Gradi green Gli spirits sostenibili piacciono ai consumatori, ma soprattutto al territorio

Quando un grande produttore di distillati sposa il basso impatto ambientale, i vantaggi possono essere molti, non solo in fatto di marketing, ma soprattutto in termini di filiera produttiva, come succede per la vodka finlandese Koskenkorva. Ce lo racconta il global brand ambassador, Mikael Karttunen

I campi d'orzo di Koskenkorva
Credits Koskenkorva, Compagnia dei Caraibi

Il tema della sostenibilità e di come venga impiegata oggi nella comunicazione aziendale, è spesso argomento di discussione. L’effetto greenwashing è sempre dietro l’angolo, così come dietro l’angolo sta la tendenza sempre più diffusa a dubitare di qualunque slogan o pubblicità ci parli di sostenibilità. Di solito la miglior soluzione a questo tira e molla sono i numeri e poterli mettere nero su bianco è importante.

Con una storia che inizia tra gli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo, Koskenkorva è uno dei più noti brand di vodka finlandese, di proprietà del gruppo Anora, che arriva in Italia grazie a Compagnia dei Caraibi – sì, per chi non lo sapesse la vodka non è affatto una prerogativa russa, ma se ne produce in varie altre parti del mondo, dalla Finlandia agli Usa, fino all’Italia. Materia prima utilizzata al cento per cento, un ardito 99,9 per cento per quanto riguarda il livello di reimpiego e riciclo dei materiali ed emissioni di CO2 ridotte del 50 per cento, sono alcune delle cifre che il brand ribadisce, ma non si tratta di una novità o di un processo avvenuto di punto in bianco negli ultimi anni. «Vivere in armonia con la terra è sempre stato uno stile di vita in Finlandia e in particolare nel villaggio di Koskenkorva – spiega il global ambassador, Mikael Karttunen – La stessa collocazione della distilleria, all’interno del villaggio di Koskenkorva in Ostrobotnia, è stata originariamente decisa in base alla possibilità di utilizzare il raccolto avanzato come materia prima e la forte presenza di bestiame come mezzo per riciclare gli scarti che rimangono dalla distillazione». Una decisione presa quindi già dagli anni Trenta. «Per la nostra azienda costruire la strategia per il futuro sulla sostenibilità è il proseguimento di un approccio che riteniamo il migliore nei confronti dell’ambiente che ci mantiene in vita su questa terra». Poi si può parlare di marketing. «Crediamo fermamente che quando la sostenibilità è fatta bene, possa essere anche un modo più redditizio ed efficiente di operare».

Macchine al lavoro sui campi di Koskenkorva
Credits Koskenkorva, Compagnia dei Caraibi

Come funziona l’approccio di Koskenkorva
Tanto per tornare ai numeri, la produzione di Koskenkorva si appoggia su 1.500 agricoltori locali, che conferiscono orzo alla distilleria. Quando l’orzo arriva, un primo passaggio consiste nell’eliminarne la buccia, che non viene buttata via, ma impiegata per produrre bioenergia assieme ad altre sostanze di scarto. Questo consente all’impianto di essere autonomo per il sessanta per cento della produzione di vapore per la distillazione.

Circa un terzo dell’orzo viene scartato in un primo processo di selezione e reimpiegato come mangime per il bestiame, oltre un terzo viene trasformato in amido e fermentato, mentre la restante parte viene aggiunta direttamente alla base da distillare. La distillazione avviene in un impianto a ciclo continuo, ottimizzato per risparmiare l’energia necessaria, finché non si ottiene un prodotto finale, il più puro possibile. Il fermentato rimanente viene poi impiegato come mangime.

È poco? Non proprio, se si pensa al volume della materia prima. «Nella distilleria utilizziamo circa 200 milioni di chilogrammi di orzo all’anno, per produrre circa trentatré milioni di litri di etanolo». Si tratta di circa il dodici per cento della produzione nazionale finlandese di orzo, la maggior parte del quale proviene da un raggio di 200 chilometri dal villaggio di Koskenkorva. La scelta di questo cereale è motivata dal fatto che richieda meno acqua di quanta ne richiedano altri.

Consumatori, verifica della sostenibilità e fiducia
Ma alla fine, per i consumatori tutto questo è davvero importante? «Non per tutti i consumatori, ma stiamo assistendo a un cambiamento soprattutto da parte dei consumatori più giovani, che scelgono i brand in base alla sostenibilità come fattore di “igiene”, il che significa che controllano quali pratiche di sostenibilità sembrano credibili e quali invece non lo sono, e scegliendo poi in base a tali informazioni», spiega Karttunen, che sottolinea come l’azienda stia in questo momento sposando l’approccio dell’agricoltura rigenerativa e precisa: «pochissimi consumatori sono disposti a pagare un extra per una produzione sostenibile. È semmai vero che i consumatori fanno le proprie scelte sempre più in base a brand di cui sanno di potersi fidare, in base agli sforzi che questi fanno in termini di sostenibilità».

