Per cosa sta combattendo l’Ucraina? In due anni e mezzo di resistenza è parso chiaro al mondo che gli ucraini avessero una marcia in più data dall’appartenenza a un ideale. La motivazione, il sentirsi parte di una giusta causa, è ciò che spinge un uomo a fare un passo in avanti sul fronte, anziché uno indietro. La rivoluzione del 2013 di Euromaidan, con le bandiere dell’Unione tenute alte nonostante gli attacchi della polizia, per molti è stato il punto di svolta che ha portato all’inizio della guerra: che sia l’ideale europeo a tenere viva la resistenza ucraina? O forse è il desiderio di democrazia e libertà, incarnato nella bandiera blu a stelle gialle? Sarebbe una risposta comoda, non del tutto inesatta, ma incompleta.
Lo scorso agosto ho girato per due settimane tra Kyjiv, Leopoli e la Galizia Polacca ricercando anche questo: il rapporto con l’Unione Europa. Insieme al mio collega Andrea Zazzera ho incontrato diverse generazioni di ucraini che vedono l’Europa in modo diverso: quelli nati nell’Urss, che vedono l’Europa come la speranza di un futuro migliore per i loro figli; i trentenni, che hanno fatto Euromaidan e ora sono al fronte per difendere la loro scelta, e i giovanissimi, che semplicemente si sentono europei e non riuscirebbero a immaginare un mondo diverso.
Cercare la propria posizione nel mondo sembra essere il destino del popolo ucraino, schiacciato tra i due poli da più di mille anni. Le possibili soluzioni sono almeno tre: aderire al blocco russo, ritrovarsi con il blocco europeo o lottare strenuamente per una propria indipendenza. Ma quanto ogni scelta rappresenta l’affermazione di una volontà precisa, e quanto invece la negazione di un’altra?
Il mio viaggio è iniziato nel campo di volontariato per vedove e orfani ucraini di Cieszanów, in Polonia, a dieci chilometri dal confine ucraino. Qui, dove l’Unione finisce, la prima preoccupazione di un viaggiatore è sorprendentemente pratica: il roaming funzionerà ancora? Una connessione apparentemente banale, ma che fa la differenza tra l’essere in un mondo e l’esserne tagliati fuori. La risposta, fortunatamente, è sì.
All’ingresso del campo ci sono tre bandiere: quella Polacca, quella Ucraina e quella dell’Unione Europea. Molte delle donne ospiti del campo hanno magliette o gioielli che si rifanno all’Ucraina, con i confini ben delineati. Non ci sono riferimenti all’Unione. Questa generazione ha già vissuto il suo momento identitario, dal 1991 in poi, quando erano ragazze e la neonata Ucraina era finalmente indipendente almeno sulla carta.
Sofia ci racconta di suo marito, originario del Donbas, che nel 2014 non ebbe esitazioni ad andare in guerra per difendere quei confini. Confini per cui è morto. Ma Sofia la questione europea non l’ha mai sentita particolarmente sua. Non si è sentita partecipe dei moti di Euromaidan. Ma oggi riconosce: «Adesso capisco che quei ragazzi avevano ragione. Lottavano per l’Europa perché è il futuro migliore per noi». Le chiedo se dice questo perché si sente più europeista o perché odia molto la Russia. «La seconda».
«Quando chiedo cosa sognano i bambini, parlano tutti di andare in Europa». Yana è la professoressa di inglese del campo, oltre a insegnare a Kyiv. È spesso a contatto con i più piccoli: «Queste domande sono un argomento ricorrente nelle lezioni di inglese. Oggi i bambini mi sembrano particolarmente ambiziosi: sognano lavori prestigiosi, e li immaginano in Europa. Berlino, Varsavia, Parigi, Copenaghen, Roma. Quando parlano del loro futuro, pensano all’Europa o al massimo agli Stati Uniti. Sono cresciuti in questo mondo, è a Ovest che c’è il futuro».
