Le applicazioni industriali sono responsabili globalmente di nove gigatonnellate (Gt) di Co2, circa un quarto di tutte le emissioni climalteranti legate ai consumi di energia. I contributi più significativi sono legati alle industrie pesanti, in particolare acciaio (2,6 Gt di Co2), cemento (2,4 Gt di Co2) e petrolchimico (1,3 Gt di Co2). Questi tre settori rappresentano da soli quasi il settantacinque per cento delle emissioni del settore industriale.
Per stimare le emissioni future e valutare le possibili strategie di decarbonizzazione è utile concentrarsi su due parametri: i volumi di materiale prodotti in questi settori e le emissioni specifiche di Co2 per tonnellata prodotta. Lo scenario Net Zero Emissions dell’International Energy Agency prevede una produzione di materiali al 2030 sostanzialmente in linea con quella attuale. Le emissioni specifiche per unità di prodotto, che sono rimaste piuttosto stabili negli ultimi anni, dovrebbero quindi diminuire significativamente entro il 2030 per essere in linea con lo scenario di decarbonizzazione. Inoltre, anche se i volumi globali rimangono costanti, è importante ricordare che le variazioni in alcuni paesi possono essere significative: ad esempio, la produzione di acciaio in paesi in via di sviluppo è aumentata del venticinque per cento tra il 2016 ed il 2022.
Le emissioni di Co2 di questi settori industriali sono legate al consumo di combustibili fossili (soprattutto carbone e gas naturale) per la produzione di calore ad alta temperatura, ma in alcuni casi si tratta anche di emissioni di processo, come nel caso del cemento, in cui circa la metà delle emissioni è legata al processo chimico di produzione. Per diminuire le emissioni di questi settori è opportuno concentrarsi su tre approcci: un utilizzo più efficiente dei materiali prodotti per ridurne il fabbisogno, una migrazione verso fonti e tecnologie alternative per la loro produzione e un aumento dell’efficienza dei processi di produzione.
Utilizzo dei materiali
Lo sviluppo economico e la crescita della popolazione mondiale, anche se a ritmi inferiori rispetto al passato, sono collegate generalmente ad un aumento del consumo di materiali, in particolare cemento e acciaio, che vengono applicati in diversi settori. Tali materiali sono soprattutto associati a fasi di sviluppo economico trainate da settori specifici, come ad esempio l’edilizia, e l’aumento dei consumi è generalmente più marcato nei paesi in via di sviluppo, in cui si osserva un aumento degli investimenti associati a nuove infrastrutture.
La decarbonizzazione potrà essa stessa indurre un aumento di consumo di acciaio: ogni nuovo megawatt (Mw) di energia solare richiede dalle trentacinque alle quarantacinque tonnellate di acciaio, mentre ogni nuovo Mw di energia eolica richiede dalle centoventi alle centottanta tonnellate di acciaio. Tuttavia, i consumi totali di acciaio stimati negli scenari di decarbonizzazione rimangono limitati in termini assoluti: sono infatti inferiori alle cento tonnellate annue, che rappresentano circa il cinque per cento della produzione totale di acciaio annua stimata, senza peraltro considerare il consumo evitato legato alle tecnologie che verranno sostituite da solare ed eolico. Il materiale più utilizzato in termini di volumi tra quelli considerati è però il cemento, soprattutto per lo sviluppo del settore dell’edilizia.
Una strategia a breve termine per diminuirne la domanda è rappresentata dalla possibilità di ridurre la sua percentuale di miscelazione nel calcestruzzo, sostituendolo con altre sostanze che causano meno emissioni. Altri modi per limitare l’utilizzo di cemento sono relativi ad ulteriori azioni nel settore dell’edilizia: ridurre i rifiuti, utilizzare meno materiale per edificio, riutilizzare dove possibile i componenti edilizi, prediligere i restauri rispetto alle nuove costruzioni, migliorare la manutenzione, progettare gli spazi per un uso flessibile e condiviso.
Tecnologie e fonti di energia
Come per altri settori, la decarbonizzazione delle industrie pesanti richiederà verosimilmente una combinazione di soluzioni tecnologiche e fonti di energia. Alcune applicazioni potranno vedere un aumento dell’elettrificazione, come l’utilizzo di forni elettrici ad arco nell’industria siderurgica. Tuttavia, in molti casi non è tecnicamente ed economicamente fattibile generare calore ad alta temperatura utilizzando energia elettrica, per cui sarà probabilmente necessario sostituire i combustibili fossili attuali con soluzioni alternative.
Un’opzione già utilizzata in alcune situazioni è lo sfruttamento di combustibili biologici, come biomassa solida e rifiuti per la produzione di calore ad alta temperatura, a volte in co-combustione con fonti fossili. Alcuni esperti stanno anche valutando la possibilità di utilizzare biometano in sostituzione del gas naturale, anche se i volumi utilizzati dal settore sono generalmente molto alti e concentrati in siti specifici, mentre la produzione di biometano è spesso associata ad impianti medio-piccoli distribuiti sul territorio. Si dovrà in generale sfruttare diverse tipologie di biomassa di scarto, che però saranno anche necessarie per la decarbonizzazione di altri settori hard-to-abate, come l’utilizzo di biocarburanti per l’aviazione e per il settore marittimo.
