Democracy Project Le storie di lotta e di speranza in Ucraina, India e Iran, in difesa della democrazia

Sul palco de Linkiesta Festival, Viktoriia Lapa e gli studenti dell’Università Bocconi di Milano hanno portato le testimonianze di cittadini ucraini, indiani e iraniani che cercano di contrastare quotidianamente le forme di autocrazie e repressione della libertà

Lorenzo Ceva Valla

Da nove anni Viktoriia Lapa insegna diritto internazionale pubblico e comparato dell’Università Bocconi e quando nel suo corso (diretto dal professor Justin Frosini) c’è una lezione sulla democrazia e i diritti umani si accorge spesso che i concetti insegnati, purtroppo vengono percepiti in maniera astratta dagli studenti, che non per malizia, ma per scarsa esperienza, non capiscono il vero valore quotidiano di vivere in regimi democratici difensori dei diritti civili. Per questo motivo ha decido di lanciare il Democracy Project il cui risultato è stato presentato a Linkiesta Festival.

Sul palco dei Bagni Misteriosi si sono susseguiti sul palco dei Bagni Misteriosi, mostrando il risultato tre dei dieci progetti totali. Gli studenti della Bocconi hanno avuto una discreta autonomia nella realizzazione del progetto: potevano creare un podcast, fare un’intervista o montare un documentario. Ma il requisito fondamentale era quello di entrare in contatto con chi non ha il privilegio di vivere la democrazia. «L’obiettivo è far capire che la democrazia è un valore da difendere, un lusso ancora inaccessibile per molte persone. È possibile salvare la democrazia liberale in paesi dove è a rischio e aiutare chi l’ha già persa, ad esempio evitando di finanziare regimi autoritari come quello della Russia o della Repubblica islamica dell’Iran», spiega Lapa introducendoi lavori.

Il primo progetto presentato esplora il ruolo delle donne ucraine al fronte, il secondo la situazione politica in India, mentre il terzo raccontava la resistenza delle donne – e degli uomini al loro fianco – contro il regime iraniano.

Le donne e la guerra in Ucraina
Qual è la percentuale di donne nelle forze armate ucraine? Quante sono le donne tra i rifugiati ucraini? E quale ruolo ricoprono nella società civile del Paese? A queste domande hanno risposto Jenny Yin, Gloria Oteng e Helen Wong con il loro progetto. «Il numero di donne nell’esercito ucraino è più che raddoppiato dall’inizio del conflitto con la Russia. Oggi rappresentano il 22,8 per cento delle forze armate, pur senza avere accesso a un addestramento completo. Nonostante questa crescita, le donne continuano a non essere percepite come soldati a pieno titolo e sono sottorappresentate nelle posizioni di comando, restando una minoranza nei processi decisionali», spiega il gruppo di lavoro. A queste sfide si aggiungono ulteriori difficoltà logistiche e pratiche.

«Le donne soldato spesso non dispongono di uniformi adeguate alle loro taglie e sono costrette a indossare scarpe maschili. Inoltre, l’accesso a un’assistenza fisica e psicologica adeguata è spesso insufficiente. Non meno impegnativo è il loro ruolo nel contesto civile. «Anche a casa le donne affrontano responsabilità enormi: devono prendersi cura di bambini e anziani, sostituire gli uomini nei posti di lavoro e fare volontariato, ad esempio gestendo banche alimentari e rifugi per sfollati».

Dall’inizio della guerra, sono otto milioni le persone fuggite dall’Ucraina. Di queste, sette milioni sono donne e bambini, il 97,5 per cento del totale. Tuttavia, i rifugi in cui trovano accoglienza spesso non garantiscono la sicurezza necessaria. «Manca spazio, le donne si trovano a stretto contatto con sconosciuti e spesso non esistono dormitori separati per uomini e donne. Addirittura, devono dormire con oltre quaranta uomini nella stessa stanza. Le donne hanno paura di questa situazione, ma hanno ancora più paura di denunciare».

