Dopo il suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu e l’ormai famoso duetto con Elon Musk alla cena dell’Atlantic Council, Giorgia Meloni ha lasciato New York con un giorno di anticipo, in modo da non poter partecipare in presenza, ma solo in collegamento, al vertice organizzato da Joe Biden con Volodymyr Zelensky, i leader del G7 e dell’Unione europea, per rilanciare il sostegno all’Ucraina. Del resto, al di là delle scuse sui «problemi di agenda» e le dichiarazioni di circostanza sulla necessità di difendere il paese aggredito, la manovra di riposizionamento era da tempo evidente a tutti. Ma se qualche ingenuo avesse ancora dei dubbi, a toglierglieli dovrebbe bastare il caso del comunicato relativo alla riunione, una dichiarazione congiunta cui Palazzo Chigi fa seguire immediatamente una nota in cui sintetizza i contenuti del vertice.
Nota in cui si cita la «riaffermazione dell’impegno congiunto ad assicurare, bilateralmente e attraverso i meccanismi multilaterali, l’assistenza economica all’Ucraina, con particolare attenzione alle riforme», il sostegno «alla protezione e riabilitazione delle infrastrutture energetiche» e «il coordinamento sulla ricostruzione». Ma non si fa il minimo cenno agli aiuti militari, che pure sono stati decisi e sono ovviamente citati nella dichiarazione congiunta del G7 (punto 3), coordinata dalla presidenza italiana.
I giornali non hanno potuto fare a meno di notare la singolare omissione, mettendola in relazione con le precedenti scelte del governo, che sulla questione delle restrizioni all’uso delle armi occidentali non ha esitato a mettersi contro l’intera Unione europea, al fianco di Viktor Orbán (e di gran parte delle forze di opposizione, ahinoi, a cominciare dal Pd di Elly Schlein).
Per di più, la ritirata di Meloni avviene proprio nelle ore in cui Joe Biden annunciava la decisione di rifornire l’Ucraina di armi a lungo raggio (sebbene, a quanto dicono i giornali, non l’avrebbe autorizzata a colpire in profondità in territorio russo) mentre Donald Trump gettava definitivamente la maschera defininendo Zelensky «un piazzista» e Putin «un amico».
In questa situazione, come scrive Ilario Lombardo sulla Stampa senza lesinare eufemismi, «Meloni è costretta a un equilibrismo che rischia di passare per ambiguità». Ma l’ambiguità veramente insopportabile è quella dei tanti sostenitori e commentatori che hanno fatto finta di bersi la favola della grande fermezza meloniana, della leader euro-atlantista che si muoveva addirittura nel solco di Mario Draghi, con tutte le sue solenni dichiarazioni di principio in difesa dell’Ucraina.
Fingendo di dimenticare anni di campagne di Fratelli d’Italia a favore della Russia di Putin, i ripetuti interventi di Meloni alla Camera per chiedere di togliere le sanzioni contro Mosca decise dopo l’invasione della Crimea o il rapporto sempre caloroso con Orbán, il principale cavallo di Troia di Putin in Europa. È la ragione per cui, a voler essere onesti, bisogna riconoscere che scaricare l’Ucraina e riavvicinarsi a Trump sono scelte che non hanno oggi nulla di opportunistico e tanto meno di insincero. Quelle, semmai, erano le scelte precedenti.