Per qualcuno un futuro europeo è un auspicio, per altri è l’unica soluzione rimasta. Vale per Vlad, un ragazzo di Poltava, città dilaniata dagli attacchi russi, che oggi studia e lavora in Polonia. Vale anche per altri volontari del campo come Volodymir e Dima: uomini in età da leva che sanno che tornare significherebbe andare fronte. Di rifugiati Ucraini in Europa ce ne sono più di quattro milioni, la maggior parte tra Germania e Polonia. Queste persone rafforzeranno il sentimento europeista in Ucraina? «Forse. Se ritorneranno».
Abbiamo lasciato la Polonia e siamo andati a Kyjiv. Chi cerca l’Europa in Ucraina non la troverà certo sulla facciata della stazione di questa città. L’edificio è grigio, in cemento, spoglio, imponente ma incapace di suscitare ammirazione. Bisogna camminare almeno mezz’ora per arrivare nel viale Khreschatyk che con ii suoi marciapiedi larghi e palazzi imponenti in stile neoclassico ci conduce a Maidan Nezalezhnosti, piazza dell’Indipendenza, il teatro di Euromaidan.
Arrivare a Piazza Maidan (tra italiani siamo soliti chiamarla così, ma è una ripetizione in realtà: «Maidan» vuol dire piazza in ucraino) è l’equivalente di un pellegrinaggio laico per chiunque si senta europeista. Qui si è combattuta l’ultima rivoluzione riuscita d’Europa, quella del popolo ucraino contro il primo ministro filorusso Yanukovych, che si era rifiutato di firmare un accordo di integrazione economica con l’Ue. La piazza è tagliata in due dal grande viale Khreschatyk, che si può attraversare solo attraverso i passaggi sotterranei. Da un lato lo spiazzo con i negozi, le bancarelle di souvenir, il MC Donald e con le cupole del centro commerciale sotterraneo Globus. Dall’altro lato si erge il monumento principale: una colonna alta 61 metri, sormontata dalla figura della Berehynia, simbolo tradizionale della cultura ucraina, che incarna una figura protettrice. La statua tiene in mano un ramoscello di viburno, emblema della libertà e dell’indipendenza.
Ai piedi della statua c’è un’aiuola che stringe il cuore solo a guardarla. Ogni angolo è riempito da bandierine ucraine e foto di soldati caduti. Una donna e sua figlia scrivono un pensiero su una bandierina, prima di aggiungerla a questo mare giallo e blu di sorrisi di uomini che non ci sono più. Un albero sovrasta il memoriale, e tra i suoi rami sventolano alcune bandiere: quella ucraina, quella della pace e quella dell’Unione Europea.
«Certo che c’ero a Eurdomaidan!». A Kyjiv abbiamo incontrato Oksana. Poco più di trent’anni, parla benissimo italiano, è cresciuta tra le organizzazioni di scambi europei. Si sente europea ed è piena di contatti in tutto il continente, ma ha deciso di restare in Ucraina anche se i suoi amici l’hanno invitata a fuggire. «Euromaidan è stato l’inizio della guerra, anche se ormai sono quattrocenti anni che lottiamo per l’indipendenza. È cominciato con gli studenti, ma poi tutta la nazione ha lottato. È stata una rivoluzione grandissima. Certo che c’ero! Ogni giorno!». A Oksana iniziano a brillare gli occhi per l’emozione. «Sono stati giorni bellissimi, non avevo mai visto quell’unione tra le persone. Io non conoscevo nessuno, ma durante la rivoluzione era meraviglioso, eravamo tutti uniti».
Perché in quella piazza chiedevate di far parte dell’Europa?
«Ma come perché?! La gente è pro Europea. L’Europa è il futuro, la Russia è quello che abbiamo già passato, per noi sarebbe come tornare in Unione Sovietica. Vogliamo unirci alle persone libere, noi siamo già Europa. Chiaramente questo non vale per tutti, non si può mai generalizzare. Ma i più giovani, nati nell’Ucraina indipendente, che hanno viaggiato e visto com’è la vita lì, vogliono l’Europa. Questo vale anche per i cinquantenni: hanno viaggiato meno, ma conoscono la differenza tra i due mondi. Forse chi ha settant’anni rimpiange la vita sotto l’Unione Sovietica, ma dell’Unione Europea non sa nulla».
