Europa virtualeA che punto siamo con il portafoglio di identità digitale dell’Ue

La Commissione prevede di adottare un digital wallet su larga scala entro il 2026, che permetterà ai cittadini di gestire i documenti tramite un’app. L’obiettivo è semplificare l’accesso ai servizi pubblici e privati in tutta l’Unione. Resta però qualche dubbio sulla sicurezza, la privacy e l’applicazione uniforme nei vari Stati membri

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Un nuovo investimento sostanzioso. Poi una fase di sperimentazione. Infine, l’adozione su larga scala entro il 2026. È questo il piano della Commissione uscente guidata da Ursula Von der Leyen per portare a compimento il progetto di un portafoglio digitale europeo, ovvero un’app per smartphone in grado di garantire l’identità digitale di ogni cittadino dell’Unione. Dopo una serie di finanziamenti già corpulenti in passato, l’obiettivo – da alcuni mesi – è accelerare verso la piena realizzazione.

L’idea di un digital wallet comunitario è in cantiere da tempo e rientra nella strategia di digitalizzazione promossa da Bruxelles nel corso degli ultimi anni. La premessa è semplice: dare vita a un’unica applicazione per contenere tutte le credenziali, le informazioni bancarie e i documenti personali, dalla propria carta d’identità alla patente. Lo scopo? Consentire l’accesso a servizi pubblici e privati su tutto il territorio e azioni come la firma digitale di contratti, la prova d’identità e l’accesso a piattaforme di pagamento. Sarà, insomma, un passepartout per una vita digitale a trecentosessanta gradi all’interno dei ventisette Paesi.

Già nel 2021 la Commissione europea aveva proposto una revisione del regolamento eIdas (eIdas 2.0), con allegate alcune raccomandazioni per la realizzazione di un portafoglio digitale che avrebbe dovuto vedere la luce di lì a breve. I tempi però si sono leggermente dilatati. Lo scorso novembre si è concluso il negoziato tra i rappresentanti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione, durante il quale sono stati avviati i progetti pilota relativi ai vari casi d’uso dell’European Digital Identity Wallet – il cosiddetto Eudi Wallet. Quest’estate è stato lanciato un nuovo bando focalizzato sulle varie implementazioni di questi ultimi, realizzati da enti del settore pubblico e privato. I progetti pilota relativi all’Eudi Wallet sono gestiti da consorzi internazionali, il cui lavoro dovrebbe terminare alla fine del 2025.

I vantaggi di un’adozione efficace saranno innumerevoli. Le identità digitali sono una realtà ormai già ampiamente diffusa soprattutto nell’ambito dei servizi finanziari, con i wallet di Google e Apple che sono entrati a far parte della vita quotidiana di milioni di persone (in effetti, quello di Bruxelles potrebbe essere un primo passo verso un parziale «svezzamento» dai colossi tech statunitensi). Nel 2017, a livello mondiale, i digital wallet rappresentavano il diciotto per cento delle transazioni online e il dieci per cento della spesa dei consumatori nei punti vendita: nel 2023 queste stime sono salite al cinquanta e al trenta per cento. È solo una questione di tempo prima che documenti fisici e tessere di plastica vengano definitivamente gettati nel bidone della storia.

Qualche dubbio sull’Eudi Wallet c’è. Sono stati sollevati diversi interrogativi su come i singoli Stati membri riusciranno a implementare efficacemente questo strumento. A marzo, la Commissione ha pubblicato sulla celeberrima piattaforma Github il codice sorgente e il kit comprensivo di linee guida per lo sviluppo delle singole app che ogni Paese sarà chiamato a realizzare per conformarsi al nuovo standard.

L’Italia si è data da fare con il progetto It Wallet, il portafoglio digitale nostrano che sarà integrato con l’Eudi. Il tool, presente all’interno dell’app Io, sarà accessibile tramite Spid o Cie e permetterà di caricare documenti quali la patente di guida, la tessera sanitaria e la carta europea per la disabilità. Sarà anche possibile effettuare pagamenti di vario tipo. Al progetto, finanziato con circa trecento milioni di euro, ha lavorato il dipartimento per la transizione digitale di Palazzo Chigi insieme all’istituto poligrafico e alla Zecca dello Stato, a PagoPa e all’Agenzia per l’Italia digitale (Agid). La sperimentazione è partita lo scorso 15 luglio e ha coinvolto centinaia di cittadini scelti a campione in base a età, provenienza e professione.

I prossimi step prevedono l’ampliamento della fase di test su un campione più esteso di persone e la definitiva disponibilità dell’It Wallet per tutti coloro che hanno installato Io sul proprio telefono entro gennaio 2025. Arrivati a quel punto, chiunque potrà caricare passaporto, certificato di nascita, tessera elettorale, titoli di studio (e altro ancora) per averli sempre con sé a portata di un tap. Non sarà più necessario, in soldoni, mostrare la patente fisica all’agente che vi fermerà per un controllo stradale. Nel 2026, infine, avverrà l’integrazione con l’Eudi Wallet voluto da Bruxelles (se tutto procederà secondo i piani). 

L’attuazione della misura europea ha generato entusiasmo tra gli osservatori, tanto da attirare anche l’attenzione del britannico Tim Berners-Lee, padre del World Wide Web, che negli ultimi anni si è dedicato alla «decentralizzazione» della rete di cui lui stesso è stato pioniere, dando vita con la sua startup Inrupt a un’infrastruttura «universale» di data wallet. Il suo mantra è semplice: per riprendere il potere, dobbiamo riprendere il controllo dei nostri dati: «I wallet lo consentono. Permettono di tenere tutti i miei dati in un unico posto e di scegliere come, chi e quando condividerli», ha spiegato Berners-Lee – sessantanove anni ma lo stesso entusiasmo di uno studente di Stanford – alla testata The Next Web

La sua speranza è che l’Europa stabilisca un «livello importante» per i portafogli digitali e applichi «uno standard» per le credenziali: «Una volta che questa base sarà comunemente disponibile, i consumatori e i cittadini inizieranno ad aspettarsi che i loro portafogli memorizzino sempre più tipi di dati. E le organizzazioni penseranno a un numero sempre maggiore di modi per servirli attraverso i loro portafogli».

Eppure, le preoccupazioni sul fronte della sicurezza non mancano. Le comunicazioni di prossimità quali bluetooth, Qr-code o Nfc utilizzate dall’app espongono i dispositivi a un rischio di lettura dati da parte di altri device. Come spiegato da Wired Italia, alcuni Paesi premono affinché il nuovo Eudi Wallet sia protetto, a livello hardware, da tecnologie anti-alterazione e duplicazione dei chip. L’associazione mondiale degli operatori di telefonia mobile (Gsma) ha avvertito che al momento i dispositivi non sarebbero in grado di garantire la sicurezza di trasmissione delle informazioni prevista dal regolamento.

A giugno, un gruppo di esperti di crittografia europei e americani ha scritto alla Commissione per chiedere di tornare sui propri passi e rivedere gli standard dell’Eudi Wallet. «Riteniamo che alcuni degli aspetti di design attualmente suggeriti […] e il suo meccanismo di credenziali non soddisfino i requisiti di privacy che sono stati esplicitamente definiti dopo un ampio dibattito nella regolamentazione dell’identità digitale», recita il documento. È una brutta gatta da pelare. Si tratta di un problema che, se preso sottogamba in un momento come questo di transizione politica dell’esecutivo, potrebbe rallentare notevolmente il processo di adozione a livello europeo.

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