Nelle ultime settimane il Sudest asiatico è stato colpito da un ciclone tropicale senza precedenti. Vietnam, Tailandia e Birmania hanno registrato un bilancio di più di trecento vittime e milioni di sfollati. La forza distruttiva del tifone Yagi ha causato inondazioni, distrutto case e strade.
Prima di abbattersi sul Sudest asiatico, il tifone ha toccato la Cina meridionale e le Filippine, provocando altri disastri e vittime. Poi è arrivato in Vietnam, dove si contano circa duecento vittime, numerose strade interrotte, villaggi distrutti e mancanza di elettricità. La forza della tempesta ha lasciato senza casa più di settantamila famiglie, chiuso le scuole, interrotto l’assistenza medica e ha aumentato il rischio di diffusione di virus.
In Thailandia e in Birmania si sono verificate ulteriori alluvioni e frane, che hanno provocato altre settantaquattro vittime. Si tratta delle peggiori inondazioni in questa parte del globo dagli ultimi ottant’anni. «I tifoni sono come gli uragani e i cicloni tropicali – spiega Claudia Pasquero, climatologa e oceanografa all’Università di Milano Bicocca – ma hanno un nome diverso perché si trovano in una regione geografica diversa: quelli dell’Atlantico sono noti come uragani, mentre lo stesso fenomeno meteorologico nel Pacifico è un tifone».
Si tratta, continua l’esperta, «di tempeste che si formano tipicamente nei tropici, su un mare molto caldo, e prendono l’energia dal mare attraverso l’evaporazione dell’acqua. Un mare caldo fa evaporare tanta acqua. Quando quest’acqua condensa, e ritorna dal vapore allo stato liquido, nell’atmosfera, il rilascio del calore si trasforma in venti molto forti, in una tempesta che porta anche forti piogge».
I tifoni si sono sempre verificati in condizioni climatiche favorevoli alla loro formazione. Negli ultimi tempi non sono aumentati a livello numerico, diventando però sempre più intensi. Le caratteristiche principali di un tifone si riassumono in tre aspetti: «Venti molto forti, piogge intense e l’avanzata del mare provocata dal forte vento – prosegue la professoressa Pasquero –, che inonda le zone costiere e fa danni immensi».
L’aumento dell’intensità di questi fenomeni è da ricondurre al cambiamento climatico, e in particolare all’innalzamento della temperatura degli oceani. «I dati ci dicono che questi fenomeni si stanno intensificando – continua Pasquero –. Non sta cambiando la frequenza con la quale accadono, ma il fatto che diventano più intensi, e quindi assumono più forza distruttiva. Il motivo è il riscaldamento globale: prendono energia da un mare calmo, e se la temperatura della superficie del mare è più alta, c’è più evaporazione e di conseguenza ci sarà anche più precipitazione. Quando arrivano precipitazioni molto intense si creano alluvioni. Inoltre, questi tifoni stanno cambiando traiettoria, spostandosi più a Nord rispetto alle zone che colpiscono maggiormente».
Sulla relazione tra intensità dei tifoni e aumento delle temperature concorda anche Emanuela Piervitali, dottoressa nella sezione di Climatologia operativa dell’Ispra: «Ci sono studi che cercano di capire perché questi tifoni sembrano più intensi, sia dal punto di vista dei venti che delle piogge. Si sviluppano nei pressi delle acque tropicali, perché il mare ha caldo intorno e viene liberato maggior calore, e quindi più energia. L’Organizzazione meteorologica mondiale ha inoltre analizzato il clima in questa zona asiatica, riscontrando che la temperatura dell’aria nell’ultimo periodo è aumentata di quasi il doppio rispetto agli anni 1960-91. Per quanto riguarda la temperatura del mare, hanno stimato un aumento di 0,5°C ogni dieci anni, un trend importante».
Se il fenomeno è destinato ad assumere più forza distruttiva, quali possono essere le soluzioni da mettere in campo per mitigarne gli effetti? La risposta non è univoca, e purtroppo non è nemmeno immediata. «Per ridurre la loro portata si cercano soluzioni, come quella di cercare di modificare l’intensità del tifone stesso – spiega Pasquero–, andando a cambiare la composizione chimica del particolato atmosferico. Poi occorre pensare al tipo di costruzioni, ma non sono cose che si fanno da un giorno all’altro. Il problema maggiore è proteggersi dalle alluvioni, e bisogna costruire barriere che non sempre sono possibili. In ultimo, è bene dare un allerta e cercare di evacuare le zone interessate. In futuro dovremmo diventare bravi a prevedere l’intensità di un determinato tifone».