Un altro vettore energetico che sta attirando notevole interesse è l’idrogeno, che può essere prodotto in maniera pulita da elettrolisi alimentata da fonti rinnovabili (idrogeno verde) oppure da combustibili fossili con cattura e stoccaggio delle relative emissioni di Co2 (idrogeno blu). Molti esperti vedono il settore dell’industria pesante come uno dei casi in cui l’idrogeno potrà giocare un ruolo predominante, utilizzandolo per produrre calore ad alta temperatura senza emissioni di Co2 in alternativa all’uso attuale di combustibili fossili. Tuttavia, permangono criticità significative legate ai costi e alla bassa efficienza della flliera di produzione e trasporto dell’idrogeno, per cui un suo utilizzo su ampia scala richiederà necessariamente ingenti investimenti e lunghi tempi di realizzazione dell’infrastruttura di produzione e distribuzione.
Al tempo stesso, l’industria pesante consuma già attualmente cinquantatré milioni di tonnellate di idrogeno a livello globale, di cui il sessanta per cento per la produzione di ammoniaca, il trenta per cento per la produzione di metanolo ed il dieci per cento nell’industria siderurgica . Praticamente tutto l’idrogeno consumato dal settore è prodotto in sito da combustibili fossili, emettendo annualmente 680 milioni di tonnellate di Co2. Anche in assenza di applicazioni aggiuntive esiste quindi già una domanda significativa di idrogeno che potrebbe essere alimentata da tecnologie a minor impatto climatico rispetto alle soluzioni attuali.
Infine, un’alternativa ulteriore per la generazione di calore ad alta temperatura può essere l’integrazione degli impianti attuali a combustibili fossili con sistemi di cattura e stoccaggio della Co2 emessa. Tale soluzione ha comunque l’inconveniente di richiedere un’infrastruttura aggiuntiva per il trasporto e lo stoccaggio della Co2 catturata, i cui costi possono variare in maniera significativa in funzione della localizzazione del sito. L’utilizzo di queste alternative è spesso tecnicamente fattibile, anche se vari aspetti vanno valutati con attenzione caso per caso, ma attualmente i loro costi non sono competitivi con l’utilizzo di combustibili fossili, e pertanto rimangono marginali in un settore che rimane spesso caratterizzato da margini limitati e da una competizione internazionale significativa.
Strumenti e strategie per la decarbonizzazione
Per questo motivo, un aspetto chiave è il valore economico che viene associato alle emissioni di questi processi, che potrebbe quindi supportare lo sviluppo di alternative a zero o minori emissioni rispetto allo stato attuale. Diverse economie mondiali stanno iniziando a sviluppare mercati delle emissioni o tasse sul carbonio, con l’obiettivo di stimolare lo sviluppo di diverse soluzioni che possano portare ad una riduzione delle emissioni. Tuttavia, i costi per tonnellata di Co2 attuali rimangono ancora troppo bassi per avere effetti significativi in questi settori industriali, e una barriera significativa è il timore dei governi di rendere le loro industrie meno competitive in un mercato globale.
Per questo motivo, in assenza di strumenti che permettano di livellare i costi delle emissioni tra diversi paesi a scala globale sarà difficile ottenere misure efficaci in questa direzione. Una possibile soluzione proposta è rappresentata dal «meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere» (Cbam) sviluppato dalla Commissione Europea, che prevede una tassazione delle emissioni di carbonio associate ad una serie di prodotti importati nei paesi dell’Unione (tra cui cemento, acciaio e fertilizzanti). L’obiettivo di questa misura è evitare la delocalizzazione delle industrie pesanti in altri paesi extra-Ue (e la conseguente delocalizzazione delle relative emissioni), e al tempo stesso fornire un incentivo alla riduzione delle emissioni per le industrie pesanti di altri paesi che esportano i loro prodotti nell’Unione Europea.
Questa misura, che deve ancora entrare in vigore, è stata criticata da alcuni esperti per l’effetto protezionista che potrebbe ottenere, e per la difficoltà dei paesi in via di sviluppo di finanziare soluzioni di decarbonizzazione delle industrie pesanti. Un altro aspetto chiave da considerare è lo sviluppo dell’infrastruttura necessaria per sostituire le soluzioni tecnologiche attuali. Le industrie pesanti sono caratterizzate da volumi molto significativi, spesso concentrati in aree specifiche, ed è pertanto necessario sviluppare soluzioni che siano scalabili. Inoltre, rimane il problema dell’utilizzo degli asset esistenti, per cui la fase di transizione verso soluzioni a basse emissioni dovrà necessariamente considerare la vita tecnica residua degli impianti attuali e gli eventuali costi di ristrutturazione degli stessi.
Una strategia globale
Quello delle industrie pesanti è tra i settori più difficili da decarbonizzare, data l’efficacia limitata dell’elettrificazione rispetto ad altri usi finali. Sarà verosimilmente necessario sviluppare una combinazione di soluzioni, data la variabilità delle industrie del settore e dei contesti geografici in cui sono localizzate. Per supportare queste diverse soluzioni, un aspetto chiave sarà la creazione di un efficace mercato delle emissioni, possibilmente a livello internazionale, con standard ben definiti che siano in grado di adattarsi ai mercati globalizzati dei prodotti delle industrie pesanti. Le politiche industriali nazionali sono spesso guidate dalla necessità di sviluppare le economie locali, e queste priorità possono essere in conflitto con una riduzione degli impatti ambientali. La principale sfida sarà pertanto sviluppare una strategia condivisa a livello globale che permetta di supportare la riduzione delle emissioni senza penalizzare lo sviluppo economico dei paesi in cui queste industrie sono localizzate.
Michel Noussan è assistant professor presso il Politecnico di Torino, nel dipartimento di Energia, e visiting professor presso Sciences Po-Psia. Vanta diversi anni di esperienza accademica e professionale. Ha lavorato come consulente per Decisio, una società di ricerca economica e consulenza, come senior researcher presso la fondazione Eni Enrico Mattei e come research fellow al Politecnico di Torino.