Personalmente nutro da molti anni un radicato scetticismo sui sondaggi e soprattutto sul ruolo esorbitante che hanno assunto nel dibattito pubblico. Non posso dire di non leggerli affatto, non foss’altro perché, per tenere fede a un simile proposito, nell’Italia di oggi, bisognerebbe fare la vita di uno speleologo, senza televisione, radio, giornali né connessione internet; ma insomma, ci siamo capiti, non sono proprio la mia prima lettura. Ragion per cui può anche darsi che un sondaggio come quello che mi piacerebbe leggere e che qui vorrei suggerire sia stato fatto davvero e mi sia sfuggito (nel caso, sarebbe molto gradita la segnalazione).
Altrimenti, i sondaggisti eventualmente in ascolto si sentano liberi di esaudire il mio desiderio, che è questo: domandare agli elettori di Giorgia Meloni cosa pensino di tutte le sue principali scelte di campo in politica estera, dall’Ucraina al Medio Oriente. Facendo però molta attenzione a formulare le domande senza fare alcun riferimento né a lei né al suo governo, ma solo alle singole questioni e ai loro protagonisti in sé e per sé, per sapere insomma quale giudizio gli elettori di Meloni diano di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, ad esempio, o di Benjamin Netanyahu. Ho infatti il forte sospetto che i risultati sarebbero piuttosto sorprendenti. E molto diversi, se non addirittura opposti, rispetto a quelli che emergerebbero se le stesse domande fossero precedute dalle più recenti dichiarazioni ufficiali di Meloni e del suo governo in proposito.
In parte, credo che questo fenomeno dipenda anche da un effetto delle lunghe campagne di disinformazione che hanno accompagnato l’ascesa dei nuovi populismi in occidente, a cominciare dalla fortunata narrazione sulla natura guerrafondaia (o «bellicista») dei democratici americani e di Barack Obama (cui andrebbe semmai rimproverato l’esatto opposto, ad esempio in Siria), in contrasto con il presunto “pacifismo” di Donald Trump, principale sostenitore e istigatore di Netanyahu negli Stati Uniti.
Per farla breve, ho la netta sensazione che buona parte degli elettori di Meloni tifino (e siano convinti di giocare) non dico per la stessa squadra di Putin contro l’Ucraina, e dei paesi arabi più ostili a Israele in Medio Oriente, ma quanto meno contro Zelensky e Netanyahu, anziché dalla loro parte.
A scanso di equivoci: la mia personale posizione è di totale sostegno alla causa di Zelensky, mentre sono molto critico con le scelte di Netanyahu, pur riconoscendo pienamente il diritto di Israele a difendersi, tanto più dopo il 7 ottobre, ma non ha qui nessuna importanza, perché non mi interessa giudicare le singole scelte, ma semplicemente questo curioso fenomeno – una sorta di disforia politica – che mi sembra di notare nell’elettorato.
Un caso leggermente diverso, ma comunque imparentato, è quello, tipico e ben noto anche a noi almeno dai tempi di Silvio Berlusconi, segnalato da Shawn McCreesh sul New York Times, a proposito del candidato repubblicano alla Casa Bianca. «Uno degli aspetti più singolari della popolarità di Donald Trump – scrive – è questo: molte persone sono felici di votarlo semplicemente perché non credono che farà molte delle cose che dice di voler fare». Leggermente diverso perché nel caso di cui sto parlando non si tratta di sminuire, ignorare o rimuovere le promesse più minacciose di un leader, preferendo credere che sia solo spettacolo, un modo come un altro di scandalizzare opinionisti e avversari, al solo scopo di conquistare il centro della scena.
Qui si tratta di negare o rimuovere fatti compiuti, che sono già davanti ai nostri occhi. È un caso davvero singolare di dissonanza cognitiva, perché di fronte a un leader che fa e dice tutto ciò che i suoi elettori contestano, questi ultimi né cambiano idea sul leader, che resta infallibile, né sul merito di quelle scelte, che restano deprecabili, e che loro insistono nell’addebitare comunque agli avversari.
L’altra differenza, sospetto, è che quando si tratta di sottovalutare le dichiarazioni più minacciose di un leader populista e il pericolo da lui effettivamente rappresentato per la democrazia, nove volte su dieci, sono gli elettori a sbagliare (come dimostra proprio il primo mandato di Trump, culminato nell’assalto a Capitol Hill); mentre quando si tratta di ignorare o sminuire certe prese di posizione in politica estera, al fianco delle democrazie occidentali, non sono affatto sicuro che abbiano tutti i torti, o per meglio dire che siano proprio quegli elettori i fessi che si sono fatti abbindolare.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.