La democrazia in India
Il progetto di Thomas Beaudet, Riya Sharma e Joson Suen analizza la difficile situazione politica indiana. Nonostante la liberazione dal colonialismo, il paese non ha mai intrapreso una riforma profonda delle sue istituzioni, rimanendo ostaggio di un’economia diseguale e di una governance dominata da ideologie frammentarie. La disparità economica ha lasciato la maggioranza della popolazione ai margini, con milioni di bambini impossibilitati a frequentare la scuola e senza accesso alle opportunità essenziali per il progresso.

Parallelamente, la politica indiana è caratterizzata da un Parlamento dove convivono diverse correnti di destra che perpetuano divisioni sociali e religiose: «Per esempio, ci sono delle leggi separate per i matrimoni indù e musulmani, ma non per altre fedi. Ed è molto difficile, per chi professa un’altra religione, ottenere la cittadinanza. Questa categorizzazione su base etnica e religiosa viola i principi di democrazia, uguaglianza e secolarismo sanciti dalla Costituzione», spiega il gruppo di lavoro.

In più, bisogna considerare il ruolo che l’India ha all’interno dei Brics. «A livello internazionale, l’India si promuove come ambasciatrice della democrazia, ma è uno dei membri chiave dei Brics», un blocco economico che include paesi con gravi violazioni dei diritti umani. E la sua politica estera ambigua, visibile nel conflitto russo-ucraino, ne amplifica le contraddizioni: «mentre acquista petrolio russo e mantiene relazioni strette con Mosca, ha assunto una posizione neutrale, sostenendo di promuovere la pace», raccontano gli studenti. Questa incoerenza, unita ai problemi interni di giustizia sociale e ambientale, richiama la necessità di un intervento urgente per riformare le sue istituzioni e proteggerne i principi democratici.

La resistenza in Iran
«I simboli accendono le rivoluzioni. Un fiore nei capelli è il simbolo di una ribellione silenziosa. Ma le donne si tagliano i capelli in segno di sfida. E le le labbra cucite trasformano i silenzi in grida. Queste non sono proteste, sono atti di incredibile coraggio», spiega il terzo gruppo. Ekaterina Korabelnikova, Giulia Lombardo e Shirel Haiat, nel loro progetto, hanno analizzato il ruolo delle donne, e degli uomini che combattono al loro fianco, nella resistenza iraniana.

Le donne in Iran sono da decenni al centro delle lotte per i diritti, simbolo di una resistenza che, da quando è nata la Repubblica islamica 42 anni fa, ha visto la loro posizione sociale diventare sempre più limitata. La repressione delle donne è al cuore di un «apartheid di genere», che le costringe a vivere sotto leggi oppressive, come l’imposizione del velo e l’esclusione dalla piena partecipazione alla vita pubblica.

Il regime, guidato da Ali Khamenei, è corrotto e oppressivo. Le leggi religiose sono utilizzate come strumenti di controllo, e chi osa ribellarsi rischia la prigione o la morte. Le punizioni per chi sfida il regime sono brutali: le donne, come Mahsa Amini, sono vittime di violenze statali. Ma la tragica morte della ventiduenne ha portato l’attenzione internazionale sulla realtà quotidiana delle donne iraniane e ha scosso la coscienza globale.

La teocrazia iraniana, però, non è solo una minaccia per il popolo iraniano: «L’alleanza con la Russia, sia diplomatica che militare, mina la stabilità globale» spiega il gruppo. Ma nonostante le evidenti violazioni dei diritti umani, l’Europa continua a finanziare il regime iraniano, alimentando il rischio globale e minando la propria sicurezza. «Per fermare questa minaccia e contribuire a un cambiamento reale, è necessaria una rivoluzione. Deve esserci una caduta violenta del regime, ma le potenze occidentali non stanno facendo nulla. La rivoluzione, quindi, deve arrivare dall’interno», conclude il gruppo.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club