Mare caldo, Mediterraneo bollente: un tema che quest’estate si è ritagliato un certo spazio sui giornali e forse anche nelle chiacchiere sotto l’ombrellone. D’altronde questo è uno dei casi da manuale in cui si può toccare con mano, letteralmente, uno degli effetti della crisi climatica: ci si aspetta di trovare refrigerio dal caldo con un tuffo in acqua che, invece, arrivare a toccare i trenta gradi centigradi – questa la temperatura record registrata a inizio agosto nelle acque superficiali di fronte a Nizza. Come accade con lo zero termico, però, di questi tempi certi primati sono facili da battere: infatti, pochi giorni dopo Nizza, hanno fatto notizia i 31,96°C registrati sulla costa egiziana.
Picchi record a parte, anche la temperatura media delle acque che bagnano la nostra penisola non è mai stata così elevata: ad agosto 2024 ha raggiunto i 28,9°C. Tocca dire che non è una sorpresa. Mentre le temperature medie globali continuano ad aumentare, lo stesso accade da tempo a quelle delle masse d’acqua degli oceani che, secondo alcuni scenari, potrebbero crescere anche di due o tre gradi entro il 2100. Le conseguenze riguardano, oltre all’equilibrio degli ecosistemi marini, anche la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi.
Il legame tra mare caldo e eventi meteorologici estremi
L’aumento delle temperature dei mari comporta un aumento della salinità e della stratificazione. Quest’ultimo è un fenomeno che di norma, nei climi temperati, segue un ciclo stagionale: in estate in superficie si crea uno strato più caldo, che resta separato dallo strato profondo più freddo, mentre in inverno questa stratificazione viene spezzata dalle correnti e dal vento. Quando le acque diventano più calde, però, stratificazione e salinità si intensificano e il normale ritmo stagionale viene turbato.
È un circolo vizioso. Le acque superficiali diventano più calde, meno dense e meno salate, e tendono a evaporare di più. Per questo la stratificazione si fa più netta e più difficile da spezzare, mentre alcune aree diventano sempre più salate e altre sempre meno. L’evaporazione di acque superficiali più calde inoltre comporta che calore e umidità entrino nell’atmosfera: un fattore, questo, che può rendere le tempeste più violente e i venti più forti.
L’alta temperatura delle acque superficiali oceaniche (almeno ventisette gradi centigradi fino a una profondità di quarantasei metri) è il fattore più importante per lo sviluppo dei cicloni tropicali. Nel momento in cui quest’acqua superficiale più calda, come abbiamo detto, evapora, tende a raffreddarsi. Il processo di raffreddamento fa sì che il vapore acqueo si condensi: così si formano le nuvole. Durante la condensazione viene rilasciato calore, che riscalda l’atmosfera. L’aria calda tende così a diventare più leggera, spostandosi verso l’alto e lasciando posto, più vicino alla superficie, al passaggio di altra aria: sono questi i forti venti che soffiano durante le tempeste.
L’acqua calda delle masse oceaniche non è una condizione sufficiente, da sola, allo sviluppo di un ciclone: servono anche altri elementi, tra cui un certo grado di umidità e la presenza di una perturbazione nell’atmosfera. Le temperature del mare costantemente sopra la media, però, rendono più probabili e potenzialmente più devastanti eventi estremi di questo tipo.
I cicloni diventano sempre più forti e prolungati
Secondo un report del Global water monitor (Gwm), alcuni dei peggiori disastri naturali del 2023 (che si sono verificati ad esempio in Mozambico, Malawi, Myanmar, Grecia, Libia, Nuova Zelanda e Australia) sono stati causati da cicloni insolitamente forti, che hanno portato piogge molto intense. Intervistato dal Guardian, il professore Albert Van Dijk del Gwm ha spiegato: «Vediamo i cicloni comportarsi in modi inaspettati e letali. Il ciclone più duraturo mai registrato ha colpito l’Africa sud-orientale per settimane. Le temperature più calde del mare hanno alimentato questi comportamenti anomali e possiamo aspettarci di vedere altri di questi eventi estremi in futuro».
Secondo il report del Gwm, la combinazione tra monsoni e forte umidità nell’aria ha causato ad esempio il devastante nubifragio in Himachal Pradesh e Uttarakhand in India lo scorso agosto, che ha portato a più di duecentosettanta vittime. Un altro esempio è il ciclone Mocha che a maggio 2023 ha colpito il Myanmar, nello specifico lo stato di Rakhine: è stato uno dei cicloni più forti mai registrati nella regione, con venti che hanno superato i duecentocinquanta chilometri orari, inondazioni e tempeste.
In generale, i cicloni tropicali di questo tipo che colpiscono l’Asia orientale e sud-orientale sono diventati drasticamente più forti: rispetto al 1980, le tempeste durano due-nove ore in più e si spingono fino a 30-190 km in più nell’entroterra. Nel caso del ciclone Mocha, è stata inondata un’area di circa 1.182 chilometri quadrati. Sempre secondo gli esperti citati dal report del Gwm, la crisi climatica ha probabilmente contribuito alla maggiore intensità e durata anche di altri eventi estremi dello scorso anno, ad esempio le forti inondazioni di giugno in Corea del Sud: è stata la tempesta più forte registrata in centoquindici anni e la terza più forte in assoluto.
Le conseguenze in Italia e in Europa
I cicloni tropicali e i monsoni si sviluppano, appunto, nella fascia tropicale. Ma ciò non significa che le zone temperate non siano interessate dalle conseguenze sul meteo provocate dalle elevate temperature marine. Come già accennato, le acque superficiali del Mediterraneo si stanno infatti scaldando gradualmente e rapidamente. Anche le acque che bagnano le coste italiane, quindi, sono un grande magazzino di energia e di calore e, evaporando, possono influenzare i fenomeni metereologici anche in questa parte di mondo.
Antonello Pasini di Cnr-Iia, curatore di un report di Greenpeace sul tema uscito nel 2020, ha spiegato che «il mare trasferisce più calore all’atmosfera e quest’ultima non può far altro che scaricare violentemente questo surplus di energia sul territorio con piogge molto intense e venti forti. Ecco, quindi, che i fenomeni meteorologici possono diventare più violenti. Anche nel nostro mare ci sono i cosiddetti Medicanes (Mediterranean Hurricanes)».
I Medicanes sono tendenzialmente più piccoli e meno devastanti degli uragani dell’Atlantico per varie ragioni: ad esempio, hanno meno spazio per svilupparsi. Nonostante questo, prosegue Pasini, «anche in Italia assistiamo al verificarsi di eventi sempre più violenti: abbiamo studiato un tornado che ha colpito Taranto nel novembre 2012, che ha causato un morto e sessanta milioni di euro di danni. Con una temperatura della superficie del mar Ionio di un solo grado in meno, il tornado non si sarebbe formato; mentre con l’aumento di un grado ulteriore la sua violenza sarebbe cresciuta enormemente».