In questo momento Koskenkorva è tra i primi brand di spirits in Finlandia e viene esportata anche nei Paesi nordici, baltici e in Germania, al di fuori dei quali le esportazioni rappresentano meno del dieci per cento. L’Europa centro-settentrionale e i paesi nordici sembrano essere i più ricettivi all’approccio sostenibile del brand e anche i più informati sui prodotti sostenibili e sulla produzione sostenibile in generale. «I consumatori italiani apprezzano sempre di più i prodotti di alta qualità e premium. Sono sempre più interessati ai prodotti sostenibili e i brand che utilizzano metodi di produzione ecocompatibili, come la riduzione dell’uso di acqua, l’utilizzo di imballaggi riciclati o l’approvvigionamento di ingredienti da fornitori locali, probabilmente otterranno un vantaggio competitivo», aggiunge.

Sviluppo locale rigenerativo (non solo agricolo)
Se la quantità di orzo lavorato da Koskenkorva motiva ancora di più l’adesione a un ciclo produttivo a minor impatto possibile, il numero dei fornitori diventa importante nel momento in cui si va ad analizzare la funzione economica e sociale dell’attività. «Al momento stiamo promuovendo pratiche agricole rigenerative che corrispondono a ciò che si potrebbe definire “oltre il biologico”. Naturalmente ci sono somiglianze, soprattutto nella rotazione delle colture e nelle pratiche di fertilizzazione, ma l’agricoltura rigenerativa mira a trasformare i campi in aree di immagazzinamento di carbonio anziché in fonti di carbonio, aspetto che l’agricoltura biologica non considera».

Su questo fronte l’educazione assume un ruolo fondamentale. «Stiamo collaborando con il Baltic Sea Action Group per educare i nostri agricoltori contrattuali a comprendere l’agricoltura rigenerativa, a realizzare il potenziale positivo che ha sia per l’ambiente che per l’agricoltore, anche finanziariamente, e ad adottare o implementare le pratiche nelle loro aziende agricole. Di qui a dieci anni, puntiamo a far sì che tutti i nostri agricoltori pratichino l’agricoltura rigenerativa». E l’impegno non riguarda solo la formazione. «Per gli agricoltori che sono pronti a iniziare a implementare pratiche agricole rigenerative, stiamo fornendo aiuto nella fase di transizione, che è quella in cui si verificano i maggiori rischi finanziari». I risvolti, per chi ha già effettuato il passaggio, fanno riflettere. «Tutti i nostri agricoltori rigenerativi, attualmente venti aziende agricole, affermano che al più tardi entro il terzo anno trascorrono meno tempo sui loro trattori nei campi e più tempo con le loro famiglie e i loro hobby, ottenendo raccolti migliori con meno investimenti».

Se il nome del territorio è anche il tuo
C’è una curiosità che riguarda la Finlandia e che il brand ama raccontare in merito al legame con la terra. In pratica, quando una famiglia sceglie di insediarsi in un luogo per portare avanti un’attività agricola, adotta il nome di quel territorio come proprio cognome. «Questo si applica in particolar modo nelle comunità agricole della Finlandia e l’area dell’Ostrobotnia (dove si trova la distilleria, ndr) ne è un ottimo esempio – spiega Karttunen – Ci sono tenute, come appunto quella di Koskenkorva, che hanno dato i loro nomi a intere aree, o villaggi o persino città e se l’eredità di una famiglia deve finire e un nuovo proprietario deve continuare, in questi casi le famiglie possono persino prendere il nome della tenuta, perché cambiare il nome della tenuta non è un’opzione. Non si tratta di una regola o di una legge, ma nei casi più importanti ha più senso adottare il nome della tenuta che cambiarlo».

Questo, in termini di immagine e di responsabilità nei confronti di un territorio ha un certo peso e ne ha anche nel momento in cui si produce, si vende e si esporta. «Il nostro prodotto è totalmente e irreversibilmente il prodotto della sua origine, il che significa che le materie prime sono così uniche in termini di qualità, che non possiamo cambiarne il luogo di produzione. Per questo, è giusto che le persone che contribuiscono a coltivare e preservare quelle materie prime possano avere l’onore di vedere il nome della loro terra portato in tutto il mondo. E, viceversa noi, come proprietari del brand, possiamo avere l’onore di portare i nostri sforzi attraverso quel nome a ogni bevitore esigente del mondo». Forse non sarebbe male adottare questa consuetudine un po’ più spesso.

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