Ma allora gli «eroi» (nessuno li chiama soldati qui) per cosa vanno a combattere? Per l’Ucraina? Per l’Europa?
«Gli eroi al fronte combattano innanzitutto per i loro bambini – chiarisce Oksana –, perché vogliono che i loro figli vivano in una nazione libera. Poi si combatte per l’Ucraina e poi, solo dopo per l’Europa. La priorità assoluta è far crescere i nostri figli in una nazione libera e questo non è possibile con la Russia. Adesso non ci sono più partiti pro-Russia, che sono esistiti fino al 2019. Qui a Kyjiv non avevano molto peso, ma a est purtroppo sì. Non è vero però che i russofoni sono stati perseguitati. Da quando è iniziata la guerra sono pochissimi quelli che parlano ancora russo. C’è stato un rifiuto di quella cultura, ora parlano tutti ucraino, anche chi viene dall’est».
Oksana parla con la consapevolezza di chi conosce il mondo attorno a lei, avendo studiato e viaggiato. Per gli avventurieri in terra straniera che cercano fonti «meno preparate» ci sono due figure fondamentali: tassisti e baristi. Il povero tassista che ci sta portando al prossimo appuntamento è costretto a sentire le mie domande mentre i grattacieli della capitale scorrono fuori ai finestrini. «La guerra non è cominciata solo per Euromaidan. Il vero motivo è che la Russia è un impero. Senza conflitti esterni, l’impero implode, e si divide in tanti territori. La guerra lo tiene unito».
Ti piacerebbe entrare in Europa? Ti senti europeo? «Sarebbe bello entrare nell’Ue. Sì, mi sento molto più europeo che russo. Penso alla Polonia: da quando è in Europa sta meglio, e ha avuto più possibilità di noi. Credo che da quando è iniziata l’invasione su larga scala anche nell’est dell’Ucraina la pensino allo stesso modo. Se prima volevano unirsi alla Russia, ora non è più così e anche loro si sentono più europei».
Il tassista ci lascia al nostro ultimo appuntamento con Misha, che si fa chiamare Mike, nel vecchio ghetto ebraico, oggi una zona di locali hipster molto alla moda, nota anche per i suoi murales. Spicca quello del Fantasma di Kyjiv. Misha è un imprenditore, abbiamo fatto amicizia il giorno prima davanti a un bar. Non c’è nessuno di più socievole di un fumatore senza accendino e lui ha riconosciuto subito il nostro accento italiano: «I miei genitori ora vivono a Caiazzo, vicino Napoli! Gli italiani sono miei amici!». Il pranzo è all’aperto, beviamo vino ucraino e un dj in sottofondo mette classici italiani e spagnoli remixati. Misha lavora nel settore agricolo, si occupa di selezionare semi per la produzione di mais. Il suo status gli permette di uscire dall’Ucraina nonostante sia in età di leva: chi si occupa della produzione del cibo non va al fronte.
«Quando a marzo 2022 il mio partner mi ha chiamato per dirmi che voleva iniziare anche quell’anno a piantare il mais sono scoppiato a piangere. I carri armati erano a quaranta chilometri da Kyjiv. Quando il tuo primo pensiero è sopravvivere, non riesci a immaginarti un futuro tra due giorni, figuriamoci a qualcosa che richiede mesi. Ma nonostante tutto, siamo andati avanti. Negli ultimi anni, il blocco del porto di Odessa e l’aumento del prezzo del diesel hanno creato enormi problemi logistici, costringendoci a trasportare il mais su gomma invece che via nave. Le coperture protettive contro i missili russi interferiscono con il Gps delle macchine per la semina, rendendole meno precise, e naturalmente ci sono meno braccianti: molti sono al fronte. La paura della guerra ha spinto gli imprenditori a smettere di investire in tecnologie a lungo termine, con conseguenze negative sulla produttività. Abbiamo registrato un calo del quaranta per cento nella produzione, ma non ci fermiamo. Anche questo è un atto di resistenza».
Misha è un europeista e, come molti, era presente in piazza durante Euromaidan. «Avevo ventinove anni all’epoca. Il Paese ha scelto di guardare all’Europa, ma non è stata solo una questione geopolitica. Si trattava di abbracciare valori umani e civili, di fare un passo verso la maturità dopo gli anni trascorsi nell’Unione Sovietica. Certo, le persone più anziane sono nostalgiche del passato, ma i giovani guardano all’Europa. Il trattato di libero scambio era un passo in quella direzione. Tutto è iniziato nel 2004 con la rivoluzione arancione. Quando ero piccolo, i miei genitori mi dicevano di non esprimere mai le mie opinioni a scuola, di stare zitto. Erano ancora spaventati dai tempi dell’Unione Sovietica, dove una parola sbagliata poteva portarti in prigione per motivi politici. Dal 2004, abbiamo ottenuto la libertà di parlare e di pensare. Ma con l’elezione di Janukovyč, presidente filorusso, abbiamo assistito a un passo indietro: più corruzione e meno libertà di espressione. Euromaidan non è stato solo un movimento per entrare in Europa, ma una rivolta contro quel vecchio stile di vita, per conquistare la nostra libertà».
«La guerra è iniziata anche a causa di Euromaidan, ma all’inizio non tutti lo capivano. Col tempo, però, anche l’est dell’Ucraina ha compreso che dalla Russia non poteva arrivare nulla di buono. L’ovest, invece, ha già un approccio europeo, per quanto riguarda lo stile di vita. Oggi, in Ucraina, nessuno vuole più tornare con la Russia». Misha ha parte della famiglia in Russia e chiedo cosa pensi delle accuse di repressione verso i russofoni in Ucraina. «Rispondo in modo molto chiaro: sono tutte stronzate! Parte della mia famiglia è russa, sono nato in Russia e ho passato molte estati lì. Non ho mai sentito alcun tipo di discriminazione da parte degli ucraini verso i russi. È solo propaganda russa». Concludiamo la chiacchierata parlando dei suoi genitori, che ora vivono vicino Napoli: «Da quando sono lì sono supportati da tutta la comunità. Non abbiamo capito perché, ma i napoletani sembrano sempre felici». Lasciamo Misha e ci dirigiamo verso la Statua della Madre Patria. Salendo verso il colle c’è un murales: Ukraine – the Shield of Europe!
L’Ucraina combatte per qualcosa di più profondo di un semplice allineamento geopolitico. Le testimonianze di Sofia, Oksana, Ania, Misha e delle altre persone incontrate durante il viaggio raccontano di una nazione che lotta per l’indipendenza, per la dignità e per il futuro delle nuove generazioni. Il desiderio di libertà, l’opposizione a un passato autoritario e la speranza in una vita migliore per i propri figli uniscono persone di età, esperienze e convinzioni diverse. L’Europa è vista da molti come una promessa, una via di uscita dalla morsa della Russia e dal suo passato.
Questa lotta è innanzitutto per l’Ucraina: un paese che, dopo secoli di divisioni, rivendica finalmente il diritto di esistere come nazione sovrana. La guerra ha trasformato il significato di appartenenza e identità, spingendo molti ucraini a ridefinire chi sono e dove vogliono andare. Che si tratti di proteggere i confini o di inseguire un sogno europeo, al cuore di tutto c’è la determinazione di garantire un futuro migliore e libero alle prossime generazioni. Fa riflettere come per gli Ucraini questo significhi avvicinarsi all’Europa, proprio mentre nel nostro continente ci sono così tanti euroscettici che guardano con ammirazione le dittature dell’Est.
L’Ucraina combatte per sé stessa, per il suo diritto di scegliere il proprio destino ma nel farlo è già diventata lo scudo d’Europa. È sui suoi confini e nelle sue aspettative che si sta decidendo il futuro della nostra Unione.
*Ha collaborato alla realizzazione del reportage Andrea Zazzera