Nel suo libro “Degustare il whisky” Lew Bryson parla del Muro e lo scrive pure con la emme maiuscola, per indicare la barriera che l’alta gradazione impone tra l’assaggio e il reale apprezzamento di un distillato. Un po’ come uno schiaffo infatti, quella sensazione di bruciore è un ostacolo fisico (e anche psicologico), che ci distrae da ciò che un distillato ha da dire. Perché in quel bicchiere di Scotch il mio amico ci sente cioccolato bianco, pasta di nocciole, salsedine e fumo di erbe bagnate? Non ti sta prendendo in giro, ti sta semplicemente parlando dall’altro lato del Muro. Una volta oltrepassato, il naso e il palato si abituano a percepire una serie di sensazioni olfattive e gustative, che possono dire molto sul metodo di produzione di un distillato, la provenienza e la materia prima impiegata, oltre a svelarne anche gli eventuali difetti.
Tenendo ben presente che i distillati sono enormemente diversi gli uni dagli altri, proviamo a capire quale sia il modo più corretto per approcciarsi alla degustazione, facendoci accompagnare da Davide Terziotti, formatore e fondatore, assieme a Claudio Riva, di Whisky Club Italia (di cui si è già parlato su questi schermi).
Degustazione tecnica o edonistica?
Prima delle basi, conviene partire dal contesto, ovvero perché ci troviamo di fronte a un bicchiere di distillato? «Bisogna sempre distinguere la degustazione edonistica, la bevuta, da quella tecnica». Fissa subito i blocchi di partenza, Davide Terziotti, che è anche uno dei giudici italiani di più consolidata esperienza alla Spirits Selection, l’annuale competizione organizzata dal Concours Mondial de Bruxelles. «Lo dico sempre, una degustazione tecnica somiglia un po’ a una prestazione sportiva. Bisogna essere in una condizione psicofisica corretta, concentrati, in un ambiente asettico dal punto di visita olfattivo e, teoricamente, anche visivo. Anche se per me la prova visiva con i distillati non è così incisiva, la si potrebbe ridimensionare molto, almeno per quando riguarda il colore».
Il colore e la trasparenza di un distillato non sono infatti indicativi della qualità e delle caratteristiche gustative del prodotto. Basti pensare, ad esempio, alla possibilità di aggiungere una piccola quantità di caramello come colorante in molti prodotti invecchiati, oppure alla tonalità di certi gin, che non necessariamente si presentano incolore.
«Oltre agli agenti esterni di condizionamento, è necessario escludere anche quelli interni, come sigarette, caffè e cibi pesanti. Infine, teoricamente, il momento migliore della giornata per degustare dovrebbe essere il mattino». Grappa a colazione? No, non si tratta di masochismo, c’è una ragione ben precisa. «I sensi sono più riposati e anche la mente è riposata, il livello di concentrazione è massimo e si hanno poche contaminazioni date dallo stress e dal cibo. Di fatto la degustazione è la scomposizione di un aggregato di profumi e sapori che ti arrivano e che tu devi cercare di incasellare. Senza concentrazione anche una persona allenata fa fatica ad arrivarci».
Ma non c’è ovviamente solo la tecnica, quindi si cambia scenario. «Tutto questo lo si può traslare anche in un contesto più edonistico, in ambienti non esattamente asettici, in cui magari c’è una spinta conviviale, un’atmosfera di divertimento, oppure semplicemente per cercare di capire cosa si sta bevendo». Come quando ci si trova fuori con gli amici o a casa, magari dopo una cena.
Passi graduali per abbattere il Muro
C’è un punto che accomuna sia la degustazione tecnica che quella edonistica, il Muro. «Nella degustazione di un distillato non c’è molto di diverso rispetto alla degustazione di un’altra bevanda alcolica, la sostanziale differenza è che non si parte da dieci-quindici gradi alcol come con il vino, bensì da un prodotto che normalmente va da trentotto-quaranta gradi in su, quindi bisogna far attenzione a come ci si approccia, sia a livello olfattivo che gustativo, perché l’impatto sui nostri recettori è più potente».
Ci vuole prudenza, insomma, e Terziotti indica alcuni accorgimenti utili per superare la barriera. «Con il naso bisogna avvicinarsi velocemente al distillato, facendo dei passaggi veloci, e non è necessario far girare il bicchiere come con il vino, perché l’alcol sale comunque». Del significato di far roteare il bicchiere con il vino avevamo parlato di recente. Ecco, in questo caso non serve perché la gradazione alcolica è da tre a quattro volte superiore e l’alcol, evaporando rapidamente, porta con sé i composti aromatici che ci interessano senza bisogno di sollecitazioni. Basta avere pazienza. Se poi qualcuno vuole far girare un rum nel bicchierino, nessuno lo giudica, al massimo qualcuno lo guarderà come si guarda uno strano animale esotico.
Fare dei passaggi rapidi del bicchiere sotto al naso è utile anche per abituare la mente, che ha bisogno di tempo per superare l’alcolicità, una cosa che il nostro cervello generalmente cataloga come barriera. «In un certo senso i distillati possono essere paragonati al peperoncino – dice Terziotti – c’è chi è abituato e ha un’elevata soglia di tolleranza alla sensazione di piccantezza e c’è chi invece non lo è. Assaggio dopo assaggio ci si abitua e la sensazione di disagio diminuisce».
L’approccio graduale serve quindi anche a livello gustativo. «Sarà il caso di prendere prima un sorso piccolo, diluito con la saliva, abituando così il palato e solo dopo un po’ riprovare con un sorso un po’ più abbondante», aggiunge Terziotti. Così, ripetendo più volte la degustazione, pian piano si riesce ad abbattere il Muro e si inizia a potersi concentrare sugli aromi e sulle caratteristiche del sorso, che prima restavano nascoste dalla sensazione di bruciore.
Ci sono anche dei piccoli trucchi per far sì che il distillato ci riveli qualcosa in più, ma non vi anticipiamo nulla, perché ve lo racconteremo nei prossimi approfondimenti.