Non tutte le scissioni possono avere la drammatica solennità di quella consumata al congresso socialista di Livorno nel 1921, con la minoranza comunista che abbandona il teatro Goldoni e si mette in marcia sotto una pioggia scrosciante, cantando l’Internazionale, diretta verso il vicino teatro San Marco, mentre i delegati della maggioranza, rimasti ai loro posti, rispondono intonando l’Inno dei lavoratori. Certo che no, ci mancherebbe. Ma una scissione che si consuma per carte bollate, attraverso allusioni, recriminazioni personali e lettere minatorie scritte nel peggiore avvocatese, come nei divorzi più sanguinosi, mi pare una novità degna di nota persino in questi tempi tristissimi.
In fondo, è la logica conseguenza della privatizzazione della politica, figlia a sua volta della lunga semina antipolitica che ha distrutto i partiti come organizzazioni collettive e lasciato in piedi solo partiti personali e movimenti populisti di cui il capo, fondatore e proprietario detiene il marchio, che può occasionalmente affittare o cedere in leasing, e in cui la successione non si stabilisce in un congresso, ma dal notaio, come per qualunque azienda di famiglia.
Questo mi pare l’unico aspetto relativamente interessante, nella per il resto deprimente diatriba tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo sulle sorti del Movimento 5 stelle. Un aspetto perfettamente illuminato dal linguaggio utilizzato nella lettera in cui Conte, ad esempio, scandisce: «Quanto al nome non esistono disposizioni specifiche che ne impediscono la modificazione, soggiacendo quindi una simile eventualità alle ordinarie regole di revisione statutarie». O ancora: «Questa tua condotta, che sta alimentando il dibattito pubblico con connessi accenni a futuri contenziosi legali e a potenziali scissioni, rischia di appannare le energie e l’entusiasmo che questo processo costituente sta liberando». Per non parlare del gran finale: «Ti aggiungo che queste esternazioni sono del tutto incompatibili con gli obblighi da te specificamente assunti nei confronti del Movimento con riferimento sia alla malleveria sia ai contratti di pubblicità e comunicazione: ciò mi obbliga a valutare possibili iniziative dirette a sospendere l’esecuzione delle prestazioni a carico del Movimento derivanti dalla malleveria, e il recesso dai contratti di pubblicità e comunicazione».
In parole più semplici: ti tolgo gli alimenti. Danny De Vito nella Guerra dei Roses non avrebbe potuto scrivere di meglio (anche perché in inglese sarebbe stato probabilmente impossibile).
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