La tempesta ha colpito zone densamente popolate, dotate però di strutture in grado di prevedere l’arrivo di queste perturbazioni, come chiarisce Piervitali: «In questi Paesi ci sono già dei sistemi di allerta che riescono a prevedere con modelli climatici meteorologici l’arrivo di un tifone. In questo modo, si possono evacuare le persone e ridurre la mortalità, ma si tratta di aree del mondo che hanno costruzioni con strutture ancora fragili, e sono molto popolate. È necessario agire sul fronte delle emissioni, ma sappiamo che anche intervenendo adesso, gli effetti si vedranno fra decenni perché si tratta di processi lunghi. Quello che si può fare nell’immediato è agire sui fronti dell’allerta e dell’adattamento».
In Asia, il passaggio del tifone Yagi è stato presto seguito dalla tempesta tropicale Bebinca, che ha colpito la costa di Shanghai con piogge e venti a centocinquanta chilometri orari, per poi dirigersi verso l’entroterra. Migliaia di persone sono state evacuate e tutti i voli sono stati cancellati: è il tifone più forte degli ultimi settantacinque anni.
Fenomeni del genere, seppur in misura considerevolmente minore, potrebbero manifestarsi anche sulle nostre coste, come illustra Pasquero: «Nel Mediterraneo non si formano tifoni del genere, ma ci sono fenomeni simili di tipo tropicale. Sono molto più piccoli proprio perché il Mediterraneo è un bacino piccolo, e quindi non hanno neanche il tempo di diventare particolarmente intensi. Il Mediterraneo è un mare piuttosto caldo, e questo ha giocato un ruolo importante nelle alluvioni che ci sono state in Europa in questi giorni. I cicloni tropicali in generale si formano sull’oceano e crescono nel giro di molti giorni e settimane, a differenza di quelli che si possono verificare nel Mediterraneo».
Le inondazioni in Asia hanno causato la devastazione della fonte di sostentamento per la maggior parte della popolazione: l’agricoltura. Solo in Vietnam, duecentocinquantamila ettari di terreni agricoli sono andati persi. In Myanmar, le piantagioni di banane e di canna da zucchero sono state sommerse. Inoltre, le case e i villaggi sono parzialmente distrutti: le persone sopravvissute, oltre a non avere più un impiego, non hanno accesso nemmeno alla propria dimora. In Myanmar, il capo della giunta militare al potere ha richiesto l’aiuto internazionale per il salvataggio e il soccorso delle vittime, mentre in Vietnam il ministero dell’Agricoltura ha fatto appello alle agenzie delle Nazioni Unite e Ong internazionali affinché arrivino soccorsi per la ripresa.
L’India avrebbe inviato circa trentacinque tonnellate di aiuti, tra alimenti, vestiti e medicinali. Per risolvere il problema degli aiuti ai Paesi più poveri in caso di disastri climatici, durante Cop28 è stato istituito il fondo Loss and damage, per fornire assistenza finanziaria ai Paesi più vulnerabili e colpiti dal cambiamento climatico. I Paesi economicamente più avanzati hanno promesso fondi da destinare al sostentamento e alla ricostruzione degli Stati maggiormente colpiti dai disastri metereologici.
Tuttavia, la sfida principale rimane contenere l’aumento delle temperature, riducendo al più presto le emissioni di gas climalteranti. «Il cambiamento climatico sta intensificando questi eventi e li sta rendendo più intensi: Le piogge intense possono creare più danni. Negli ultimi decenni abbiamo aggiunto almeno un dieci per cento d’acqua nell’aria. Non siamo in presenza solo del riscaldamento globale, ma anche di quello che io chiamo l’annacquamento dell’aria: quando piove ora, piove più intensamente», conclude Claudia Pasquero.
Dello stesso parere è Emanuela Piervitali: «Sembra accertato che questi fenomeni aumenteranno di intensità. Si prevede poi un aumento di oltre due gradi della temperatura media globale (rispetto ai livelli pre-industriali, ndr), che è proprio quello che dobbiamo evitare. In queste condizioni di riscaldamento globale è importante anche contenere la temperatura del mare, altrimenti questi fenomeni potranno essere sempre più intensi».