L’incontro tra il dittatore russo Vladimir Putin e il vice primo ministro serbo Aleksandar Vulin, svoltosi ai margini dell’Eastern Economic Forum di Vladivostok, ha rinsaldato la partnership tra Belgrado e Mosca allontanando la Serbia da Bruxelles. Vulin ha spiegato che la nazione balcanica, sotto la leadership del presidente Aleksandar Vucic, non diventerà mai un membro della Nato, non imporrà mai sanzioni contro la Russia e impedirà che il proprio territorio venga utilizzato per condurre azioni contro il Cremlino.
Vulin ha chiarito che «la Serbia non fa e non farà parte dell’isteria anti-Russa», che la nazione balcanica rispetta Mosca e che l’Eastern Economic Forum ha evidenziato come sia sbagliato e stupido provare a isolare il Cremlino. Vulin ha espresso il desiderio che Putin possa continuare a guidare la Russia mentre quest’ultimo ha ricordato a Vulin che Mosca gioca un ruolo di primo piano nel garantire alla Serbia rifornimenti energetici «a condizioni eccellenti per Belgrado».
La Serbia dipende dalle importazioni di gas fornite da Mosca e la maggioranza delle quote del monopolista serbo del settore petrolifero, Nis, è detenuta dalla russa Gazpromneft. Belgrado sta cercando di diversificare le proprie importazioni energetiche e nel novembre 2023 ha stretto un accordo con l’Azerbaigian per la fornitura di quattrocento milioni di metri cubici di gas a fronte di un consumo interno annuo pari a tre miliardi di metri cubici. Nel maggio 2022, diversi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina, Vucic ha siglato un contatto triennale con Gazprom per la fornitura della risorsa e Putin ha reso noto di voler affrontare con Vulin il tema dell’accordo che scadrà nei prossimi mesi.
La nazione balcanica non è stata obbligata da Bruxelles, in quanto non è uno Stato membro, a ridurre la dipendenza energetica sviluppata nei confronti da Mosca anche se l’intesa con Baku lascia intendere che Belgrado intende svincolarsi, almeno parzialmente, dal Cremlino. Si tratta, però, di piccoli passi destinati a non incidere significativamente mentre lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili nei Balcani, caldeggiato da Bruxelles, avrà bisogno di tempo per dare i suoi frutti.
Belgrado ha manifestato l’intenzione di entrare a far parte dell’Unione Europea e, dopo aver ottenuto lo status di Paese candidato, ha iniziato le trattative con gli organismi comunitari. Il problema, però, è che il presidente Vucic sta conducendo una politica estera ambigua. Non intende rinunciare all’alleanza con Mosca e non ha fatto passi in avanti sostanziali per risolvere i problemi con il Kosovo, l’ex regione serba dichiaratasi indipendente nel 2008. Bruxelles ha legato l’ammissione del Kosovo e della Serbia alla risoluzione delle complesse controversie bilaterali ma i nodi non sono stati sciolti e probabilmente non lo saranno nemmeno nel prossimo futuro.
Il Cremlino, come chiarito da EuNews, considera la Serbia come una preziosa testa di ponte nei Balcani Occidentali, una regione che si è molto avvicinata all’Occidente a partire dalla fine della Guerra Fredda ma che riveste interessi strategici significativi per Mosca. Il tema dello sbocco sul Mediterraneo è importante per la Russia che, rafforzando i legami con Belgrado, può permettersi di agire con decisione anche in Montenegro e in Bosnia Erzegovina. A Podgorica si è insediato, da circa un anno, un governo riformista che vede la partecipazione di movimenti politici conservatori filo-serbi e nazionalisti mentre la Bosnia Erzegovina vive una situazione di forte polarizzazione interna. La Repubblica Srpska, una delle due regioni autonome del Paese, è molto vicina a Mosca ed ha assunto posizioni persino più oltranziste di Belgrado nella sfera delle relazioni internazionali. Mosca può accrescere la propria influenza in Serbia anche grazie alla disinformazione e alla propaganda anti-occidentale diffusa da Russia Today Balkan, un emittente bandita dall’Unione Europea ma non da Belgrado.
Nella sfera della cooperazione militare i rapporti tra Serbia e Russia sono molto buoni e Belgrado si è rifornita, in più occasioni, da Mosca per potenziare i propri armamenti. Alcuni mesi fa è stato reso noto l’acquisto di un sistema anti-droni che consente di eliminare questi oggetti fino a trenta chilometri di distanza. Belgrado ha, però, acquistato strumentazioni militari anche dalla Cina e da alcuni Paesi europei come la Francia.
Il 30 agosto è stato reso noto l’acquisto, a un prezzo di 2.7 miliardi di euro, di dodici aerei da combattimento Dassault Rafale e la notizia è stata diffusa nel corso della visita ufficiale del presidente francese Emmanuel Macron nel Paese. Macron ha chiarito come i rapporti tra Francia e Serbia si siano rafforzati nel corso degli ultimi anni ed ha evidenziato che l’Unione Europea ha bisogno di una Serbia forte e democratica. La notizia della transazione con Parigi può sorprendere, tenuto conto della vicinanza strategica tra Belgrado e Mosca, ma in realtà si inserisce in uno schema più ampio che riguarda le relazioni bilaterali tra le due nazioni.
La Russia tollera che la Serbia agisca con un certo margine di indipendenza per evitare di inimicarsela e nella consapevolezza che le relazioni tra i due Stati restano forti mentre Belgrado cerca di ottenere il massimo risultato possibile, in ogni sfera, portando avanti azioni politiche apparentemente divergenti. L’Unione Europea rischia, così, di essere sfruttata da Vucic per fini propagandistici interni e per rafforzare il peso della Serbia sullo scenario regionale senza, però, aderire ai valori fondanti comunitari e senza rinunciare al rapporto con Mosca.