Spending reviewLa riforma dei conti in ordine dovrebbe essere la priorità del governo Meloni

La maggioranza dovrà presentare un piano convincente per il controllo del debito pubblico, consolidando la riforma dell’Irpef e affrontando tre sfide principali: inserire le politiche tributarie in un quadro di ordinarietà, rivedere complessivamente il sistema tributario e ridurre la spesa pubblica. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni

Unsplash

Questa è la settimana decisiva per la politica economica del governo Meloni. A breve l’esecutivo dovrà presentare a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio, con cui tracciare l’andamento pluriennale della finanza pubblica e offrire evidenza convincente sul percorso di rientro dal debito monstre. Il dpf è preliminare alla manovra – la terza firmata da Giancarlo Giorgetti – che dovrebbe coniugare i desiderata politici della maggioranza con i vincoli di realtà e con l’eredità di un periodo di spesa incontrollata, dal Pnrr al superbonus.

Per il governo, la priorità è consolidare la riforma dell’Irpef, senza pregiudicare alcune misure bandiera messe in campo in questi anni: la decontribuzione (di per sé, uno strumento che sarebbe opportuno rivedere in profondità) e gli sgravi per le madri lavoratrici. Complessivamente queste misure assorbono circa venti miliardi, che vanno ricuperati attingendo prevalentemente a minori spese o maggiori entrate. E’ dal modo in cui il Mef risolverà il rebus – compiendo scelte sia tecniche, sia politiche – che si capirà come il centro-destra desidera impostare la seconda parte della legislatura. Se ragioniamo in termini di ciclo politico, questo è il momento migliore per mettere le mani con serietà nel bilancio dello Stato: le elezioni sono sufficientemente lontane da poter ragionare su progetti a medio termine.

Sono tre, in particolare, le sfide a cui il governo dovrebbe applicarsi. La prima è calare le sue legittime visioni sul sistema tributario in un contesto di ordinarietà. Finora si è andati avanti a suon di provvedimenti di durata annuale (come la decontribuzione per i redditi medio-bassi), con la speranza di poterli rinnovare. Se il governo è dell’idea di confermare queste scelte, dovrebbe avere la forza di inserirle all’interno del disegno dell’imposta sul reddito, abbandonando l’anomalia attuale, che passa attraverso la fiscalizzazione dei contributi previdenziali per i lavoratori a basso reddito. 

La seconda sfida sarebbe passare da interventi chirurgici – più o meno condivisibili – a una revisione complessiva del sistema tributario, riassorbendo all’interno di un ampio ridisegno dell’Irpef le infinite spese fiscali che costellano l’ordinamento, ciascuna delle quali funzionale a esigenze specifiche (anche qui: più o meno condivisibili). Questa è un’operazione complicata e da svolgersi con grande serietà, anche perché una riduzione delle spese fiscali significa, nel breve, un aumento del carico fiscale, a meno che non sia compensata da eguali riduzioni di altre imposte.

Da ultimo, non è possibile realizzare questi obiettivi agendo solo dal lato delle entrate: nessuna riforma del fisco può arrivare in fondo se non si accompagna a una riduzione della spesa. Tema sul quale, ancora una volta, non basta una collezione di interventi episodici: il governo dovrebbe affiancare questi ultimi (inevitabili) a un libro bianco che esprima la sua visione su ciò che lo Stato deve fare (e su quello che non deve fare più) e su come deve farlo.

Dobbiamo tutti essere grati al ministro Giorgetti per la prudenza e l’attenzione al rigore delle finanze pubbliche dimostrati in questi anni. I conti in ordine sono la prima riforma, ma perché essi non durino, come spesso è avvenuto in Italia, il tempo di un battito di ciglia della politica, c’è bisogno di farne l’architrave di un progetto di revisione del rapporto fra Stato e sudditi, ops, contribuenti.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter