale del calcestruzzo) genera circa l’otto per cento delle emissioni globali di CO2. Se fosse un Paese, sarebbe al terzo posto dopo la Cina e gli Stati Uniti per emissioni di gas serra.
La tipologia di processo industriale è tale da rendere quasi impossibile la completa decarbonizzazione. Nel quadro della transizione energetica e della lotta al cambiamento climatico, i settori hard-to-abate come il cemento, l’acciaio, la chimica, l’aviazione, rappresentano una delle sfide più grandi. Gli impianti di produzione di acciaio e cemento non solo richiedono enormi quantità di energia, ma emettono anidride carbonica come parte integrante del loro ciclo industriale.
Nel caso dell’aviazione, l’uso di combustibili fossili ad alto contenuto di carbonio rimane imprescindibile per i voli a lunga distanza. Questi settori, pilastri del mondo moderno, non possono essere eliminati o completamente elettrificati senza significative conseguenze economiche e sociali. La decarbonizzazione si fa con la tecnologia e non con l’ideologia: ridurre le emissioni alla fonte non basta.
Il report dell’International Energy Agency (IEA), “Net Zero by 2050 – A Roadmap for the Global Energy Sector” individua nei processi di cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2, uno strumento cruciale per ottenere emissioni nette nulle entro il 2050. La Carbon Capture and Storage (Ccs) consente di catturare fino al novanta per cento delle emissioni di CO2 (impedendo che raggiungano l’atmosfera) che può essere trasformata o stoccata in formazioni geologiche profonde, oppure utilizzata in applicazioni industriali come la produzione di materiali sintetici o da costruzione. Cioè a dire, paradossalmente, che la transizione passa proprio dall’industria petrolifera e del gas che da decenni utilizza e sviluppa tecnologie Ccs.
Diversi progetti pilota sono già operativi grazie alla collaborazione tra l’industria e i governi, come il Gorgon in Australia e lo Sleipner in Norvegia. Secondo il Global Ccs Institute ci sono quarantuno impianti attivi nel mondo, centosettantuno impianti in fase di realizzazione in Europa e oltre duecentosessantacinque in Nord Amarica, soprattutto negli Stati Uniti.
Nell’Industrial carbon management strategy, approvato lo scorso febbraio dalla Commissione europea, si sottolinea l’importanza strategica della Ccs, con una serie di target ambiziosi su infrastrutture, siti di stoccaggio e reti di trasporto. La Ccs rappresenta una strada obbligata per raggiungere gli obiettivi globali di decarbonizzazione nei settori hard-to-abate, una delle poche soluzioni immediatamente disponibili.
L’Oil&Gas è ben posizionato per guidare lo sviluppo di queste tecnologie. Tuttavia è essenziale un forte sostegno politico e finanziario (incentivi, regolamentazioni, ricerca scientifica) per scalare queste soluzioni e garantire un futuro sostenibile alle generazioni a venire. Serve una mappa e una rotta. Come diceva Seneca, «non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare».