Il femminismo oggi ha perso di autorevolezza, oltre a essere lacerato da conflitti interni dove volano i coltelli. Eppure i femminismi pullulano ovunque, rappresentando un orizzonte di attesa a fronte di una politica che sentiamo evaporarci addosso. Da quando, nel 1949, Simone De Beauvoir scrisse “Donna non si nasce, ma si diventa”, la frase è diventata la citazione più emblematica del femminismo novecentesco. Uno slogan spesso usato con libertà discutibile, un po’ come il «cambiare tutto per non cambiare niente» evocato a comando per criticare il trasformismo politico italiano.
Per le autrici di “Donna si nasce (e qualche volta si diventa)” Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo – nomi di punta del pensiero femminista della differenza – richiamarsi a De Beauvoir non è mera provocazione. Anzi. Siamo in un’abbondante quarta ondata di femminismo, sempre più legato ai meccanismi della comunicazione h24 sui social, delle guerre culturali e del woke. Se la frase di De Beauvoir è diventata una specie di sacro meme, partire da essa rappresenta qui invece uno spazio di libertà perché consente di indagare, parafrasando Hannah Arendt, «quel che è andato storto» nel femminismo in Italia (e non solo).
Entrambe raffinate interpreti dell’autrice di “Vita activa”, Cavarero e Guaraldo affrontano le ragioni per le quali i sessi della specie umana restano sostanzialmente due – in altre parole, la differenza sessuale è un dato che da sempre viene denigrato o esaltato per vari fini: la finzione egualitaria, le identità culturali performate e/o percepite, ma anche per nominare l’esperienza del «sesso che genera». Per capire come si sia giunti a confutare certezze un tempo granitiche – ad esempio il senso della parola «sesso» – “Donna si nasce” adotta due premesse di metodo a mio parere molto efficaci: da un lato, la valorizzazione di una genealogia storica del pensiero – ciò che altre pensatrici hanno detto e fatto, e quanto valga la pena studiarle; dall’altro, la necessità di un confronto tra generazioni, senza lo spettro di una gerarchia accademica.
Basta poi un’occhiata all’indice per capire che le autrici vogliono toccare ogni possibile aspetto, rischiarare ogni angolo oscuro: “Il contratto sessuale”, “Una diversità esistenziale”, “Difficili alleanze”… Ogni sezione è un micro-mondo di scritture, relazioni, passi indietro, diramazioni. Il corpo delle donne è lì, dietro ogni crepa, ogni riga. Il testo ha un registro conciliante, rigoroso, serrato; desidera evitare lo sterile conflitto tra fazioni (è un libro che vuole «disfare senza distruggere», verrebbe da dire evocando Luisa Muraro).
Con grande onestà intellettuale, Guaraldo e Cavarero rivendicano l’appartenenza al pensiero della differenza sessuale senza commettere l’errore di trincerarsi dietro linguaggi fumosi e schermi teorici. Lo sforzo di chiarezza segna una svolta rispetto a quanto viene spesso rimproverato a questa corrente filosofica. “Donna si nasce” perora la causa – anzi, la «posta in gioco» (pp. 82) di un orizzonte capace di svelare il potere dell’ordine simbolico patriarcale, in cui esistono forme di finta eguaglianza e di dolorosa subalternità. Da questa consapevolezza (e da subalternità plurime) potrebbe darsi una differenza sostanziale per le donne, che però non può prescindere dalla realtà del corpo generativo. Bisogna evitare, insistono Cavarero e Guaraldo, di cancellare la parola «donna» sacrificandola alle istanze identitarie e affermative dei generi, proprio perché la differenza sessuale è un fatto, «non si tratta di “superarla“ o “cancellarla”» (pp. 84).
Disfarsi del binarismo sessuale, viene da chiedersi leggendo, che conseguenze di lungo termine potrà avere sul futuro dei corpi? Il corpo conta ancora? Sì, dicono le autrici – e, sospetto, si troverebbero d’accordo con numerose altre persone, quale che sia la loro identità di genere. In fondo, molte delle ingiustizie e dei crimini contro le donne di tutto il mondo hanno a che fare con il corpo, alla radice di un’oppressione ancestrale: violenza sessuale, femminicidio, mutilazioni sessuali, matrimoni imposti a bambine, discriminazioni sul lavoro o in casa, e così via. In pagine intense dedicate a Saman Abbas, Giulia Cecchettin e Masha Amini, le autrici ribadiscono come in questi casi (come in altrettanti esempi di violenza maschile contro le donne), la parola «donna» sia qualcosa di più di un mero significante esportabile. Un nucleo irriducibile esiste in virtù proprio di quei corpi.
Sbaglierebbe chi pensa che esistano solo distanze incolmabili tra le filosofe della differenza e le figure chiave dei Gender Studies, come Judith Butler. Quest’ultima non è certo una «convitata di pietra» nel discorso di Cavarero e Guaraldo; le sue idee stimolano a parlarsi ancora, a ritrovarsi in tematiche condivise (una di queste, tra l’altro, è proprio quel nesso tra vulnerabilità e violenza che ha visto Cavarero e Butler più volte incontrarsi su un terreno comune). Resta il fatto che, se per Butler, la categoria di «donna» è culturalmente costruita, per Cavarero e Guaraldo scindere natura e cultura non è affatto scontato o semplice, e alla fine sono sempre le donne a perderci.
Rivitalizzare il pensiero delle e sulle donne, come cerca di fare “Donna si nasce”, non desidera ridurre le donne a categoria protetta o minoranza. Non siamo davanti a suprematismi o falsi «naturalismi». Tra genere e corpo sessuato, tra le diverse vicende teoriche e i fatti di cronaca resta un’enorme ricchezza di linguaggi da elaborare e rivedere. Vale la pena provare, ancora una volta, a trovare «le parole per dirlo».