Favor rei contro metooLa notte del garantismo e i pregiudizi di genere della giustizia italiana

Quell’orientamento culturale che solitamente nei giudizi favorisce stereotipi e pregiudizi contro le controparti maschili nei casi di diritto di famiglia e di reati sessuali per una volta è stato messo da parte. Evviva, ma durerà?

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A volte, per capire a che punto è la notte del garantismo nel nostro paese, bastano piccoli episodi relegati nella cronaca ordinaria del pettegolezzo. Prendiamo due vicende apparentemente slegate e che invece sono connesse, ed eloquentemente emblematiche.

La prima riguarda un austero manuale di diritto privato, giunto a una sua ultra-ventennale edizione in cui l’autore, il professor Francesco Gazzoni, emerito della materia all’Università di Roma, ha lamentato testualmente che «i magistrati entrano in ruolo in base a un mero concorso per laureati in giurisprudenza e appartengono in maggioranza al genere femminile, che giudica non di rado in modo eccellente, ma è in equilibrio molto instabile nei giudizi di merito in materia di famiglia e figli»-

Gazzoni con vero sprezzo del pericolo si addentra in una materia scivolosa e difficile suscitando vigorose reazioni di suoi colleghi e della Associazione nazionale magistrati, il cui vigile presidente Giuseppe Santalucia ha stigmatizzato (definendole «stupide») le «espressioni che al contempo avviliscono e indignano, mortificando chi le ha pensate, chi le ha scritte e chi ha ritenuto di pubblicarle».

La provocazione del professor Gazzoni indubbiamente pecca di un eccesso di sintesi e di incontinenza verbale. Egli pone l’accento in particolare su un presunto monopolio della componente femminile della magistratura nella giurisdizione sulle vertenze familiari. Le relative sezioni dei tribunali civili, argomenta, sono rette da donne che risentirebbero  nelle loro valutazioni di «un equilibrio molto instabile», in quanto presumibilmente influenzate in molti casi dalla loro stessa natura e condizione familiare.

Invero curioso che il professor Gazzoni ritenga che nessun pregiudizio possa affliggere il magistrato pater familias alle prese pure lui con i suoi privati drammi familiari ormai così diffusi. Sia consentito dissentire e osservare che il focus della critica di Gazzoni è errato. Non c’entra nulla la componente di genere femminile che ormai è maggioranza in tutte le branche della magistratura (a Roma e Milano le sezioni penali ad esempio sono prevalentemente composte da donne).

Il punto semmai, qui se ne è scritto diverse volte, riguarda l’applicazione di una certa giurisprudenza in materia non solo di diritto di famiglia ma ad esempio anche per i reati sessuali monoliticamente a favore della vittima reale o presunta e delle ragioni della donna intesa come l’anello debole della relazione familiare-affettiva.

Ciò non ha a che fare con «l’equilibrio instabile» femminile ma piuttosto con l’affermazione di un preciso indirizzo culturale culminato nella fioritura di movimenti d’opinione come il MeToo e come diversi altri a tutela delle minoranze di genere. Si è originata così una corrente di giurisprudenza tropo spesso irrigidita su stereotipi di genere e pregiudizi che rendono difficile ormai la tutela degli interessi delle controparti maschili nelle vertenze civili e penali.

Un eloquente esempio (ed è il secondo caso) è una vicenda che coinvolge una autorevole coppia di giornalisti per i quali la procura di Roma ha richiesto recentemente l’archiviazione di una infamante accusa di violenza sessuale di gruppo in danno di una collega. Il difensore della denunciante si è opposto lamentando la mancata applicazione del codice rosso, vale a dire della normativa che costituisce la concreta applicazione del prevalente indirizzo culturale in favore della vittima. A Roma una donna, apprezzata sostituto in procura, ha ritenuto di dover disattendere le tesi della vittima ritenendo non sia sufficiente la sua sola parola per incriminare gli indagati.

Questa è un’ottima notizia per un garantista perché si oppone a un pregiudizio di genere che troppe volte si risolve in una condanna anticipata e senza scampo per le ragioni dell’accusato chiamato a dimostrare la sua innocenza con un incostituzionale capovolgimento dell’onere della prova, secondo il più bieco giustizialismo. Si avverte un certo qual imbarazzo in quegli ambienti giornalistici tradizionalmente vicini all’orientamento colpevolista e a un certo intransigente femminismo a senso unico, cui sono vicini peraltro gli stessi protagonisti della spiacevole vicenda. 

Se tale lacerante vicenda susciterà un’opportuna riflessione sull’iniquità di un sistema e di un orientamento culturale appiattito sul pregiudizio di genere una volta tanto non in danno dell’ennesimo indagato fascistoide ma di una coppia di onesti progressisti il rumore suscitato da Gazzoni sia pure con espressioni inopportune e sbagliate paradossalmente servirà alle ragioni del diritto.

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